Molti dei maggiori movimenti ecclesiali attuali hanno superato i cinquant’anni dalla fondazione. La maggior parte tra loro hanno preparato e diffuso la spinta innovativa del Concilio Vaticano II: alcuni ne hanno anticipato le tematiche: movimento liturgico, biblico, patristico, ecc.; altri ne hanno anticipato la spinta evangelizzatrice: Focolarini, Opus Dei, Comunione e liberazione, Cursillos di Cristianità, Equipes Notre-Dame, ecc. ; altri ancora, nati dalla grande esperienza del Concilio, ne hanno diffuso in tutta la Chiesa la spinta riformatrice: Carismatici, Neocatecumenali, ecc.; altri movimenti infine sono nati negli ultimi decenni del novecento per rispondere alle nuove istanze di evangelizzazione, di emarginazione ed esclusione sociale del post capitalismo. Comune a tutti è stata la prospettiva e la strategia delle avanguardie che partivano dalla cittadella della Chiesa per diffondere l’annuncio evangelico nel mondo. Movimenti delle elite cristiane che partivano alla conquista o riconquista di un mondo che aveva dimenticato le sue radici cristiane ed aveva assoluta necessità di una rifondazione della societas cristiana.
La novità dell’azione rivoluzionaria di papa Francesco è quella di aver sposato il baricentro dell’interesse dal dentro al fuori, dal centro alle periferie, dalle elite al popolo, dai cristiani a tutti gli uomini di buona volontà, dalla predicazione all’azione, dall’annuncio alla testimonianza, ecc. Sintomatiche sono le sue due encicliche: Evangelii Gaudium e Laudato siì. Tale cambiamento di prospettiva ha sconvolto le relazioni con personalità e istituzioni ecclesiali tradizionali e i rapporti con alcuni movimenti ecclesiali, ma insieme ha aperto nuovi inaspettate relazioni con i lontani dalla fede e dal mondo ecclesiale.
La grande attenzione di papa Francesco ai movimenti popolari, in particolare a quelli dell’America latina, sembra aprire un nuovo fronte anche se viene da molto lontano ed ha trovato una chiara espressione in due recenti documenti che è utile consultare:
- http://m.vatican.va/content/francescomobile/it/speeches/2015/july/documents/papa-francesco_20150709_bolivia-movimenti-popolari.html
- http://m.vatican.va/content/francescomobile/it/speeches/2014/october/documents/papa-francesco_20141028_incontro-mondiale-movimenti-popolari.html
Le considerazioni che abbiamo espresso forse molto semplificate e un po’ troppo essenziali intendono solo provocare una riflessione. E’ in ogni caso certo che la nuova condizione culturale, sociale ed ecclesiale di questi ultimi anni, chiede a tutti e anche ai movimenti un profondo rinnovamento e ripensamento.
Francesco ha la convinzione che il mondo sia preda di un impero transnazionale del denaro che ha nel profitto l’unico suo obiettivo e nello “scarto” delle crescenti moltitudini dei poveri il suo strumento.
Bergoglio non ha letto Thomas Piketty e il suo libro di culto “Il capitalismo nel XXI secolo”, ma ne sottoscrive la tesi di fondo, cioè lo strutturale aumento delle disuguaglianze.
Lo scorso 12 luglio, interrogato a bruciapelo da un giornalista tedesco sul volo di ritorno dal Paraguay, Francesco ha sì ammesso lo “sbaglio” di trascurare nelle sue analisi la classe media, ma ha aggiunto che questa “diventa sempre più piccola”, schiacciata com’è dalla polarizzazione fra i ricchi e i poveri.
Non importa che i numeri reali dicano l’opposto. Lui, il papa, ha scelto da che parte stare. Ha convocato alla sua presenza una prima volta in Vaticano e una seconda volta in Bolivia, a Santa Cruz, quelli che lui chiama i “movimenti popolari” e sono poi i No Global, i No Expo, gli Occupy Wall Street, gli Indignados, i Cocaleros, insomma, la moltitudine dei ribelli al dominio del capitale, nei quali egli vede l’avanguardia di una umanità nuova.
