Il cardinale Robert Sarah risponde alle domande di Nicolas Diat con chiarezza, umiltà e una profonda spiritualità, raccontando la sua incredibile storia. Un racconto puntellato di riflessioni personali sincere, argomentate e talvolta dirette, particolarmente sul neo-colonialismo ideologico esercitato in Africa dall’occidente decadente. Dall’omaggio all’intelligenza della liturgia di Papa Benedetto alle grandi questioni come la famiglia, dall’eredità del Concilio Vaticano II alla forza missionaria di Giovanni Paolo II, dall’umiltà di Benedetto alla radicalità evangelica di Francesco, il cardinale Sarah risponde a tutto campo con una parola semplice e ferma, sempre radicata nella preghiera. Scorrendo le pagine, il lettore non è mai aggredito, semmai rinnovato, edificato dalla trasparenza e dalla fede di quest’uomo di Chiesa, animato da un ardente amore per Cristo e consapevole di non appartenersi più.
 
La “recensione” del libro fatta dal papa emerito Benedetto XVI, in una lettera al cardinale Sarah
“Ho letto ‘Dieu ou rien’ con grande profitto spirituale, gioia e gratitudine. La sua testimonianza della Chiesa in Africa, della sua sofferenza durante il tempo del marxismo e di una vita spirituale dinamica, ha una grande importanza per la Chiesa, che è un po’ spiritualmente stanca in Occidente. Tutto ciò che lei ha scritto per quanto riguarda la centralità di Dio, la celebrazione della liturgia, la vita morale dei cristiani è particolarmente rilevante e profondo. La sua coraggiosa risposta ai problemi della teoria del ‘genere’ mette in chiaro in un mondo obnubilato una fondamentale questione antropologica”.
 
Beve Biografia
Robert Sarah, è africano della Guinea, ha 70 anni. Era ai più uno sconosciuto, prima che un suo libro-intervista uscito in Francia un mese fa rivelasse il suo stupefacente profilo. Francesco l’ha sorprendentemente promosso, lo scorso novembre, a prefetto della congregazione vaticana per il culto divino, una nomina forte per la nuova curia in via di riforma.
Per la Chiesa è il momento dell’Africa, continente di convertiti, erano 2 milioni i cattolici nel 1900 e sono 200 milioni oggi, e terra di martiri, sgozzati come agnelli sulle rive del Mediterraneo o trucidati il Giovedì Santo in un campus universitario del Kenya. Anche di questo è fatta la biografia di Sarah.
Nasce in un remoto villaggio della savana, in una famiglia fresca di conversione. A 12 anni è circonciso e iniziato alla vita adulta nella foresta. Studia per farsi prete e lo diventa, mentre la sua Guinea è sotto il regime sanguinario del marxista Sekou Touré, con il vescovo di Conakry, la capitale, imprigionato e torturato.
Studia teologia a Roma, alla Gregoriana e soprattutto al Biblico, con rettore Carlo Maria Martini e con maestri come Lyonnet, Vanhoye, de la Potterie. Va per un anno alla prestigiosa École Biblique di Gerusalemme.
E poi torna umile parroco nella sua Guinea, a piedi nella savana per raggiungere l’ultimo fedele, tra una popolazione a maggioranza musulmana. Finché nel 1978 Paolo VI lo fa vescovo, il più giovane del mondo, a 33 anni. E gli affida Conakry, con Sekou Touré sempre più inferocito contro questo nuovo pastore indomito difensore della fede. Dopo la morte improvvisa del tiranno, nel 1984, scopriranno che Sarah era il primo sulla lista dei nemici da eliminare.
A Roma lo chiama Giovanni Paolo II nel 2001 e lo fa segretario della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, a prendersi cura delle oltre mille diocesi dei paesi di missione. E quando il suo prefetto si ammala diventa, dal 2008, l’effettivo numero uno di Propaganda Fide, a contatto personale con Benedetto XVI che nel 2010 lo fa cardinale e presidente di “Cor unum”.
Per papa Joseph Ratzinger Sarah ha una sconfinata ammirazione. Condivide con lui l’idea che per la Chiesa d’oggi la priorità assoluta è portare Dio nel cuore delle civiltà, sia quelle d’antica cristianità offuscata o rinnegata, sia quelle ancora pagane.
È lo stesso obiettivo che egli attribuisce al Concilio Vaticano II. Questo e non altro, perché l’eclisse di Dio è il decadimento dell’uomo. “Dieu ou rien”, Dio o niente, è il titolo del suo libro, più di quattrocento pagine folgoranti per profondità e per nettezza.
Anche la carità ai reietti del mondo deve rivelare Dio. Senza sconti. Non è accettabile, dice Sarah, che “mentre dei cristiani muoiono per la loro fedeltà a Gesù, in Occidente degli uomini di Chiesa discettino per ridurre al minimo le esigenze del Vangelo”.
 
