Si può ancora incontrare Dio nella “società liquida”? La secolarizzazione e la scristianizzazione dell’Occidente sono segno della fine dei tempi o soltanto della fine di un’epoca e dell’inizio di un’altra? La società plurale e relativista è il nemico da combattere innalzando barriere e muri oppure può diventare l’occasione per annunciare il Vangelo in modo nuovo? La fine della civiltà cristiana e la difficoltà a trovare un comune denominatore nei “valori” e nella morale “naturale” segnano l’impossibilità di un dialogo tra credenti e non credenti o richiedono che questo sia proposto in forme nuove? Di fronte a una situazione che per certi versi assomiglia a quella degli inizi del cristianesimo, chi crede in Gesù come è chiamato a vivere?
Don Julián Carrón è da dodici anni alla guida del movimento di Comunione e Liberazione. Ha avuto il compito non facile di raccogliere il testimone da don Luigi Giussani, il quale, pur non avendo inteso «fondare niente», diede vita a un movimento che come tutte le realtà nuove ha fatto e fa discutere. In questo suo primo libro-intervista dialoga con il vaticanista Andrea Tornielli, non tanto con l’obiettivo di affrontare i temi più spinosi e interni alla vita di CL e della Chiesa, che pure non mancano in questo libro con domande e risposte scomode, ma anzitutto per raccontare qual è lo sguardo del movimento sul momento storico che stiamo vivendo, per riproporre – senza linguaggi autoreferenziali o per addetti ai lavori già “fidelizzati” – quale sia il nucleo essenziale della fede cristiana. Con particolare attenzione alla dinamica con cui il cristianesimo si è comunicato e si comunica.
Il dialogo schietto che il lettore troverà in queste pagine non è una biografia di don Julián Carrón e neppure un saggio sulla realtà ciellina. Rappresenta piuttosto il tentativo di porre e suscitare domande, per scoprire o riscoprire i contenuti del cristianesimo, chiedendosi se e come possano essere interessanti e nuovamente testimoniati in una società non ancora post-cristiana, ma già ben avviata a diventarlo.
 
Descrizione
Titolo: Dov’è Dio?
Autore: Julián Carrón
Pagine 216
Pubblicato a ottobre 2017
ISBN 978-88-566-6182-8
Costo 15,90 Euro
 
 
Carrón, la fede al tempo della grande distrazione
di Gianni Riotta
“Dov’è Dio?”: Il successore di don Giussani alla guida di Cl in un libro-conversazione con Andrea Tornielli
Memore dei giorni da inviato del Corriere della Sera al seguito di papa Paolo VI, in Terrasanta nel 1964, Eugenio Montale scrisse i versi di Come Zaccheo: «Si tratta di arrampicarsi sul sicomoro / per vedere il Signore se mai passi. / Ahimè, non sono un rampicante ed anche / stando in punta di piedi non l’ho mai visto». Lo scetticismo agro del poeta premio Nobel torna in mente leggendo Dov’è Dio? La fede cristiana al tempo della grande incertezza (Piemme), conversazione tra il presidente di Comunione e Liberazione don Julián Carrón e Andrea Tornielli, editorialista della Stampa. Quando Zaccheo, peccatore pubblicano, odiato esattore, al contrario di Montale, sale sull’albero per vedere il Cristo e ne scende convertito, è mosso da pentimento o solo da curiosità, si interroga Tornielli? Nella sua scommessa alla Pascal, c’è già un merito, sollevarsi sulla banale ripetizione del male, verso la luce? Tornielli riflette sulla parabola dei dieci lebbrosi guariti, di cui uno solo torna dal Messia, grato del miracolo: gli altri non è che siano duri di cuore, son proprio distratti, come tanti di noi, nel secolare XXI secolo, orfani del progresso illuminista.
Un deserto di idee
La grande «distrazione» del nostro tempo, la «secolarizzazione», prima ha svuotato le chiese, poi ha fatto un deserto di idee e speranze politiche e infine, via web, detona la furia iconoclasta di chi – come un ex allievo di don Carrón – è sicuro che «il sospetto» sia il solo modo giusto «per stare nel reale». Per Carrón, e Tornielli sembra concordare, che la Chiesa torni ad agire da minoranza, tra dei e idoli dell’indifferenza, è realtà che non deve indurre al nichilismo disperato, e neppure al fariseismo arrogante da cattolicesimo club dei Senza Macchia, con i forconi del moralismo ipocrita impugnati contro i peccatori. Carrón predica di Gesù che perdona l’adultera, Tornielli lo incalza: «L’Eucaristia “non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli” ci ricorda il Papa citando sant’Ambrogio…», la replica fa giustizia di ogni polemica su divorziati e no: «L’Eucaristia è per noi, per tutti noi, proprio perché siamo deboli…».
