Il 2020/21 è l’anno in cui prende avvio in tutte le scuole italiane l’insegnamento dell’educazione civica previsto dalla legge 92 del 2009. Nel parliamo con Luciano Corradini, docente emerito di pedagogia generale nell’Università di Roma Tre, che si è occupato per tutta la sua lunga attività professionale e ministeriale dei problemi legati all’insegnamento dell’educazione civica.
 
L’intervista
La questione dell’insegnamento dell’educazione civica risale alla fine degli anni 50; fu Aldo Moro a volerla inserire nei programmi scolastici della scuola secondaria. Sembra che con la legge 92 il percorso si concluda. E’ così?
E’ difficile parlare di conclusioni, ossia di soluzione definitiva di problematiche pedagogico-didattiche di questo genere. Certo, cambiamenti ci sono stati, dagli anni ’40 al 2019/2020. Il più grande si ebbe con la guerra, la Resistenza e la Costituzione. Fu proprio nell’Assemblea Costituente che si manifestò la più chiara presa di coscienza della nuova fase che si stava iniziando, anche per la scuola.
Lo stesso Moro, giurista, giovane docente universitario, fra i più attivi e ascoltati “padri costituenti”, aveva presentato l’11 dicembre 1947 un ordine del giorno, che fu approvato all’unanimità con prolungati applausi dall’Assemblea Costituente, in cui si chiedeva “che la nuova Carta costituzionale trovi senza indugio adeguato posto nel quadro didattico delle scuole di ogni ordine e grado, al fine di rendere consapevole la giovane generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sacro retaggio del popolo italiano”.
Sottolineo: senza indugio e adeguato posto nel quadro didattico, non “nella cornice del quadro” o “nella premessa” dei futuri programmi.
L’indugio ci fu per un decennio, finché Moro divenne ministro e varò, con Gronchi presidente della Repubblica, il DPR del 13 giugno 1958, intitolato Programmi di insegnamento dell’educazione civica negli istituti e scuole di ordine secondario e artistico.
Come si è arrivati a sbloccare la situazione, in un’Italia afflitta dai gravi problemi della ricostruzione postbellica?
Diciamo la verità: Moro avrebbe voluto inserire l’educazione civica nel testo della Costituzione, ma poi vi rinunciò. Una notevole componente di coloro che avevano capito la bellezza e la difficoltà di attuare la Costituzione sosteneva però che, senza l’educazione e la scuola, le nuove generazioni non avrebbero potuto capire e far funzionare la Repubblica democratica. Basti ricordare quanto disse Luigi Sturzo in Senato nel giugno del ‘57: “La Costituzione è il fondamento della Repubblica democratica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal parlamento, se è manomessa dai partiti, se non entra nella coscienza nazionale, anche attraverso l’insegnamento e l’educazione scolastica e post-scolastica, verrà a mancare il terreno sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà” (L. Sturzo, Opera omnia, serie III, col. 3, p. 212).
Uno di questi se riguarda la scuola.
Nel 1957, però, ci fu un evento importante: un grande convegno nazionale organizzato dall’Uciim e svoltosi a Catania. Ce ne vuole parlare?
Quando arrivò al presidente dell’UCIIM Gesualdo Nosengo un segnale d’incoraggiamento da parte del Capo dello Stato Giovanni Gronchi, l’UCIIM organizzò a Catania, nel Castello Ursino, nello stesso ’57, un grande convegno nazionale dal titolo: L’insegnamento della Costituzione e l’educazione civica dei giovani.  Relatore di base fu il dott. Domenico Magrì, sindaco di Catania e poi sottosegretario e amico di Moro. La riflessione congressuale era stata tanto approfondita da fornire a Moro e Gronchi il coraggio per affidare alla scuola due distinte funzioni e due connesse attività: insegnamento di un contenuto ricchissimo di radici culturali e di potenzialità orientative, e educazione a comprenderne e a praticarne le implicazioni nella vita quotidiana e in un contesto nazionale, ma non solo, perché la Costituzione con gli articoli 10 e 11 dilata il suo radar a livello planetario.