Informazioni sul testo
Titolo  Dio o niente – Conversazione sulla fede con Nicolas Diat
Autore Robert Sarah
Editore Cantagalli Edizioni
EAN 9788868791797
Pagine 376
Data settembre 2015
Altezza 22 cm
Larghezza 14,5 cm
 
 
PAGINE SCELTE DA “DIEU OU RIEN”
di Robert Sarah
 
MISERICORDIA SENZA CONVERSIONE
Ormai non si sbaglia quando si constata che esiste una forma di rifiuto dei dogmi della Chiesa, o una distanza crescente tra gli uomini, i fedeli e i dogmi. Sulla questione del matrimonio, esiste un fossato tra un certo mondo e la Chiesa. La domanda è alla fine molto semplice: è il mondo che deve cambiare attitudine o la Chiesa la sua fedeltà a Dio? Perché se i fedeli amano ancora la Chiesa e il papa, ma non applicano la sua dottrina, non cambiando niente nelle loro vite, nemmeno dopo essersi recati ad ascoltare il successore di Pietro a Roma, che futuro dobbiamo aspettarci?
Molti fedeli gioiscono a sentir parlare della misericordia divina, e sperano che la radicalità del Vangelo potrà mitigarsi anche a favore di coloro che hanno fatto la scelta di vivere in rottura con l’amore crocifisso di Gesù. Pensano che a causa dell’infinita bontà del Signore tutto è possibile, anche decidendo di non cambiare niente della loro vita. Per molti, è normale che Dio versi su di loro la sua misericordia mentre dimorano nel peccato. Non capiscono che la luce e le tenebre non possono coesistere, nonostante i molteplici appelli di san Paolo: “Che diremo dunque? Rimaniamo nel peccato perché abbondi la grazia? No di certo!” […]
Questa confusione esige risposte rapide. La Chiesa non può più andare avanti come se la realtà non esistesse: non può più accontentarsi di entusiasmi effimeri, che durano lo spazio di grandi raduni o di assemblee liturgiche per quanto belle e ricche siano. Non potremo più a lungo risparmiare una riflessione pratica sul soggettivismo in quanto radice della maggior parte degli errori attuali. A che serve sapere che l’account twitter del papa è seguito da centinaia di migliaia di persone se gli uomini non cambiano concretamente le loro vite? A che serve allineare le cifre mirabolanti delle folle che fanno ressa davanti ai papi se non siamo sicuri che le conversioni siano reali e profonde? […]
Di fronte all’ondata di soggettivismo che sembra travolgere il mondo, gli uomini di Chiesa devono guardarsi dal negare la realtà, beandosi di apparenze e di gloria ingannevoli. […] Per mettere in moto un cambiamento radicale della vita concreta, l’insegnamento di Gesù e della Chiesa deve raggiungere il cuore dell’uomo. Due millenni fa, gli apostoli hanno seguito Cristo. Hanno lasciato tutto e la loro esistenza non è stata più la stessa. Ancor oggi il cammino degli apostoli è un modello.
La Chiesa deve ritrovare una visione. Se il suo insegnamento non è compreso, non deve temere di rimettere cento volte alla prova le sue capacità. Non si tratta di rammollire le esigenze del Vangelo o di cambiare la dottrina di Gesù e degli apostoli per adattarsi alle mode evanescenti, ma di rimetterci radicalmente in causa sulla maniera in cui noi stessi viviamo il Vangelo di Gesù e presentiamo il dogma.
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NESSUNO, NEMMENO IL PAPA…
Francesco ha intitolato un capitolo della sua esortazione: “La realtà è più importante dell’idea”. […] Io penso che il papa desideri ardentemente dare alla Chiesa il gusto del reale, nel senso che dei cristiani e anche dei chierici possono talvolta avere la tentazione di nascondersi dietro a delle idee per dimenticare le situazioni reali delle persone.
All’opposto, alcuni temono che questa concezione del papa metta in pericolo l’integrità del magistero. Il dibattito recente sul problema dei divorziati e dei risposati è stato spesso condotto da questo tipo di tensione.
Da parte mia, non credo che il pensiero del papa sia di mettere in pericolo l’integrità del magistero. In effetti, nessuno, nemmeno il papa, può demolire o cambiare l’insegnamento di Cristo. Nessuno, nemmeno il papa, può opporre la pastorale alla dottrina. Sarebbe ribellarsi contro Gesù Cristo e il suo insegnamento.
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UNA NUOVA FORMA DI ERESIA