Dov’è Dio? si pone in un’ideale trilogia, dopo Vita di don Giussani di Alberto Savorana, 2013, e La bellezza disarmata, 2015, dello stesso Carrón (entrambi Rizzoli), per storicizzare l’opera del fondatore di CL Giussani, oggi in via di beatificazione, recidere errori e connivenze che hanno reso il movimento inviso a tanti, anche nella Chiesa, per legami non limpidi con politica e affari e un sospetto di integralismo, rimettere al centro il Vangelo. Carrón, già su Repubblica, nel 2012, «con dolore indicibile», confessava che «se il movimento di CL è continuamente identificato con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo averlo dato», e qui Tornielli gli elenca i momenti bui con onestà. Don Carrón non si sottrae al confronto, perfino davanti a una lettera, rinvenuta dai sicari Vatileaks, in cui criticava i cardinali di Milano Martini e Tettamanzi, proponendo al Vaticano, come loro successore, il Patriarca di Venezia Scola. Carrón non nega e, in morte del cardinal Martini, riconosce l’amarezza per non aver trovato «il modo più adeguato di collaborare alla sua ardua missione…».
Il candore di non ritenersi infallibili, così raro nella stagione dei tribuni digitali, anima queste pagine, e Tornielli chiede dunque, con sgomento, conto a don Carrón delle troppe voci, prossime a CL, che, con accanita rabbia, dilacerano papa Francesco a ogni passo. Carrón è risoluto: «Questo dissenso… pubblico… quotidiano… irriverente, con l’invito ad avere un atteggiamento negativo» verso il Papa «lo considero un danno per la vita della Chiesa».
Il Male al governo
Il lettore, come Zaccheo e al contrario di Montale, salga sul sicomoro e affronti la domanda vera del volume, Dov’è Dio, davanti a guerre, povertà, solitudine, con il Male al governo e il Bene braccato? Don Carrón non si rifugia nell’eterna saga di Giobbe, di cui il Dostoevskij dei Fratelli Karamazov ammette la scarsa presa sull’uomo moderno, e accetta la sfida dell’assurdo, come papa Benedetto XVI davanti a Shoah e tsunami – «Perché, Signore, hai taciuto?», o papa Francesco – «Perché soffrono i bambini?» – ammettendo di non avere risposte.
I polemisti foschi conteranno in ogni parola di Dov’è Dio? il dare e l’avere delle loro faide caduche. I teologi ragioneranno del Vangelo in aramaico e greco, su cui don Carrón avrebbe voluto passare la vita, se non fosse stato chiamato da Giussani alla guida di CL. Il suo vescovo spagnolo, Varela, rilutta, Giussani scrive a papa Giovanni Paolo II perché conceda il permesso. Arriva, annota Carrón, il 19 marzo 2004, san Giuseppe. Lo stesso giorno, 29 anni prima, divenne parroco di Casarrubuelos, villaggio di 600 anime, e sempre nella festa di San Giuseppe, 2005, venne eletto al vertice di CL. Né Carrón né Tornielli traggono auspici dalla ricorrenza, ma entrambi sembrano gioire nel tono fraterno, sereno, da parroco e fedele, del loro dialogo, entrambi curvi sull’interrogativo di T. S. Eliot, «È la Chiesa che ha abbandonato l’umanità, o è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa?», certi che «il cristianesimo si comunica attraverso i fatti», non i vacui precetti delle norme bacchettone.
in “La Stampa” del 15 ottobre 2017
 
 
Alla modernità liquida serve una cura e Carrón l’ha trovata: papa Francesco
di Antonio Polito

Il nuovo libro di don Julián Carrón, Dov’è Dio? , un’intervista con Andrea Tornielli, si può leggere in parallelo con L’innominabile attuale di Roberto Calasso. Non stupisca l’accostamento di personalità tanto diverse, un prete e un guru. Perché il soggetto che entrambi studiano è l’ homo saecularis , questo discendente dell’ homo sapiens che oggi domina l’Occidente, che si è un po’ alla volta scrollato di dosso tutti i pesi — tradizione, religione, morale — solo per finire attanagliato da una epocale crisi di panico: «Ha vinto — dice Calasso — ma gli manca qualcosa di essenziale».
Che cos’è quell’essenziale? Che cosa impedisce alla società secolarizzata di provare quantomeno soddisfazione, se non felicità, invece che angoscia e rabbia? È l’incontro con Cristo che le manca, argomenta Carrón, successore di don Giussani nella guida della Fraternità di Comunione e Liberazione. Nella parte più affascinante del libro, risale alle origini della modernità per spiegare la frattura che si è determinata tra società e cristianesimo. E l’origine è Kant, La religione entro i limiti della sola ragione . Quando la riforma protestante ruppe l’unità del mondo cristiano, e mise fine a un’epoca in cui «uomo» e «cristiano» erano sinonimi, l’Illuminismo tentò di salvare dalle guerre di religione i valori essenziali della morale e di basarli sulla sola loro evidenza razionale. Kant riconosceva che «se il Vangelo non avesse insegnato prima le leggi etiche universali nella loro integra purezza, la ragione non le avrebbe riconosciute nella loro compiutezza». E del resto altrove, al di fuori della tradizione giudaico-cristiana, non sempre è avvenuto. Però il filosofo credeva anche che fosse giunto il momento in cui se ne poteva fare a meno: «Dato che ormai quei valori esistono, ognuno può essere convinto della loro giustezza e validità mediante la sola ragione».