Il manifesto della visione politica di Francesco è nei suoi due discorsi ai “movimenti popolari”. Non è un caso che il più vicino al papa in questa materia, il prelato argentino Marcelo Sánchez Sorondo, abbia reclutato Naomi Klein, star mondiale dei No Global, per commentare in Vaticano la “Laudato si'”.
Lo scorso 13 marzo, nel Teatro Cervantes di Buenos Aires gremito, con al fianco un compiaciuto Sánchez Sorondo, un’altra di queste star, il filosofo italiano Gianni Vattimo, ha invocato tra gli applausi una nuova Internazionale comunista e insieme “papista”, con a capo Francesco.
Ma l’utopia del papa è più argentina che postmarxiana. La sua cifra qualificante è il populismo, l’identificazione con un popolo comunque buono, quello delle “periferie” delle città e del mondo, quello del “sottosuolo del pianeta”, quello dei “quartieri popolari dove sussistono valori ormai dimenticati nei centri arricchiti”.
vedi: http://www.chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351278
Che il “pueblo”, il popolo, sia effettivamente al centro della visione non solo politica ma anche religiosa di papa Francesco è cosa che lui stesso ha fatto intuire più volte.
Durante la conferenza stampa nel volo di ritorno dal Messico a Roma, lo scorso 17 febbraio, cioè in uno dei momenti nei quali si esprime con più spontaneità, ha addirittura affermato:
“La parola ‘popolo’ non è una categoria logica, è una categoria mistica”.
Ma i discorsi nei quali egli ha reso manifesta nella forma più compiuta la sua visione politica imperniata sul popolo sono quelli che ha rivolto ai “movimenti popolari” anticapitalisti e no global da lui convocati da tutto il mondo prima a Roma e poi in Bolivia:
> Ai movimenti popolari, Roma, 28 ottobre 2014
> Ai movimenti popolari, Santa Cruz de la Sierra, Bolivia, 9 luglio 2015
A questi due testi capitali si può aggiungere il discorso del 27 novembre 2015 alla periferia di Nairobi, con l’esaltazione della nativa “saggezza dei quartieri popolari”:
> Ai poveri di Kangemi, Nairobi, Kenya, 27 novembre 2015
J.M.Bergoglio – C.E. Bianchi, Introduzione alla teologia del popolo, Editrice Missionaria Italiana, pp. 272, euro 20,
«Bergoglio si ispira alla teologia del popolo». Questo ritornello è stato ripetuto fin dal minuto dopo l’elezione di papa Francesco. Ma pochi hanno cognizione precisa dei contenuti della teologia del pueblo, una delle correnti della teologia della liberazione di matrice sudamericana. Ora per la prima volta arriva in Italia un’opera sistematica di Introduzione alla teologia del popolo, testo del teologo argentino Ciro Enrique Bianchi, che ha studiato sotto la guida di Víctor Manuel Fernández, attuale rettore dell’Università Cattolica d’Argentina e da tempo stretto collaboratore di papa Francesco. Il testo di Bianchi si presenta (così recita il sottotitolo) come Profilo teologico e spirituale di Rafael Tello, pensatore argentino che è da considerarsi uno dei fondatori della teologia del popolo. E che Bergoglio stima moltissimo: infatti, oltre a scrivere la prefazione al testo di Enrique Bianchi, volle anche intervenire con un discorso alla prima presentazione ufficiale di tale volume. Quel testo, inedito fino ad oggi, funge da prefazione all’edizione italiana di Introduzione alla teologia del popolo.
Uno stralcio dal discorso di Bergoglio alla prima presentazione ufficiale del volume “Introduzione alla teologia del popolo” che funge da prefazione all’edizione italiana del volume.
