L’attuale crisi mondiale, ha provocato uno shock all’intero sistema socio-economico-culturale e mostrato tutta l’impreparazione e la fragilità dell’intero apparato culturale e religioso. Questo testo che nasce nel Centro CeRFEE Zelindo Trenti (Centro di Ricerca e Formazione Ermeneutica Esistenziale) fondato sulla prospettiva educativa ermeneutica esistenziale teorizzata da Zelindo Trenti, offre una diagnosi essenziale della situazione dell’educazione alla vita oggi e lascia intravedere alcune opportunità di rinnovamento in risposta alle attuali complesse emergenze educative.
L’autore scandaglia l’attuale situazione e punta i riflettori su nuove possibili vie da percorrere cercando di dare risposte alle questioni più urgenti. Le proposte di educazione alla fede sono destinate alla marginalità e all’irrilevanza? Sapranno i cristiani dare risposte significative per l’uomo contemporaneo? Ha ancora senso parlare di cristianesimo in un mondo post-religioso?
A distanza di vent’anni dalla prima illuminante ed apprezzatissima pubblicazione del saggio del Prof. Zelindo Trenti, “Educare alla fede, Saggio di pedagogia religiosa”, quest’opera riprende le sue riflessioni alla luce di condizioni profondamente mutate, confermandone l’attualità.
 
Descrizione
Titolo: EDUCARE ALLA VITA in una società post-secolare e post-cristian
Autore: Romio Roberto
Editrice: Elledici
Costo: 20,00 Euro
Formato: 14×21
Pagine: 240
EAN 9788801067316
 
Dalla Conclusione

  1. Il processo educativo ermeneutico esistenziale alla vita

La proposta delineata nel testo di un processo educativo ermeneutico esistenziale alla vita vuole essere una risposta all’ imperativo della necessaria ricostruzione. Per concludere dopo la breccia aperta dalle provocazioni della terza parte del testo, ci pare opportuno collegarci alle riflessioni illustrate negli interventi della prima e seconda parte, che fondano la nostra proposta di Educare alla vita. Ne riprendiamo in conclusione sinteticamente i passaggi.
 
1.1 Educare alla dimensione esistenziale
Il sottotitolo del primo intervento recita: “La trascendenza nell’uomo. Cercare ciò che si è già trovato”. Questo primo passaggio del processo educativo ermeneutico esistenziale alla vita vuole richiamarci alla necessità di aprire, ogni percorso educativo, con il risveglio della domanda. Un domandare radicale che deve condurci a riconoscere che siamo proprio noi che viviamo ed esistiamo e la nostra natura umana custodisce un’originaria ricerca di senso (l’apriori ermeneutico), alla quale va associata la ripresa di una altrettanto originaria tensione alla realizzazione della propria umanità nella sua pienezza (apriori paideutico). Queste due disposizioni connaturati a ciascuna persona che si apre ad un processo educativo, possono però essere offuscate da fattori esterni che prevalgono su di esse ghermendole fino a farle assopire. All’inizio del processo si rende quindi necessario ridestarle con un atto di vera e propria conversione. All’inizio del processo educativo c’è dunque questo risveglio all’eccerci qui e ora, in cammino verso la piena realizzazione.
Certo il processo non può arrestarsi in questa prima fase, ma deve aprirsi alla esplorazione delle altre a cui la persona è originariamente predisposta: il risveglio alla consapevolezza del mondo interiore, della dimensione spirituale, di quelle religiosa e infine credente[1].
 
1.2 Educare alla dimensione  interiore
Nel processo educativo la persona deve imparare a conoscere le sue profondità interiori e il suo sé.  È un viaggio di esplorazione[2] alla scoperta delle proprie zone sconosciute, dei propri sentimenti, dei propri ricordi, pensieri, progetti, sogni, aspettative. Questo viaggio di esplorazione è il presupposto per conoscere in modo nuovo anche il mondo esterno. Senza la conoscenza di sé, non è possibile la comprensione degli altri e del mondo e di Dio[3]. Il cammino di esplorazione deve realizzarsi nell’incontro tra educatore ed educando. Essi devono procedere all’unisono per sentire, sognare e pensare l’esperienza emotiva che si fa presente nel qui e ora del processo educativo.
La finalità è quella di recuperare in ogni fase di crescita la risonanza interiore di ciò che avviene sul palcoscenico della propria vita, il significato emotivo ed esistenziale che il vissuto assume per l’esistenza della persona[4].
 