Stando alla mia esperienza, in particolare dopo ventitré anni come arcivescovo di Conakry e nove anni come segretario della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, la questione dei credenti divorziati o risposati civilmente non è una sfida urgente per le Chiese dell’Africa e dell’Asia. Al contrario, si tratta di un’ossessione di certe Chiese occidentali che vogliono imporre delle soluzioni dette “teologicamente responsabili e pastoralmente appropriate”, le quali contraddicono radicalmente l’insegnamento di Gesù e del magistero della Chiesa. […]
Di fronte alla crisi morale, in modo particolare a quella del matrimonio e della famiglia, la Chiesa può contribuire alla ricerca di soluzioni giuste e costruttive, ma non ha altre possibilità che di parteciparvi facendo riferimento in modo vigoroso a ciò che la fede in Gesù Cristo apporta di proprio e di unico all’impresa umana. In questo senso, non è possibile immaginare una qualsiasi distorsione tra il magistero e la pastorale. L’idea che consisterebbe nel riporre il magistero in un bello scrigno separandolo dalla pratica pastorale, la quale potrebbe evolvere a seconda delle circostanze, delle mode e delle passioni, è una forma di eresia, una pericolosa patologia schizofrenica.
Affermo dunque solennemente che la Chiesa d’Africa si opporrà fermamente a ogni ribellione contro l’insegnamento di Gesù e del magistero. […]
Come potrebbe un sinodo ritornare sull’insegnamento costante, concorde e approfondito del beato Paolo VI, di san Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI? Io pongo la mia fiducia nella fedeltà di Francesco.
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IL VERO SCANDALO, NEL SECOLO DEI MARTIRI
I martiri sono il segno che Dio è vivo e sempre presente in mezzo a noi. […] Nella morte crudele di tanti cristiani fucilati, crocifissi, decapitati, torturati e bruciati vivi si compie “il rovesciamento di Dio contro se stesso” per il sollievo e la salvezza del mondo. […]
[Ma] mentre dei cristiani muoiono per la loro fede e la loro fedeltà a Gesù, in Occidente degli uomini di Chiesa cercano di ridurre al minimo le esigenze del Vangelo.
Arriviamo persino a utilizzare la misericordia di Dio, soffocando la giustizia e la verità, per “accogliere – secondo i termini della ‘Relatio post disceptationem’ del sinodo sulla famiglia dell’ottobre 2014 – le doti e le qualità che le persone omosessuali hanno da offrire alla comunità cristiana”. Questo documento proseguiva inoltre affermando che “la questione omosessuale ci interpella in una seria riflessione su come elaborare cammini realistici di crescita affettiva e di maturità umana ed evangelica integrando la dimensione sessuale”. In realtà il vero scandalo non è l’esistenza dei peccatori, poiché la misericordia e il perdono esistono sempre per loro, bensì la confusione tra il bene e il male, operata dai pastori cattolici. Se degli uomini consacrati a Dio non sono più capaci di comprendere la radicalità del Vangelo, cercando di anestetizzarlo, andremo fuori strada. Perché ecco la vera mancanza di misericordia.
Mentre centinaia di migliaia di cristiani vivono ogni giorno con la paura in corpo, alcuni vogliono evitare che soffrano i divorziati risposati, che si sentirebbero discriminati essendo esclusi dalla comunione sacramentale. Malgrado uno stato di adulterio permanente, malgrado uno stato di vita che testimonia un rifiuto di adesione alla Parola che eleva coloro che sono sposati sacramentalmente a essere il segno rivelatore del mistero pasquale di Cristo, certi teologi vogliono dare l’accesso alla comunione eucaristica ai divorziati risposati. La soppressione di questo divieto della comunione sacramentale ai divorziati risposati, che si sono autorizzati essi stessi a passare oltre alla Parola di Cristo – “L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto” – significherebbe chiaramente la negazione dell’indissolubilità del matrimonio sacramentale. […]
Esiste oggi un’opposizione e una ribellione contro Dio, una battaglia organizzata contro Cristo e la sua Chiesa. Come comprendere che dei pastori cattolici sottomettano al voto la dottrina, la legge di Dio e l’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità, sul divorzio e il secondo matrimonio, come se la Parola di Dio e il magistero debbano ormai essere vidimati, approvati dal voto della maggioranza?
Gli uomini che edificano e strutturano delle strategie per uccidere Dio, demolire la dottrina e l’insegnamento secolari della Chiesa saranno essi stessi inghiottiti, precipitati dalla loro vittoria nella Geenna eterna.
 