“… vediamo che la spiritualità popolare è una strada originale sulla quale lo Spirito Santo ha condotto e continua a condurre milioni di nostri fratelli. Non si tratta soltanto di manifestazioni di religiosità popolare che dobbiamo tollerare, si tratta di una vera spiritualità popolare che deve essere rafforzata secondo le sue proprie vie. Dopo Aparecida non possiamo più trattare la pietà popolare come la Cenerentola di casa. …
Non è la Cenerentola della casa. Non sono quelli che non capiscono, quelli che non sanno. Mi dispiace quando qualcuno dice: «Quelli dobbiamo educarli». Ci perseguita sempre il fantasma dell’Illuminismo, quel riduzionismo ideologico-nominalista che ci porta a non rispettare la realtà concreta. E Dio ha voluto parlarci tramite realtà concrete. La prima eresia della Chiesa è la gnosi, che già l’apostolo Giovanni critica e condanna. Anche al giorno d’oggi possono darsi posizioni gnostiche davanti a questo fatto della spiritualità o pietà popolare.
Sul tema pietà popolare negli ultimi tempi ci sono due pilastri insuperati, a cui bisogna ricorrere come fonti: la Evangelii nuntiandi (che come esortazione apostolica sull’evangelizzazione ancora non è stata superata nel suo insieme) e Aparecida. Occorre fare ricorso a quelle fonti. Aparecida riprende e attualizza per la realtà del nostro continente l’insegnamento di Paolo VI nella Evangelii nuntiandi.
Oggi in Italia le agitazioni dell’indistinta “base cattolica” di vari movimenti:
“Fanno emergere una nebulosa che si sente poco rappresentata dalle stesse gerarchie. Ma che è pronta comunque alla resa dei conti con un mondo accusato di legiferare senza legittimazione popolare; di essere ostile all’etica religiosa e al «diritto naturale»; e dunque di distruggere le basi della famiglia tradizionale. In buona parte, è lo stesso mondo che ha organizzato il Family Day nonostante la freddezza di gran parte della Cei e il silenzio di papa Francesco, intenzionato a tenersi a distanza dalle polemiche italiane tra politica e vescovi. Ed è un mondo che non disdegna nemmeno il ricorso allo strumento del referendum, scavalcando timori e cautele comprensibili del Vaticano”.
Lo scontro aperto dentro la Chiesa I timori sulla «base» del mondo cattolico, di Massimo Franco, in “Corriere della Sera” del 18 maggio 2016
“Si consideri il gesuitismo latinoamericano. Nel suo ventre si teorizza da ormai un secolo il passaggio teologico epocale (traumatico) dal “Dio” del giudizio alla “Dea” madre della creazione.
Insomma, il passaggio a una teologia femminista del Dio madre che – esattamente come la Teologia della Liberazione – chiede un ritorno al cristianesimo delle origini, considerando il simbolismo patriarcale e maschile del cattolicesimo una colonizzazione imperiale romana che entra in conflitto con lo spirito originario del culto.
A cosa allude, oggi, la Misericordia di Bergoglio se non al rifiuto del paradigma verticistico e feudale del maschile, fondato sul giudizio e sulla selezione? A cosa mira se non alla risignificazione del rapporto con Dio nei termini dell’accoglienza e del perdono tipiche del femminile e dell’eguale? La stessa proposta di questi giorni – apparentemente clamorosa – di riflettere sulla possibilità di introdurre il diaconato femminile nella Chiesa è del tutto coerente con questa impostazione di fondo.
Ancora, nei dintorni del gesuitismo sudamericano – nei dintorni di un movimento che sperimenta una delle prime utopie di federazione di terre autogestite, le reducciones paraguayane del XVII secolo – hanno trovato cittadinanza e ascolto le esperienze della Teologia della Liberazione e, più recentemente, persino del World Social Forum.
Torniamo di nuovo a Bergoglio, figlio e rappresentante di questa storia filosoficamente rivoluzionaria nei confronti dell’istituzione vaticana (che è storia dell’Impero romano che cambia giustificazione metafisica: questo è il clericalismo). Rapportarsi a lui come un rappresentante del clericalismo è poco meno di un abbaglio frutto di retaggi anticlericali otto-novecenteschi.