1.3 Educare alla dimensione spirituale
La dimensione spirituale della vita è la vita stessa vissuta, accolta, interpretata e ripresentata dentro un orizzonte di senso, sia esso immanente che trascendente, che però si apre ad una dimensione più ampia del tempo e dello spazio ordinario. L’esperienza spirituale non è qualcosa che appartiene al campo necessariamente religioso o confessionale, ma è l’esperienza umana tout court, quando sia capace di interrogare la realtà e interpretarla secondo una prospettiva di senso infinita ed eterna. L’ateo, il non credente, il teista, il panteista, l’agnostico non si sottraggono a quella inevitabile necessità che è la dimensione spirituale[5]. Proprio perché umani siamo costitutivamente spirituali e dobbiamo educare questa dimensione costitutiva per  crescere e realizzarci come persone.
Se riflettiamo sul vissuto di molti uomini significativi, come ad esempio san Francesco e Buddha, ritroviamo nelle loro esistenze tratti ed esperienze spirituali che nascono e si sviluppano nell’esperienza mondana in una dinamica che va dalla dimensione orizzontale a quella verticale spirituale.  Anche il messaggio della Genesi ci conferma che la dimensione spirituale verticale, la trascendenza, non esiste senza l’accettazione e l’adesione alla materia di cui siamo fatti. Una materia relazionale disponibile a essere lavorata dalla vita e da Dio[6].
Questa disponibilità verso la realtà mondana è il punto di partenza di ogni processo educativo alla spiritualità. Ma dobbiamo distinguere tra dimensione psichica e spirituale. La realtà psichica si fonda sull’oscuro mondo delle passioni, dei desideri, della bramosia. La realtà spirituale sul confronto con la verità ultima e trascendente dell’esistenza. L’educazione alla dimensione spirituale non può, dunque prescindere dalla consapevolezza che l’orizzonte di senso ci supera in un oltre che non ci appartiene in maniera esclusiva, né possiamo crearne uno adatto solo a noi, chiuso nelle forme del fondamentalismo e del solipsismo che propone una certa spiritualità disincarnata.
 
1.4 Educare alla dimensione religiosa
Possiamo intendere le religioni come il gigantesco sforzo della psiche umana per ascendere al Mistero della vita al fine di trovarvi un senso. Educare alla dimensione religiosa significa allora, anzitutto educare alla necessità di praticare, di mettersi concretamente in gioco in un cammino di vita e di umanizzazione[7].
In questa ottica l’educazione religiosa non deve avere altro scopo che quello di aiutarci a divenire (più) umani.  Non è anzitutto un cammino di “ascesa” (al divino) ma di “discesa” (nell’umano) a quell’umano che tutti ci accomuna ma che ancora non siamo in pienezza.
In questo processo educativo ciascuno deve trovare la sua via per divenire quello che è, per essere più umano (dimensione biografica)[8]. Si tratta di imparare a vivere la quotidianità della vita imparando a stare nel presente, nel qui ed ora di quel che stiamo facendo e vivendo. Le pratiche religiose aiutano a stabilizzare un modo di vivere, nuove e più sane abitudini, a consolidare la libertà rispetto ad automatismi e condizionamenti, ad habitus disfunzionali;
L’obiettivo del processo educativo religioso alla vita è quello di ritrovare il proprio “centro” attraverso un percorso di semplificazione che integra tutto ciò che ci costituisce e di unificazione che crea una progressiva corrispondenza tra quello che pensiamo, quello che diciamo, quello che facciamo e quello che siamo. In questo non facile cammino la religiosità ci aiuta soprattutto a non perdere la fiducia e la speranza, per rialzarci dai duri colpi della vita.
La prospettiva ermeneutica esistenziale pone al centro del processo educativo religioso la costruzione di una risposta al bisogno umano di relazione che ci fa sentire accolti, giustificati di esistere, amati [9]. È quanto ‘Dio’ nelle varie tradizioni religiose fa per chi in Lui crede e a Lui si affida.
In questo processo educativo religioso una via imprescindibile nell’età della globalizzazione è il dialogo interculturale e interreligioso indispensabile per la nostra stessa sopravvivenza come comunità umana. Dialogo che esige una metanoia radicale sia dal punto di vista del contenuto, sia dal punto di vista del método: è necessario passare dall’aut/aut aristotelico all’et/et orientale dell’advaita, cioè la simultanea compresenza e verità di posizioni contrapposte[10].
Educare la dimensione religiosa in una prospettiva ermeneutica esistenziale significa educare a convivere con identità eclettiche e appartenenze deboli in una prospettiva genuinamente laica, una più alta spiritualità laica, naturalmente aperta, alle appartenenze e identificazioni deboli, eclettiche, molteplici.
La finalità ultima sta nel raggiungere, oltre i confini delle istituzioni religiose particolari, comunità più aperte in cui uomini e donne di fedi, culture e tradizioni diverse possano liberamente sentirsi a casa, in un sentimento di universale “comunione” a una medesima e primaria appartenenza alla specie umana.
 