Due secoli dopo, si può dire che non è andata così. Valori che prima erano condivisi e riconosciuti da tutti, oggi non lo sono più. Il valore della persona, della vita, della solidarietà, persino quello della democrazia, vengono messi in discussione. Separandoli dalla sorgente cristiana, la modernità non è stata in grado di mantenerli nella loro forza e originale integrità, questo è il grido di Carrón. Ed è questa la ragione per cui ritiene che proprio oggi, proprio al culmine del processo di secolarizzazione, si riapra un grande spazio per il cristianesimo, sollecitato anzi dalla stessa cultura laica, sgomenta di fronte alla crisi dell’umanesimo provocata dalla modernità. Purché i cristiani, avverte l’autore, la smettano di guardare al mondo come un «abisso di perdizione», e lo vedano invece come un «campo di messe», per citare le metafore che don Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, usò nel 1929 in un editoriale su «Azione Fucina».
Di qui derivano conseguenze profonde per il dibattito in corso nel mondo cristiano. Negli Stati Uniti, per esempio, fa discutere il libro di Rod Dreher, l’autore dell’«opzione Benedetto», che paragona la modernità liquida al Diluvio Universale della Bibbia, e invita i cristiani a fare come il Santo da Norcia nel VI secolo, ritirarsi in nuovi conventi: «Costruirci delle arche con le quali sopravvivere, e con l’aiuto di Dio galleggiare fino a quando non vedremo di nuovo la terraferma, e potremo cominciare a ricostruire, ripiantare, rinnovare il mondo».
Carrón indica la via opposta, quella che lui chiama la «cura Francesco», la terapia di Papa Bergoglio: altro che ritirarsi, piuttosto buttarsi nel mondo. Sapendo però che l’unico modo in cui si possa farlo è tornando alle origini del messaggio cristiano: non presentarlo cioè come una dottrina, come un insieme di regole e formule, o una morale, una religione civile, una devozione privata. Ma piuttosto come un evento storico, un avvenimento, l’incontro con Cristo; che si comunica non per proselitismo, ma «per attrazione», scrive Francesco nella Evangelii gaudium. Un po’ come agli albori del cristianesimo, quando la gente guardava quei pazzi che credevano nell’uguaglianza degli uomini, che curavano i malati durante le epidemie, che rispettavano le donne e non le costringevano ad abortire né uccidevano le neonate, e cominciò a imitarli. «Il cristianesimo — dice Carrón — in fondo si comunica per invidia: vedendo che la vita cristiana è più piena, più intensa, più capace di abbracciare il diverso, di amare l’altro, si accende il desiderio di vivere così».
L’opzione Francesco, di cui il leader di Cl costantemente segnala la coerenza col magistero del fondatore, don Giussani, e la continuità con il papato di Benedetto XVI, è una vera scelta di campo per un Movimento che è stato a lungo raccontato come un bastione del conservatorismo, militante sul fronte dei «valori non negoziabili», un pezzo della destra cristiana, da cui non a caso provengono alcuni dei più affilati critici di questo papato. «Devo confessare che mi sfuggono le ragioni di simili posizioni», risponde netto Carrón. «Papa Francesco rappresenta una grazia per la Chiesa nel mondo di oggi. Chi non crede che Francesco sia la cura, non ha capito qual è la malattia».
in “Corriere della Sera” del 15 ottobre 2017
 
 
La sfida della fede nel mondo contemporaneo
di Giovanni Santambrogio
Julián Carrón, successore di don Giussani alla guida di Comunione e liberazione, è a Washington. Oggi, alla Georgetown University, conclude una settimana di presentazioni di Disarming Beauty, l’edizione inglese del suo libro La bellezza disarmata (Rizzoli, 2015). Lunedì era nell’Indiana e ieri a Montréal, in Canada. Nell’avamposto della cultura post-cristiana ha compiuto un serrato roadshow sulla sfida della fede nel mondo contemporaneo. Che sia lui a farlo non è strano. Conferma la dimensione globale del movimento ecclesiale che, nato nel 1954 al liceo milanese Berchet, ora è in tutto il mondo e a condurlo è un sacerdote spagnolo dell’Estremadura. Che poi il tour si svolga negli Usa non è altrettanto strano. La sfida cristiana va portata là dove la secolarizzazione risponde con l’indifferenza alla domanda di fede: se Dio c’è non è necessario. Ma la realtà che si presenta con i fatti della strage di Las Vegas, con i muri di Trump, le tensioni razziali, le forti disuguaglianze ripropone la domanda del poeta T.S Eliot: “Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo?”. Se tutto scivola verso il pessimismo, con un cristianesimo in ritirata e ripiegato su nostalgie del passato, Carrón va in tutt’altra direzione. «Questo è il grande momento della chiesa», ripete senza soste. Un pensiero positivo e controcorrente reso ancora più esplicito dal libro Dov’è Dio?, edito da Piemme e nelle librerie da martedì (212 pagine, 15,90 euro).