…. Le strade dei Social forum, dove un popolo religioso e spirituale si è incontrato con un popolo politico e conflittuale, ci hanno battezzato. Noi abitiamo in quella forma che la nostra storia si è data. Abbiamo l’impressione che il papato di Francesco aggiunga ciottoli a quella strada.
Bergoglio, ovvero oltre il clericalismo, di Simone Oggionni e Davide Nota, in “il manifesto” del 18 maggio 2016
“C’è una logica nell’itinerario che ha portato Bergoglio a incontrare altri leader cristiani e molte autorità politiche: Obama, Putin, l’iraniano Rohani. È una logica figlia di quella cultura dell’incontro che è uno dei pilastri del suo pontificato. Francesco è una persona certa della sua fede, e questa certezza lo rende disponibile a incontrare chiunque e a vedere in ogni persona e in ogni cultura una possibilità di arricchimento prima che una minaccia. Questo modo aperto di concepire il rapporto con l’alterità è l’antidoto più potente alla violenza, al sospetto e allo scetticismo che sono sempre più presenti nel mondo. Ed è un ingrediente necessario per perseguire il bene comune, qualcosa che non si può costruire unilateralmente ma solo camminando insieme.”
Il Papa e al-Azhar, insieme per la pace, intervista a Wael Farouq,
in http://www.didatticaermeneutica.it/5572-2/
Francesco: se la Chiesa ingabbia nella legge produce schiavi
di Domenico Agasso jr
in “La Stampa-Vatican Insider” del 30 maggio 2016
La Chiesa non si chiuda in un sistema – una gabbia – di regole, ma lasci spazio alla «memoria» dei doni ricevuti da Dio, alla forza della «profezia» e della «speranza». È l’esortazione espressa da papa Francesco nell’omelia a Casa Santa Marta, come riporta Radio Vaticana.
Nel cammino della fede l’eccesso di importanza della norma può soffocare il valore della memoria e il dinamismo dello Spirito, ammonisce il Pontefice. Nel passo del Vangelo della liturgia odierna, Cristo lo dimostra a scribi e farisei – che vorrebbero silenziarLo – con la parabola dei vignaioli omicidi: contro il padrone che per loro ha piantato, affidandogliela, una vigna organizzata, i contadini affittuari scelgono di ribellarsi, picchiando e uccidendo i servi che quel padrone manda a reclamare il raccolto che gli spetta; si arriva all’assassinio dell’unico figlio del padrone, azione che potrebbe, pensano a torto i contadini, dare loro l’intera eredità.
Questa vicenda mostra l’immagine di «un popolo chiuso in se stesso, che non si apre alle promesse di Dio, che non aspetta le promesse di Dio. Un popolo senza memoria, senza profezia e senza speranza». E ai capi del popolo interessa solo innalzare un muro di leggi, «un sistema giuridico chiuso».
Invece «la memoria non interessa. La profezia: meglio che non vengano i profeti. E la speranza? Ma ognuno la vedrà. Questo è il sistema attraverso il quale loro legittimano – denuncia il Vescovo di Roma – dottori della legge, teologi che sempre vanno sulla via della casistica e non permettono la libertà dello Spirito Santo; non riconoscono il dono di Dio, il dono dello Spirito e ingabbiano lo Spirito, perché non permettono la profezia nella speranza».
La Chiesa italiana si sta mostrando in seria difficoltà a far proprie in maniera creativa le indicazioni del papa: basterebbe seguire i cambiamenti di orientamento degli ultimi anni e la non conclusività del convegno di Firenze. In questo quadro di stallo istituzionale da un lato e di richiamo a un nuovo dinamismo pastorale dall’altro, il mondo laicale, mi pare, non reagisce con un maggiore coinvolgimento, anzi è meno propositivo persino rispetto a periodi più delicati di un non lontano passato.
Perché tutto questo?