1.5 Educare alla dimensione credente
La riflessione svolta nel contributo della prima parte, da C.Bissoli, si concentra in particolare su percorso educativo alla fede dei giovani nella tradizione religiosa cristiana cattolica[11]. A partire da quelle considerazioni, in questa conclusione, vogliamo ora allargare lo sguardo sulla educazione della dimensione credente in generale.
In questo tempo spesso definito post religioso, post cristiano e anche post secolare l’educazione alla dimensione credente è indubbiamente sottoposta a condizioni  di grande difficoltà e si richiede di ridisegnare il quadro di riferimento dell’educazione religiosa con un linguaggio e una prospettiva adeguati alla condizione che stiamo attraversando.
Nel suo libro Obbedienza e liberta[12], V. Mancuso afferma:”il senso ultimo della religione consiste essenzialmente in due movimenti: nel concepire sé stessi, rispondendo alla domanda sulla nostra più vera identità, e nel relazionare sé stessi al senso del tutto, fondamento eterno del mondo, dagli uomini convenzionalmente chiamato Dio.
Relazionare il centro di noi stessi (la nostra anima) a Dio, al fondamento eterno del mondo, alla verità che ci ha portato ad essere e che ci mantiene all’essere, e nella quale siamo destinati a confluire totalmente al momento della nostra morte: questo è l’interesse vitale della religione, il suo scopo essenziale, il motivo per cui la religione è nata e, io credo, non morirà mai, almeno fino a quando gli uomini diranno “io”, ovvero fino a quando rimarrà vivo il mistero della personalità”[13].
Sono forse affermazioni parziali per l’esperienza di fede diffusa oggi in Italia, rendono però ragione e legittimità all’esistenza dell’educazione religiosa credente. Si parla di un’educazione religiosa che punti a formare e sviluppare la dimensione religiosa della persona, a cogliere le ragioni, le motivazioni e le emozioni che nascono dal relazionare il centro di noi stessi con il fondamento eterno e trascendente della realtà.
È ancora abbastanza diffusa, in Occidente, nelle diverse tradizioni religiose una visione della vita rigida, definitiva e senza tempo, dentro la quale non trovano posto le sensibilità e le domande religiose personali. Si prendono le distanze dalle verità di fede, vivendo la propria esperienza credente in modo soggettivo e individualistico”[14].
Il presupposto di ogni esperienza educativa credente è la certezza che i nostri piccoli passi quotidiani sono accompagnati e sorretti dalla grandezza vittoriosa di Dio, una Presenza di cui fidarsi e a cui affidarsi.
Il processo educativo alla dimensione credente deve aprirsi alle due prospettive: quella “dall’alto” propria dell’orizzonte della fede e quella dal “basso” dello studio e della ricerca con le risorse umane. Appellarsi alla fede “dall’alto” non vuol dire evadere dalle domande, come d’altra parte la fede ”dal basso” non significa,  alleggerire la fede trascurare la collaborazione con l’ampiezza e la continuità dell’azione di Dio.
Il modello di educazione della fede “dal basso” richiede di essere profondamente umani e di usare le risorse  umane della razionalità e dell’indagine scientifica in tensione pedagogica. Quello “dall’alto” è invece un processo in chiave praticante  e pastorale.
Entrambi convergono e si integrano nel doppio processo di una fede che muove “dal basso” verso” l’alto” (approccio sociologico) e” dall’ alto” verso “il basso” (approccio pastorale), per cui si intrecciano indissolubilmente la realtà di Dio e dell’uomo, in uno sfondo storico inevitabilmente chiaroscuro[15].
Anche il processo educativo della dimensione credente in ambito cristiano e in una prospettiva ermeneutica esistenziale è un evento pedagogico che avviene entro un cammino che si muove su due piste tra loro distinte e interconnesse: la via “dall’alto”, ossia attraverso la comprensione per rivelazione e la via “dal basso”, ossia attraverso la comprensione umana. Si tratta sempre di approccio di fede in entrambe le direzioni, ciascuna in autonomia e contemporaneamente aperte al reciproco dialogo e integrazione[16].
La prospettiva educativa ermeneutica esistenziale ha anche approfondito un modello scolastico di educazione religiosa[17], che mira a un approccio culturale aperto alla trascendenza e alla fede, in cui la riflessione sull’esperienza “dal basso” si fa presagio e invocazione di quanto ci può venire “dall’alto” [18].
In tutti e tre i modelli  il  processo di educazione alla fede non è un cammino facile e scontato, ma la fede non è raggiunta soltanto al termine del processo. La fede si fa e cresce, in ogni passo anche piccolo, come una domanda di senso, una percezione di verità, una segreta invocazione.
Anche l’educatore avverte tutta la fatica di un cammino che ha bisogno di una spiritualità dell’accompagnamento nell’amore e nella fiducia nonostante tutto[19]Dio non è una realtà altra, galleggiante sopra la vita, ma nella vita. Fa tutt’uno con l’esistenza umana, donandole il sapore e la gioia per ogni giorno.
 