 
 

Intervista al card. Robert Sarah

Intervista al Cardinale Robert Sarah pubblicata su L’Homme Nouveau/n.1588 e tradotta dall’originale. Padre Claude Barthe e Philippe Maxence si sono intrattenuti informalmente col cardinale guineano.
 
Philippe Maxence, “Dio o niente”, Eminenza, è il programma della santità.Vuole essere un santo?
Cardinale Robert Sarah: Sì, perché questa è la nostra prima vocazione: essere santi, perché il Signore nostro Dio è santo. Con Dio o nulla, vorrei giungere a mettere Dio al centro dei nostri pensieri, al centro del nostro agire, al centro della nostra vita, l’unico posto che Egli dovrebbe occupare. In modo che il nostro cammino di cristiani possa gravitare intorno a questa roccia e a questa ferma certezza della nostra fede. Con questo libro, voglio testimoniare la bontà di Dio, attraverso il racconto della mia esperienza. Dio è al primo posto nella nostra vita, perché Egli ci ama e che il modo migliore per farlo è amarLo il centuplo. Il mondo occidentale ha purtroppo dimenticato la centralità dell’amore divino. E necessario recuperare questa relazione con Dio. Per questo, la mia testimonianza è lì per invitare il mondo a non rifiutare Dio. Quando guardo la mia vita, vi vedo, infatti, il segno reale della predilezione divina. Vengo da una semplice famiglia africana e da un villaggio molto remoto dal centro della città. Chi avrebbe potuto dire quando sono nato tutto ciò che Dio avrebbe compiuto? Per diventare seminarista e sacerdote, sono andato dalla Guinea al Senegal passando per la Costa d’Avorio e la Francia. Successivamente, sono diventato vescovo di Conakry in condizioni difficili. Poi sono stato chiamato a Roma, nel cuore della Chiesa. Come tacere, dal momento che ogni fase della mia vita forma un chiarissimo segno dell’azione di Dio su di me?
 
don Claude Barthe: Quali sono i punti di forza e di debolezza del cattolicesimo africano?
RS: Lei ha ragione a parlare di punti di forza e di debolezza. La Chiesa in Africa è ancora giovane, e tutto ciò che è giovane e fragile. È quindi necessario aumentare il numero di cristiani, non solo in termini quantitativi, ma anche assimilando sempre meglio il Vangelo, aiutando i cristiani a vivere pienamente, senza esitazioni o compromessi, in teoria e in pratica, le esigenze della fede cristiana. I Papi hanno sempre spinto in quella direzione. Quando Paolo VI, nel 1969, designava l’Africa come una «nuova patria di Cristo – nova patria Christi Africa»​​, ha ricordato una realtà che non esclude la necessità per noi africani di accogliere sempre più profondamente il Vangelo. Quando si incontra il Vangelo e quando il Vangelo ci penetra, esso ci destabilizza, ci trasforma, ci cambia radicalmente e ci fornisce orientamenti e riferimenti morali nuovi. È per questo che chiedo davvero con tutto il cuore che Cristo viva in Africa perché l’Africa è oggi la sua nuova patria. Ma nello stesso tempo nella Chiesa africana c’è un vero e proprio dinamismo e penso che davvero essa sia chiamata ad avere un ruolo nella Chiesa universale. La Chiesa in Africa risponde profondamente al progetto di Dio. L’ha voluto fin dalle origini. Quando parlo delle origini, non mi riferisco solo a Sant’Agostino, ma penso anche al fatto che è un paese africano, l’Egitto, che ha accolto la Sacra Famiglia, che ha salvato Gesù. È sempre un africano, Simone di Cirene, che aiutò Cristo a portare la sua croce verso il Golgota. L’Africa è stata coinvolta nella storia della salvezza fin dall’inizio. E oggi, nel contesto di profonda crisi, che vede la fede stessa in discussione e valori respinti, credo fermamente che l’Africa possa apportare nella sua povertà, nella sua miseria, i suoi beni più preziosi : la fedeltà a Dio, al Vangelo, il suo impegno per la famiglia, per la vita, in un momento storico in cui l’Occidente dà l’impressione di voler imporre valori opposti.
 