Un motivo l’ho indicato: un consolidato papa-centrismo che fa coincidere la vita della chiesa cattolica con quanto dice e fa il papa. Tendenza oggi nuovamente rafforzata dalla crisi della politica che si affida al leader di turno. Da quando c’è Francesco l’impegno laicale nella chiesa – dalla formazione all’evangelizzazione – mi pare in progressiva caduta libera. Con l’emersione di un male cattolico consolidato: il papa- centrismo, deplorato quando ci sono divergenze, confermato quando c’è consenso.
tratto da : Da Francesco a noi, di Oreste Aime, in “www.viandanti.org” del 19 maggio 2016
Dall’intervista al Card.Kazimierz Nycz, 66 anni, dal 2007 arcivescovo di Varsavia.
Più volte è stato detto che alcuni richiami di Papa Francesco riguardanti in particolare i pastori non sono stati ben accolti nella Chiesa polacca. È vero?
«No, penso che non sia vero. Anche se non c’è dubbio che è accolto diversamente dai laici e diversamente dal clero. Penso che ci siano vari motivi per questo. Ultimamente leggo molto su Papa Francesco e l’America Latina e mi è venuta in mente un’analogia: dopo quattro anni di pontificato di Papa Francesco c’è una situazione – se si tratta di accettazione – simile a quella di san Giovanni Paolo II. Lo dico nel modo più delicato possibile: in America Latina Giovanni Paolo II era accolto dai laici in modo entusiasta, però a causa della teologia della liberazione e di altri motivi, dai vescovi e dai preti era accolto… diversamente!».
a cura di Andrea Tornielli, in “La Stampa-Vatican Insider” del 6 giugno 2016
Francesco gioca sempre da “libero”
Francesco non può essere compreso mediante gli schemi classici. Nemmeno in quelli “residenziali” è riuscito a stare per un sol giorno. Ma non perché stia da una parte o dall’altra, e nemmeno perché stia nel mezzo. Egli è oltre e viene da altrove. Potremmo quasi dire che quel principio che sancisce il primato del tempo sullo spazio – e dal quale discendono non poche novità nel magistero di Francesco – può essere compreso non tanto “storicamente”, quanto “geograficamente”. L’altrove americano – il suo “non appartenere” alla tradizione europea – colloca papa Francesco in un “oltre” rispetto al modello del conflitto tra modernismo e antimodernismo. Questa “alterità” di Francesco non è catalogabile secondo le nostre abitudini europee. E le relativizza tutte. Per questo egli appare ancora giudicato come un “fenomeno”, anche dopo tre anni abbondanti dalla sua elezione. Ma, come ha scritto il moralista Marciano Vidal, se lo abbiamo riconosciuto subito, quella sera di marzo del 2013, appena si è sporto dalla finestra e ha cominciato a parlare, è perché ne avevamo il “presentimento”. Il Concilio, 50 anno prima, ci aveva messo nella possibilità di aspettarci un papa così sorprendente. E di riconoscerlo come papa. E di tenercelo caro. Perché, con il suo “essere oltre” e con il suo “venire da altrove”, egli permette alla Chiesa di tradurre il Vangelo di sempre in una lingua in parte molto nuova e in parte molto antica. Le caricature che deve subire attestano anzitutto questo suo “andare oltre” e questo suo “venire da altrove”.
di Andrea Grillo, in “Come se non” – http://www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non/ – del 6 giugno 2016
La Lettera “Iuvenescit Ecclesia” (IE) si sofferma sulle questioni teologiche, e non pastorali o pratiche, che derivano dal rapporto tra istituzione ecclesiale e nuovi Movimenti e aggregazioni, insistendo sull’armonica connessione e complementarietà dei due soggetti, purché nell’ambito di una “partecipazione feconda ed ordinata” dei carismi alla comunione della Chiesa, che non li autorizzi a “sottrarsi all’obbedienza verso la gerarchia ecclesiale”, né conferisca loro “il diritto ad un ministero autonomo”. “Doni di importanza irrinunciabile per la vita e la missione ecclesiale”, dunque, i carismi autentici devono guardare “all’apertura missionaria, alla necessaria obbedienza ai Pastori e all’immanenza ecclesiale”.
in: http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/Dottrina-Fede-doni-carismatici-e-gerarchici-coessenziali-alla-Chiesa.aspx
“Cosa devono avere i nuovi movimenti per essere ufficialmente riconosciuti dal Vaticano?”