Su questa lunghezza d’onda la Premessa al Decreto Moro aveva precisato: “Se pure è vero che l’educazione civica dev’essere presente in ogni insegnamento, l’opportunità evidente di una sintesi organica consiglia di dare ad essa un quadro didattico e perciò di indicare orario e programmi, e induce a insegnare per questo specifico compito il docente di storia”.

Come è stato impostato all’inizio il problema del rapporto fra insegnamento e educazione?
L’educazione civica (Gonella aveva proposto l’aggettivo “civile” nel disegno di legge del 1951), com’era chiaro anche a chi, per brevità, la inserì nel DPR del 1958 con l’aggettivo civica, contiene implicitamente anche il riferimento alle dimensioni etica, sociale, civile, economica, politica, religiosa dell’educazione nella scuola. E’ vero che la sua configurazione come disciplina scolastica sotto il titolo “Programmi per l’insegnamento dell’educazione civica”, sollevò qualche dubbio semantico ed epistemologico, dato che solo in questo caso si collocava fra le discipline l’“insegnamento di un’educazione”, sia pure collegandolo alla storia, per due sole ore al mese. Nella Premessa al citato DPR si avvertì questa difficoltà: “Il campo dell’educazione civica, a differenza di quello delle materie di studio, non è definibile per dimensioni, non potendo essere delimitato dalle nozioni, spingendosi invece su quel piano spirituale dove quel che non è scritto è più ampio di quello che è scritto”. Si rischiava però, con questa leale ammissione, di rinunciare alla qualifica di disciplina e anche di insegnamento per tutta l’area socio-civico-politica, lasciandone svaporare i contenuti in un generico clima “democratico”, affidato a tutti, e in pratica a nessuno, senza distinzione fra conoscenze, atteggiamenti e comportamenti.
Come si è poi intervenuti per limitare questo rischio?
Per evitare questo rischio, la Premessa ha precisato: “Se l’educazione civica mira, dunque, a  suscitare  nel  giovane  un impulso morale, ad assecondare e  promuovere  la  libera  e  solidale ascesa delle persone nella società, essa si giova, tuttavia,  di  un costante  riferimento  alla  Costituzione   della   Repubblica,   che rappresenta il culmine della nostra attuale esperienza storica, e nei cui principi fondamentali si esprimono i valori morali che  integrano la trama spirituale della nostra civile convivenza”. Dunque si riconosce che, per la sua inesauribile ricchezza (e anche per i suoi inevitabili limiti) “la comprensione della Costituzione gioverà anche a dare sistemazione, quasi secondo un indice ragionato, agli altri temi di educazione civica”. Questo è stato precisato in seguito nei Programmi per la scuola media del 1979, che sono un serbatoio di idee a cui si può attingere anche per attuare la legge 92/2019. “L’educazione civica, vi si dice, intesa come finalità essenziale della azione formativa della scuola, esige il responsabile impegno di tutti i docenti e la convergenza educativa di tutte le discipline e di ogni aspetto della vita scolastica. Essa è, pertanto, un grande campo di raccordo culturale, interdisciplinare, che ha anche suoi contenuti specifici rappresentati dalle informazioni sulle forme e sulle caratteristiche principali della vita sociale e politica del Paese e che richiede interventi coordinati del consiglio di classe, intesi a far maturare la coscienza delle responsabilità morali, civiche, politiche, sociali, personali e comunitarie di fronte ai problemi dell’umanità, nel contesto sociale italiano, europeo, mondiale e, quindi, a far acquisire comportamenti civilmente e socialmente responsabili”. Non si può certo dire che questa concezione sia superata.
Reginaldo Palermo,  Educazione civica, si parte oggi, ma la storia inizia 70 anni fa.