Don CB: Ci sono molti sacerdoti in Africa. È preoccupato per la mancanza di formazione del clero, come troppo spesso accade in Francia?
RS: Abbiamo molte vocazioni, ma formazione ed esperienza non sufficientemente solide. Vedete, abbiamo spesso giovani sacerdoti che, dopo aver completato gli studi a Parigi o Roma, sono immediatamente chiamati ad insegnare nei seminari. Non ne hanno esperienza sufficiente né realmente consolidata dal tempo e da un rapporto personale con Gesù. Si trovano nella situazione di coloro che hanno delle conoscenze senza effettivamente assimilato sul campo. La nostra tragedia non è la mancanza di sacerdoti, ma la mancanza di sacerdoti veramente configurati a Cristo e divenuti ipse Christus : Cristo stesso. In qualche modo, noi siamo troppi come sacerdoti. Oggi siamo più di 400.000 sacerdoti nel mondo. Già agli inizi del VII secolo san Gregorio Magno scriveva: «Il mondo è pieno di sacerdoti, ma raramente si incontra un operaio nella messe di Dio; noi accettiamo la funzione sacerdotale, ma non facciamo il lavoro corrispondente a questa funzione». Cos’è che ha rivoluzionato il mondo? Dodici Apostoli totalmente incorporati da Gesù, presi da Gesù. Ci manca questo tipo di sacerdoti. Certamente essi hanno studiato molti testi scientifici, ma si ritrovano incapaci di nutrire il popolo di Dio e portarlo verso la radicalità del Vangelo, perché essi stessi non hanno davvero visto o incontrato Cristo personalmente. Dovrebbero essere come Sant’Agostino. Malgrado le sue doti eccezionali di teologo, le sue parole scaturivano dal suo cuore e dall’esperienza. Questo è il profilo di sacerdoti che vorrei!
 
Don CB: Il modo in cui è stata fatta la riforma liturgica e lo spirito liturgico in cui di conseguenza si realizza la formazione dei sacerdoti che non li allontanano dal modello sacerdotale che lei propone?
RS: Constatiamo sempre più che l’uomo cerca di prendere il posto di Dio, che la liturgia diventa un semplice gioco umano. Se le celebrazioni eucaristiche si trasformano in luoghi di applicazione delle nostre ideologie pastorali e di opzioni politiche di parte che nulla hanno a che vedere con il culto spirituale per celebrare come voluto da Dio, il pericolo è immenso. Mi appare urgente mettere più attenzione e fervore nella formazione liturgica dei futuri sacerdoti. La loro vita interiore e la fecondità del loro ministero sacerdotale dipendono dalla qualità del loro rapporto con Dio nel faccia a faccia quotidiano che la liturgia ci dona di sperimentare.
 