Essere strumento di santità nella Chiesa; impegnarsi nella diffusione missionaria del Vangelo; confessare pienamente la fede cattolica; testimoniare una comunione fattiva con tutta la Chiesa, accogliendo con leale disponibilità i suoi insegnamenti dottrinali e pastorali; riconoscere e stimare le altre componenti carismatiche nella Chiesa; accettare con umiltà i momenti di prova nel discernimento; avere frutti spirituali come carità, gioia, pace, umanità; guardare alla dimensione sociale dell’evangelizzazione, consapevoli del fatto che “la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati dalla società non può mancare in un’autentica realtà ecclesiale”.
in: http://www.ilmessaggero.it/primopiano/vaticano/vaticano_regole_nuovi_movimenti-1796249.html
Al cuore della novità di Stefania Falasca
in “Avvenire” del 1° settembre 2016
Profughi e migranti: nessuno declini la propria responsabilità. Il Papa pone il tema, rimarcando ancora una volta l’importanza di questa grande e dolorosa vicenda umana, e lo fa con una scelta assolutamente inedita che traduce in un atto senza precedenti nell’attribuzione di servizi che la Curia romana è chiamata a rendere alla Chiesa universale. Perciò Francesco si interesserà per primo di profughi e migranti, direttamente, nei modi che ritiene opportuni. È così stabilito nello statuto del nuovo dicastero vaticano per il Servizio dello sviluppo umano integrale, del quale ha assegnato la guida al cardinale ghanese Peter Kodwo Appiah Turkson. L’articolo 1, punto 4, dello statuto specifica infatti che questa sezione «è posta ad tempus sotto la guida del Sommo Pontefice » e che egli «la esercita nei modi che ritiene opportuni». Fino a quando lo riterrà necessario il Vescovo di Roma ha perciò avocato a sé questa competenza e responsabilità. Papa
«Non più persone di serie B», di Stefania Careddu, in “Avvenire” del 5 novembre 2016
Migranti e ultimi al centro dell’incontro dei movimenti popolari. Oggi la conclusione dell’appuntamento in Vaticano con l’udienza del Pontefice. Mujica, ex presidente Uruguay: politica ed economia ritrovino la loro etica.
“Tornare a sventolare la bandiera dell’uguaglianza, «la più splendente e la più dimenticata tra quelle della Rivoluzione Francese». Per Pepe Mujica, ex presidente dell’Uruguay e simbolo di una politica a servizio del bene comune e dei più poveri, serve un «cambiamento strutturale» per sostituire la solidarietà al capitalismo e all’accaparramento. «Le democrazie sono malate perché hanno assunto i valori delle società di mercato, cioè fare soldi e trionfare», ha denunciato intervenendo all’Incontro dei movimenti popolari che si conclude oggi con l’udienza di papa Francesco. «Il mondo nel quale viviamo è atroce, la tendenza alla diseguaglianza è enorme», ha osservato Mujica ricordando che «la concentrazione economica finisce con l’essere concentrazione di potere politico». «Le decisioni che si prendono in ambienti politici sono influenzate da interessi economici» e così si crea «un circolo vizioso con connessioni diaboliche». È necessario invece recuperare una visione alta della politica che, ha precisato il leader uruguaiano, «non è una professione, ma una passione». «La politica e l’economia hanno abbandonato l’etica, mentre abbiamo perso gli affetti, le relazioni umane», ha lamentato l’ex capo di Stato (definito “il presidente più povero del mondo”). Per Mujica occorre continuare a combattere perché «la bandiera sventolata dai movimenti sociali non è per il proprio vantaggio, ma è parte di una difesa delle generazioni future».
