Quanto accaduto in pochi giorni, in poche settimane, appare ancora come un sogno, per la gran parte delle persone un terribile incubo.
Qualcosa che sembrava così lontano, nel tempo – come visione infausta e irreale dei pessimisti – e nello spazio –mica se scoppia l’influenza in Cina arriva in Italia- è qui, adesso.
Il primo punto che terrorizza è il “qualcosa”. Gli abbiamo dato un nome specifico “Covid-19”, ma non lo conosciamo ancora.  Non si vede,  non riusciamo a  controllarlo. Per alcuni contrarre il virus non implica alcunché, per altri comporta la morte. “Uno sarà preso, l’altro lasciato” ricorda il Vangelo di Matteo al capitolo 24 (Mt 24, 40). L’incertezza del nemico, di come poterlo non solo sconfiggere, ma scorgere nel suo attacco, lascia un senso di insicurezza esistenziale difficile da portare. Possiamo provare a esorcizzarlo alla buona, con flashmob, canzoni dal balcone, striscioni con la scritta “Andrà tutto bene”, ma il dolore chiede prima di tutto di essere attraversato. Tenerlo fuori, a distanza, negarlo, non servirà. Mentre lo attraversiamo possiamo cantare, dipingere un cartellone, diffondere battute simpatiche, e va bene, ma il dolore non può essere negato.
Secondo  punto: c’è stato un grande errore comunicativo iniziale. I titoli, ancor prima dei contenuti, sono stati creati per terrorizzare secondo l’equivalenza terrore=vendita che fa funzionare ogni trasmissione, giornale e media. Come ricordava anni fa il direttore del Tg 2, quando gli ascolti calano bisogna inserire una notizia di cronaca nera. Più è aberrante l’argomento, più gli ascolti saliranno. Questo giocare con i pensieri è stata una colpa grave. Ha provocato terrore da un lato, incredulità dall’altro. L’Italia si è così divisa tra chi assaliva i supermercati e chi continuava come se niente fosse a frequentare luoghi affollati, a promuovere incontri … E ha nuociuto incredibilmente all’economia.
La verità va’ detta, ma nella comunicazione il sensazionalismo non fa mai bene. E’ un’esagerazione che toglie autorevolezza con effetto immediato. Non è semplice, soprattutto quando le notizie stesse, per gli elementi sopra ricordati, non hanno molti margini di certezza. Eppure è fondamentale ad ogni livello. Nel giornalismo antico la notizia veniva trasmessa e in un secondo tempo commentata nelle righe immediatamente successive. Questo permetteva al lettore di allora di distinguere il dato dall’interpretazione del giornalista, con cui poteva concordare, o prendere le distanze. Era un esercizio non solo di onestà intellettuale, ma anche di esercizio al pensiero critico. Oggi quando parliamo di pensiero critico facilmente ci riferiamo al “contro”: tutti dicono la stessa cosa, il pensiero critico dice il contrario. Così ci perdiamo tantissimo, rimangono due blocchi contrapposti e mancano pensieri diversi, costruttivi, mancano all’appello milioni di pensieri differenti in dialogo, in discussione per crescere insieme. Chi scrive spera che ci sia un ripensamento della comunicazione e una educazione al pensiero personale.
Il terzo punto si collega al primo e al secondo: anche i piccoli vanno educati a pensare al dolore e ad attraversare la prova. Possiamo disegnare arcobaleni, ma alle loro domande dobbiamo rispondere con onestà. La prova fa parte della vita, la malattia (qualunque ne sia la causa) fa parte della vita, la morte fa parte della vita.
Al tempo stesso possiamo e dobbiamo annunciare la Resurrezione. Dio ha attraversato il dolore e la morte. E li ha vinti. Ha vinto la morte. Dal Battesimo siamo già nella vita eterna. Questo comporta, tra le mille e mille implicazioni, che ogni relazione vissuta nell’amore fa già parte della vita eterna. Non sarà mai dimenticata. Il rapporto con i nonni, con i genitori, tra fratelli, con gli insegnanti, i catechisti, i vicini di casa, gli amici, l’allenatore, i compagni di sport, la cassiera, l’idraulico… posso vivere ogni cosa in Cristo e quell’aspetto della vita passa nella vita eterna. Allora possiamo allenare i bambini a dire cosa provano, ad esprimere anche il bene che portano, un “ti voglio bene” un “grazie perchè…” ai nonni e gli uni agli altri può essere un buon esercizio di vita.
Il quarto punto è la preghiera, che a sua volta potrebbe dividersi in tanti sottopunti/rigagnoli come derivanti da una stessa fonte.
La preghiera di ringraziamento. “In ogni cosa rendete grazie” chiede san Paolo ai Tessalonicesi (1Ts 5, 18). In un tempo in cui la celebrazione dell’Eucarestia per i cristiani non è fisica, si può imparare cosa significa Eucarestia = rendimento di grazie. Imparare a ringraziare. Per il dono della vita, molti di noi lo davano per scontato. Per la Chiesa, la comunità che ci ha generato alla Vita vera. Per la famiglia, le relazioni, il lavoro, il cielo, la bellezza, gli artisti… Per la scienza e la medicina… E poi per quanto viviamo: per una telefonata, per la scuola che continua in digitale, per una merenda buona, per un bel film, per un tramonto… Il rendere grazie, per noi lamentosi è una cura irrinunciabile. Fare eucarestia della vita. Il cuore si allarga e il dolore che si attraversa trova la giusta collocazione, senza diventare totalizzante.
La preghiera di affidamento. Signore ti affido…la mia vita, prima di tutto. Tu che sei la Vita, tienimi in te, anche al di là della vita fisica. L’affidamento è un tuffarsi nelle mani del Padre, senza paura. Affidare a Lui questo tempo, questo mondo, le persone care…
La preghiera di intercessione. L’intercessione si lega alla preghiera del Figlio per tutti i fratelli. E’ rivolta al Padre e sale nel legame tra Lui e il Signore Gesù Cristo, legame che è lo Spirito Santo. E’ una preghiera trinitaria che ha carattere comunitario. La comunità è di sangue, il sangue di Cristo offerto per tutti. Nell’intercessione vengono ricordati tutti: vicini e lontani, medici, infermieri, governanti, ricchi e poveri, sani e malati, credenti e non credenti,  le guerre in corso (l’emergenza pandemia non è purtroppo l’unica emergenza del mondo), gli scienziati e i bambini analfabeti, l’invasione delle cavallette in Africa e in Asia. L’intercessione abbraccia tutti, allarga il cuore, rende chiaro che il Padre ci ama più di quanto noi possiamo mai amare e termina chiedendo benedizione su tutti e su ciascuno.
Una giovane in questi giorni affermava in un messaggio: “La quarantena può diventare la quaresima pi importante della mia vita” e tante mail dei ragazzi delle medie indirizzate a suor Valentina chiedono dritte sulla preghiera. Sono domande autentiche, provvidenziali che non vanno eluse o liquidate. Nel dramma, questo può essere un tempo di Dio, a noi viverlo con verità.
Sr. Valentina Mancuso e Sr. Serena Munari della Famiglia Monastica Francescana di Ivrea