Don CB: Nel suo libro racconta, a proposito di tale genere di scelte, l’episodio della rimozione del baldacchino della cattedrale di Conakry da parte del vescovo Tchidimbo.
RS: Sì, è stata una riforma liturgica alla francese! Volevamo migliorare la partecipazione del popolo di Dio nella liturgia, senza mettere in discussione forse abbastanza sul significato di questa «partecipazione». Che cosa significa «prendere parte alla liturgia?». Questo significa entrare pienamente nella preghiera di Cristo. Nulla a che vedere con il rumore, l’agitarsi e il fatto che ognuno rivesta un ruolo come in un teatro. Si tratta di entrare nella preghiera di Gesù, di immolarsi con lui, di essere in qualche modo transustanziati e diventare noi stessi, ostie viventi, sante e gradite a Dio. È esattamente ciò che intende S. Gregorio Nazianzeno, quando ha detto: «Noi parteciperemo alla Pasqua (…). Ebbene, quanto a noi, partecipiamo (…) in un modo perfetto. (…) Offriamo in sacrificio, non giovani tori o agnelli con corna e zoccoli (…). Offriamo a Dio un sacrificio di lode sull’altare celeste in unione con i cori del Cielo. Ciò che sto per dire va oltre: è noi stessi che dobbiamo offrire in sacrificio a Dio; offriamogli ogni giorno tutta la nostra attività. Accettiamo tutto per Cristo; con le nostre sofferenze, imitiamo la sua passione; col nostro sangue, onoriamo il suo sangue; saliamo verso la Croce con fervore! ». Non si tratta di distribuirci ruoli o funzioni. A poco a poco, siamo chiamati ad entrare nel mistero dell’Eucaristia e celebrarlo come Gesù e come la Chiesa lo ha sempre celebrato. L’Eucaristia deve assimilarci a Cristo, farci diventare un unico essere con Cristo. Io stesso divento Cristo. Benedetto XVI è stato chiaro sul fatto che la chiesa non si costruisce a colpi di rotture, ma nella continuità. la Sacrosanctum Concilium, il testo conciliare sulla santa liturgia non sopprime il passato. Ad esempio, non ha mai chiesto di sopprimere il latino o la soppressione della Messa di San Pio V.
 
Don CB: Lei sottolinea la necessaria perennità dell’insegnamento morale della Chiesa, nonostante le pressioni delle correnti relativistiche. È l’intera del magistero. Come considerare, per il futuro, la funzione di questo Magistero?
RS: Bisogna assolutamente conservare fedelmente e accuratamente i dati essenziali della fede cristiana in una intelligenza che cerca di esplorarli in profondità e comprenderli in maniera attiva e sempre nuova. Ma dobbiamo mantenere intatto il deposito della fede e tenerlo al riparo da qualsiasi violazione e da qualsiasi alterazione. Se la Chiesa comincia a parlare come il mondo e ad adottare il linguaggio del mondo, dovrà accettar di cambiare il suo modo di giudizio morale, e, quindi, dovrà abbandonare la sua pretesa di voler illuminare e guidare le coscienze. Così facendo la Chiesa dovrà abbandonare la sua pretesa di essere luce di verità per i popoli. «Dovrà rinunciare a dire che ci sono beni che sono dei fini, che è nobile che l’uomo li persegua non soltanto come valore ma come obiettivo. Soprattutto, dovrà rinunciare a dire che ci sono atti che sono intrinsecamente malvagi di per sé e che nessuna circostanza li consente». Quindi penso che il Magistero deve stare fermo come una roccia. Infatti, se si crea un dubbio, se il magistero si situa nel tempo in cui viviamo, la Chiesa non ha più il diritto di insegnare. L’urgenza effettiva di oggi sta nella stabilità che deve avere l’insegnamento della Chiesa. Il Vangelo è lo stesso. Non cambia. Naturalmente c’è sempre bisogno di un lavoro di formulazione per raggiungere meglio le persone, ma non possiamo, con il pretesto che esse non ascoltano più, adattare la formulazione della dottrina di Cristo e della Chiesa alle circostanze, alla storia o alla sensibilità di ognuno. Se si crea un magistero instabile, si crea un dubbio permanente. C’è un lavoro enorme da fare a questo proposito: rendere comprensibile l’insegnamento della Chiesa, mantenendo intatta la dottrina di base. Ed è per questo che è inammissibile separare la pastorale dalla dottrina: una pastorale senza dottrina è una pastorale costruita sulla sabbia.
 