““Populismo parola maltrattata”: la scossa del papa rivoluzionario, di Fabrizio D’Esposito
in “il Fatto Quotidiano” del 14 novembre 2016
Nel nuovo libro del pontefice “Nei tuoi occhi è la mia parola” che raccoglie messaggi, discorsi e omelie di quando era arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio sostiene:
“C’è una parola maltrattata: si parla tanto di populismo, di politica populista, di programma populista. Ma questo è un errore”. Testuale. Papa Francesco è un rivoluzionario, come lo definiscono in tanti, tra cui Scalfari, che accoglie il populismo nella sua accezione contemporanea, nell’anno del Signore del 2016. È la risposta, meglio un papagno da manuale delle dottrine politiche a quanti (compreso Lenin) hanno sostenuto l’incompatibilità storica tra rivoluzione e populismo, lungo l’atavica frattura tra destra e sinistra.
Senza dubbio, a pesare sulla scossa del papa, c’è la sua conoscenza del peronismo o giustizialismo argentino. Non a caso, Bergoglio è stato spesso accusato di essere un populista in quanto peronista. Allo stesso tempo, però, Francesco è anche il pontefice che piace alla sinistra rosso antico e per nulla imbarazzato dal paragone tra comunisti e cristiani sui poveri, sui deboli e sugli esclusi. Popolo, in una sola parola. Intesa come categoria non mistica ma “storica e mitica”: “Il popolo si fa in un processo, con l’impegno in vista di un obiettivo o un progetto comune. Ci vuole un mito per capire il popolo”.
E una grande visione modello Aristotele invece che il “politichese, le beghe per il potere, l’egoismo, la demagogia, il danaro”. Ecco la ricetta per un populismo sano e vincente.”
Un evento in tono minore, ma cresce l’influenza del Papa, di Marco Marzano, in “il Fatto Quotidiano” del 14 novembre 2016
” … La misericordia alla Francesco è essenzialmente politica. Qui i beneficiari della bontà e dell’amore del pontefice sono i poveri, gli ultimi, i deboli, i rifugiati, gli immigrati.
In questo campo, il papa è, da tanti punti di vista, l’anti-Trump mondiale (anche se tanti cattolici americani hanno votato il miliardario newyorchese), l’avversario più forte dell’estrema destra isolazionista, nazionalista, egoista. Il papa argentino interpreta al meglio questa parte perché, a differenza di tanti leaders politici minacciati dall’onda populista, non ha un elettorato al quale render conto, non deve fornire programmi precisi né tantomeno realizzarli praticamente, non deve commisurare le sue affermazioni alla realtà dei bilanci o al consenso dei popoli. Può parlare in libertà assoluta e “misericordiosamente” farsi portavoce degli sconfitti e degli emarginati, delle periferie del mondo intero.
È insomma una voce altissima quella di Francesco, che dà smalto all’immagine complessiva del cattolicesimo, ma che forse oscura e sovrasta quella della Chiesa come organizzazione collettiva, come popolo di Dio. Nell’epoca degli uomini soli al comando è un risultato quasi inevitabile.”
da: L’altro populismo, di Roberto Esposito, in “la Repubblica” del 14 novembre 2016
” … i populismi si dividono e possono essere divisi. … In un certo tipo di populismo, che possiamo chiamare inclusivo, si può creare un’alleanza tra coloro che più sono stati colpiti dalla crisi economica e ceti sociali intermedi, senza che questo comporti una barriera nei confronti della forza lavoro degli immigrati. Un altro tipo di populismo, di carattere escludente, presente in Europa come in America, si chiude su se stesso, saldando la propria identità alle spinte regressive e
xenofobe che provengono da ambienti sociali diversi in direzione letteralmente reazionaria.
La partita che oggi si apre, insomma, è in buona parte interna al campo populista. Ed essa va giocata anche in quel campo. La vinceranno coloro che sapranno orientare il mutamento ormai irreversibile in una direzione allo stesso tempo innovativa e compatibile con gli standard e i valori della democrazia moderna.”