NOTE
[1] Vedi il contributo di M. Marchetto, parte 2°, cap.1, “Educare alla dimensione esistenziale. La trascendenza nell’uomo. Cercare ciò che si è già trovato
[2] Il contributo del cap.3 della prima parte, “Esplorare i passaggi interiori” ha inteso proprio esplorare le caratteristiche psicologiche delle varie fasi di maturazione interiore a partire dalla fase prenatale alla adolescenza e oltre.
[3] O. BETZ, I simboli. Per comunicare l’esperienza e la fede, Ed. Paoline, Milano, p.31
[4] M. RECALCATI, L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica, Cortina, Milano 2010
[5] Vedi contributo parte 2°, cap.3, “Educare alla dimensione spirituale della persona” di N. Benazzi.
[6] Dio “e-duca”, “trae” dalla materia una potenzialità di essere vivente dell’uomo.
[7] Scrive R. Panikkar: “È evidente che le religioni non dicono la stessa cosa … Ma è altrettanto evidente che coloro che hanno compiuto un’esperienza profonda della realtà in modo concreto, come i mistici per esempio, non percepiscono incompatibilità tra di esse” R. PANIKKAR, Sol levante e sol calante, in Pluralismo e interculturalità. Culture e religioni in dialogo, Opera Omnia, Vol. VI, Tomo 1, Jaca Book, Milano, 2009, p. 233.
[8] Cfr. M.DIANA, Educare la dimensione religiosa, parte 2°, cap.3 di questo testo, paragrafo 2/c
[9] Il processo educativo religioso sta nel cammino di trasferimento dei bisogni di riconoscimento e sicurezza soddisfatti dall’accudimento della madre “sufficientemente buona”, ad un Assoluto o ad una alterità “sufficientemente buona”, capace di contenere l’originaria paura dell’abbandono e di sostenere la spinta verso l’autorealizzazione, la felicità e la pienezza della vita.
[10] Cfr. Ivi, paragrafo b. La differenza inconciliabile delle “verità relative” di ciascuna religione, cultura, individuo deve poter essere compatibile con l’idea di una “verità assoluta”.
[11] Cfr. C.BISSOLI, Educare alla dimensione di fede nella persona giovanile, cap.5.
[12] V. MANCUSO, Obbedienza e libertà. Critica e rinnovamento della coscienza cristiana, Fazi Editore, Roma 2012.
[13]  Ivi, cit., p. 59-60
[14] R. BICHI – P. BIGNARDI (a cura di), Dio a modo mio., cit.p.176
[15] Cfr. le categorie illustrate nella parte 2°, cap.5, di questo testo, al paragrafo n.1.  Nella prospettiva di fede cristiana in certo qual modo tutto ciò richiama e continua il mistero dell’Incarnazione.
[16] Ciò riflette e partecipa al mistero dell’Incarnazione come unità profonda tra Dio e l’uomo, sempre asserita e praticata nella Bibbia, realizzata perfettamente in Gesù. Cfr. C.BISSOLI, Educare alla dimensione di fede nella persona giovanile, cap.5, Conclusione generale
[17] Cfr. parte 2°, cap. 5,  al paragrafo 4. Educare alla fede in ambito scolastico: la prospettiva di Z.Trenti
[18] Il percorso educativo” dal basso” conserva una chiara intenzione di un compimento “dall’alto”, mentre  il “modello dall’alto o pastorale”, ha un continuo riferimento all’ impegno umano. Il modello è di continuo richiamato da Papa Francesco (e con lui, in Italia, dalla CEI), è  ultimamente sviluppato dal Sinodo dei giovani, codificato nell’Esortazione di papa Francesco Christus vivit.
[19] Qui si pone nel suo fascino il cammino di Emmaus scelto come icona che ha guidato il Sinodo dei giovani per essere icona della loro vita (cfr. Cristus vivit, n. 156).
Romio Roberto