Don CB: Sembra che oggi nella Chiesa non ci un sia limite definito tra coloro che sono fuori e coloro che sono dentro. In Francia, per esempio, ci sono università cattoliche in cui sono esplicitamente insegnate eresie e rimangono « cattoliche ». Nell’ultimo Sinodo, alcuni hanno sostenuto la sua linea, ma altri hanno detto il contrario. Ora tutti sono dati come « cattolici ». Per il bene delle anime, non dovremmo tornare, non solo ad un insegnamento chiaro, ma anche all’affermazione esplicita che questo o quello non è cattolico?
Penso sia grave lasciare che un sacerdote o un vescovo dica cose che minano o rovinano il deposito della fede, senza chiedergliene conto. Come minimo, Bisognerebbe interpellarlo e chiedergli di spiegare i motivi delle sue osservazioni, senza esitare a richiedere la riformulazione in modo coerente con la dottrina e l’insegnamento secolare della Chiesa. Non possiamo permettere che la gente dica o scriva qualunque cosa sulla dottrina, la morale; cosa che attualmente disorienta i cristiani e crea grande confusione su ciò che Cristo e la Chiesa ha sempre insegnato. La Chiesa non deve mai rinunciare al suo titolo di Mater et Magistra : il suo ruolo di madre e di educatrice del popolo. Come sacerdoti, vescovi o semplici laici, sbagliamo a non dire che qualcosa non va. La Chiesa non deve esitare a denunciare il peccato, il male e ogni cattiva condotta o perversione umana. La Chiesa assume, per conto di Dio, un’autorità paterna e materna. E questa autorità è un servizio umile per il bene dell’umanità. Oggi soffriamo un deficit di paternità. Se un padre di famiglia non dice nulla ai suoi figli sul loro comportamento, non agisce come un vero padre. Egli tradisce la sua ragione e la sua missione paterna. Il primo dovere di un vescovo, quindi, è quello di interpellare un prete, quando le su dichiarazioni non sono conformi alla dottrina. Questa è una responsabilità pesante. Quando Giovanni Battista ha detto ad Erode: «Tu non hai il diritto di prendere la moglie di tuo fratello» , ci ha rimesso la vita. Purtroppo, oggi l’autorità spesso tace per paura di passare come particolarmente intollerante o di capitolare. Come se mostrare la verità a qualcuno significasse volgersi agli intolleranti o fondamentalisti mentre si tratta di un atto di amore.
 
In Francia, il cattolicesimo istituzionale è in declino mentre la base – il cosiddetto «nuovo cattolicesimo» – è giovane e dinamico. Ma c’è un divario tra questo cattolicesimo di base e molti pastori. Non c’è un problema nella nomina dei vescovi?
Mi ponete una domanda difficile. Lasciamo che lo Spirito Santo ci lavori, trasformi e rinnovi. Fu lui infatti a rinnovare la faccia della terra. È lui che vivifica e santifica la Chiesa. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, vorrei semplicemente dare questa informazione. La lista dei nomi dei candidati all’episcopato di solito è offerta dalla Conferenza Episcopale Nazionale. La Conferenza Episcopale, consapevole delle sfide di oggi, dei problemi della Chiesa di Francia e della diocesi a provvedervi, suggerisce candidati degni e idonei. La nomina di un vescovo è una enorme responsabilità di fronte a Dio e alla Chiesa. I nomi dei candidati all’episcopato, in altre parole, la « terna » sono presentati al Nunzio Apostolico. Il Nunzio Apostolico, dopo aver ottenuto l’approvazione del dicastero competente, conduce indagini su ciascun candidato. Il nunzio e Roma danno totale fiducia alla coscienza, alla giustizia e all’onestà delle informazioni. Se tutto è fatto nel timore di Dio e per il bene della Chiesa, non c’è ragione che il contributo degli informatori non possa aiutare il Papa a scegliere buoni vescovi. Tutto dipende dalla chiesa locale. Ma vorrei anche sottolineare che a volte ottimi preti non sono fatti per essere vescovi. A volte un buon sacerdote, una volta vescovo divenga irriconoscibile, perché l’autorità, l’esercizio del potere lo hanno cambiato profondamente. Invece di essere un padre, un leader spirituale e un pastore, diventa un capo difficile e povero nei rapporti umani.
 
Dieu ou rien, Entretien sur la foi, Fayard, 422 p., 21,90 €.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]