CEG: la sigla e l’istanza, settimana news, Lorenzo Prezzi, 15 novembre 2016/
http://www.settimananews.it/primo-piano/ceg-la-sigla-listanza/
” … Il primo elemento di novità è relativo al “superamento” dell’orizzonte movimentista. Non c’è nessuna rimozione del patrimonio carismatico dei Focolari, né alcuna censura dei lavori formativi finora dati ai vari ambiti che ne definiscono l’identità, ma si tenta di allargare lo sguardo. Dopo il documento della Congregazione della dottrina della fede, Iuvenescit Ecclesia, che sintetizza e ordina il rapporto fra carismi e doni gerarchici con l’intenzione di favorire l’inserimento della vitalità dei movimenti nella sfida evangelizzante che la Chiesa sta affrontando, il “Centro Evangelii gaudium” vorrebbe dare organicità e gambe all’inserimento dei movimenti carismatici nella pastorale comune. C’è stata una stagione in cui alcuni movimenti ecclesiali si pensavano come l’“altra” risposta della testimonianza cristiana rispetto alle lentezze di quella dei cristiani comuni. Ora vi è lo spazio per un’accoglienza della fecondità carismatica (non solo dei movimenti, ma anche delle famiglie religiose) e una disponibilità a sostenere una pastorale comune investita delle istanze di riforma ecclesiale di papa Francesco. Né le strutture tradizionali, né le fondazioni nuove possono sottrarsi alla sfida evangelizzante, in particolare verso i poveri e gli umili. I modelli pratici sono per molti aspetti ancora da costruire, ma l’esigenza è chiara.”
“L’Europa ha bisogno di leader che vadano avanti”
intervista a papa Francesco, a cura di Domenico Agasso jr
in “La Stampa-Vatican Insider” del 7 dicembre 2016
Chiesa e sinodo
«La “Chiesa sinodale”, prendo questa parola. La Chiesa nasce dalle comunità, nasce dalla base, dalle comunità, nasce dal Battesimo; e si organizza intorno ad un vescovo, che la raduna, le dà forza; il vescovo che è successore degli Apostoli. Questa è la Chiesa. Ma in tutto il mondo ci sono molti vescovi, molte Chiese organizzate, e c’è Pietro. Quindi, o c’è una Chiesa piramidale, dove quello che dice Pietro si fa, o c’è una Chiesa sinodale, in cui Pietro è Pietro, ma accompagna la Chiesa, la lascia crescere, la ascolta; di più, impara da questa realtà e va come armonizzando, discernendo quello che viene dalle Chiese e lo restituisce. L’esperienza più ricca di tutto questo sono stati gli ultimi due Sinodi. Lì si sono ascoltati tutti i vescovi del mondo, con la preparazione; tutte le Chiese del mondo, le diocesi, hanno lavorato. Tutto questo materiale è stato lavorato in un primo Sinodo, che portò i risultati alla Chiesa; e poi si è tornati una seconda volta – il secondo Sinodo – per completare tutto questo. E da lì è uscita Amoris laetitia. È interessante la ricchezza della varietà di sfumature, che è propria della Chiesa. È unità nella diversità. Questo è sinodalità. Non calare dall’alto in basso, ma ascoltare le Chiese, armonizzarle, discernere. E dunque c’è un’Esortazione post-sinodale, che è Amoris Laetitia, che è il risultato di due Sinodi, dove ha
lavorato tutta la Chiesa, e che il Papa ha fatto sua. Lo esprime in maniera armonica. È interessante: tutto quello che c’è lì [in Amoris laetitia, ndr], nel Sinodo è stato approvato da più dei due terzi dei padri. E questo è una garanzia. Una Chiesa sinodale significa che si dà questo movimento dall’alto in basso*. E nelle diocesi lo stesso. Ma c’è una formula latina che dice che le Chiese sono sempre cum Petro et sub Petro. Pietro è il garante dell’unità della Chiesa. È il garante. Questo è il significato. E bisogna progredire nella sinodalità; che è una delle cose che gli ortodossi hanno conservato. E anche le Chiese cattoliche orientali. È una loro ricchezza, e lo riconosco nell’Enciclica».