Si tratta di una conversazione con il vaticanista Andrea Tornielli che l’anno scorso, sempre per Piemme, ha pubblicato Il nome di Dio è Misericordia, libro-intervista con Papa Francesco. Il giornalista de La Stampa, responsabile del sito Vaticaninsider.it, non fa sconti e non risparmia le domande più scomode riguardo al passato di Cl – i compromessi con la politica, la stagione degli affari, l’integralismo – e all’oggi: l’autoreferenzialità, le fratture interne, le tentazioni tradizionalistiche, le critiche che serpeggiano sulla conduzione del movimento e quelle al Papa da parte di alcuni suoi esponenti laici e non. Carrón non rifugge, al contrario spiega. Ricorda anche di aver chiesto scusa con una lettera pubblicata in prima pagina da Repubblica l’1 maggio 2012. Decisione che fece scalpore. «Ho chiesto perdono – dice – se con la nostra superficialità e mancanza di sequela abbiamo recato danno alla memoria di don Giussani, ben consapevole del bisogno che tutti noi abbiamo della misericordia di Cristo».
Il cuore del libro, però, non sta in queste risposte ma nella proposta e nella testimonianza della fede al tempo della grande incertezza dentro il profondo cambiamento d’epoca. Qui si situa il paradosso della secolarizzazione: «Sono venuti meno ideali e ideologie, sono crollati valori ed evidenze che ci hanno accomunato per secoli, ma il cuore dell’uomo continua a desiderare: perciò la secolarizzazione può trasformarsi veramente in una grande occasione di testimonianza per noi cristiani». Quale cristianesimo? Quello che suscita «un’attrattiva». Spesso, sottolinea Carrón, sono i borderline, le persone lontane a cogliere la novità della proposta cristiana perché provocati dai fatti della vita e dall’esperienza di un incontro con uomini che agiscono con la fede nel cuore e negli occhi. Ciò che i credenti devono tornare ad esprimere è «la consapevolezza del valore “conoscitivo” dell’incontro cristiano, cioè del fatto che solo in forza di ciò che abbiamo incontrato possiamo guardare la vita, la famiglia, il rapporto con gli altri, il dolore. Per capire occorre fare un’esperienza. Solo perché ha incontrato Cristo, san Paolo ha potuto capire quello che prima non capiva». Accanto al pensiero di don Giussani, Carrón cita sant’Agostino e Leopardi, Rebora e Pavese, Kant e Moravia, Rilke e Ibsen, Arendt ed Einstein oltre ai teologi von Balthasar, De Lubac, Guardini, Ratzinger.
La fede è dialogo stretto con la ragione. Credere è «accorgersi della propria incompiutezza», ricucire le distanze con se stessi, riconoscere il dramma e aprirsi al proprio bisogno: «A chi interessa Gesù? A chi ne ha bisogno. E chi ne ha bisogno? Chi è cosciente delle proprie ferite, delle proprie malattie, del proprio male, della propria insoddisfazione». L’uomo che si sente mancante avverte la concretezza del mistero, coglie la «presenza presente di Cristo» nella realtà degli uomini. Il cristianesimo è storia e la fede si muove in essa. E un volto è la Chiesa nelle sue diverse espressioni, istituzionali e non. Sulla Chiesa la conversazione si sofferma a specificare il carisma di Cl, i suoi rapporti con le gerarchie e a raccontare, con particolari inediti, la lunga stagione dei Papi che hanno accompagnato e sostengono, valorizzandola, l’avventura di Comunione e liberazione: Wojtyla, Ratzinger e ora Bergoglio. Fu Giovanni Paolo II a permettere che Julián Carrón assumesse la guida del movimento. Don Giussani lo aveva scelto, ma, l’arcivescovo di Madrid, Antonio María Rouco Varela, lo voleva in seminario a insegnare. Giussani si rivolse direttamente al Papa che ne parlò all’arcivescovo. Varela chiamò Carrón: «Il Papa me lo ha chiesto, puoi andare».
in “Il Sole 24 Ore” del 15 ottobre 2017