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La riscoperta del ruolo paterno nella relazione educativa
“Prof.! Tra le cose di cui ho più nostalgia di quando ero bambino e che ancora oggi mi fanno soffrire, c’è la mancata promessa di mio padre nell’avermi garantito che un giorno mi avrebbe portato a pescare al mare. Nonostante il rapporto con lui sia ormai inesistente, sono però ancora in attesa che quel giorno arrivi”. Qualche anno fa un mio alunno, con queste parole, mi ha illuminato su quanto la figura paterna sia fondamentale per una sana formazione dei figli.
Domanda di padre
Dopo il tentativo rivoluzionario da parte del 68’, di cancellare completamente la figura del pater nella sua accezione di “monarca assoluto”, accentuando le tesi freudiane sul complesso edipico, si è giunti all’evaporazione della figura paterna attraverso la figura del figlio anti-Edipo e del figlio Narciso, che incarnano in maniera piuttosto calzante il legame genitori-figli nell’ambito della cultura post-moderna, dove il rapporto tra i vari membri della famiglia è più orientato verso il soddisfacimento dei propri capricci e interessi individuali, piuttosto che in una autentica relazione d’amore. Tuttavia, prendendo spunto dalla confidenza nostalgica del mio alunno, accompagnata anche dai segnali che giungono dalla società civile, è evidente che, oggi, emerge sempre più con urgenza una insistente domanda di padre.
Da Edipo e Narciso a Telemaco
Si è passati, dunque, in breve tempo, dal raffronto della figura dei figli con quella di alcuni personaggi mitologici, come Edipo e Narciso, a quella in cui l’attenzione è rivolta verso un altro personaggio della mitologia greca: Telemaco. Per dirla alla Massimo Recalcati, “ noi siamo nell’epoca del tramonto irreversibile del padre, ma siamo anche nell’epoca di Telemaco[…]. Telemaco si emancipa dalla violenza parricida di Edipo; egli cerca il padre non come un rivale con il quale battersi a morte, ma come un augurio, una speranza, come la possibilità di riportare la Legge della parola sulla propria terra. Se Edipo incarna la tragedia della trasgressione della Legge, Telemaco incarna quella dell’invocazione della Legge”. Questo modo di concepire i figli come lo specchio di personaggi mitologici sopra citati, rimanda anche ai vari ruoli che la figura del padre può assumere nella relazione educativa.
L’eclissi del padre
Secondo Paul Ricoeur, infatti, l’immagine del padre è problematica e risulta incompiuta nella storia: si pensi alle diverse configurazioni del ruolo paterno nei vari contesti temporali, in cui si è passati dal padre castratore a quello lassista, per giungere fino ad oggi, dove sembrerebbe essenziale il recupero dell’autentica imago paterna. L’eclissi del padre è stata oggetto di riflessione da parte di numerosi studiosi, i quali sono giunti a svariate conclusioni: alcune condivisibili, altre meno. Ciò su cui si è d’accordo è che l’evaporazione del padre è legata a un tentato processo di democratizzazione, purtroppo però recepito in chiave prettamente ideologica, in cui si è venuto a creare un ribaltamento dei ruoli familiari, tra cui il decentramento della figura paterna, al fine di dare più spazio alle figure del figlio e della madre, che fino ad allora si erano trovati in una situazione di subordine. A ciò hanno contribuito le contestazioni giovanili della fine degli anni 60’, dove, se da una parte si è voluto chiudere i ponti con la concezione repressiva del pater familias, come padre dal carattere esclusivamente autoritario, dall’altra presi soprattutto da questo senso di rivalsa, non si è compreso quanto, invece, l’assenza del padre possa spingere la società verso le derive dell’anarchismo e del nichilismo.
L’omicidio del padre
H. Marcuse e W. Reich sono stati i fautori dell’ “omicidio del padre” in quanto simbolo del potere istituzionale e familiare, allargando l’orizzonte anche verso il profilo sessuale, sostenendo che il libero giuoco dell’attrazione erotica avrebbe portato alla definitiva scomparsa dell’istituzione domestica, giudicata come l’organismo primario al servizio della repressione operata da un potere gestito esclusivamente dal maschio. Altri studiosi, tra cui T. Parsons, hanno individuato le cause della perdita della figura paterna nell’industrializzazione e nella modernizzazione, dovuta alla “professionalizzazione del ruolo materno”. L’uomo non è riuscito a far fronte ai mutamenti che lo hanno coinvolto nell’assetto sociale, a differenza della donna che, invece, ha dimostrato maggiore disponibilità a ristrutturare i vecchi modelli comportamentali a cui era vincolata, arrivando quasi a monopolizzare alcuni settori dell’organizzazione societaria.
Un padre anafettivo
Secondo M. Junitsch, invece, la missione paterna “ha un carattere eminentemente personale e non è collegabile per forza di cose a una determinata forma del fenomeno sociologico. Ci sembra di poter dire che la crisi del padre non solo è causa del mutamento industriale, e cioè, impreparazione dei padri ad adattarsi alle nuove circostanze, ma vincolata al fatto che i padri abbiano continuato a porsi o come padri generatori, o come sostegni economici, o come detentori dell’autorità”. In tutti e tre i casi la figura paterna risulta anaffettiva: tale carenza d’affetto emerge dalla concezione dei figli come semplici oggetti che finiscono per diventare strumenti di appagamento dei desideri paterni. D
L’orizzontalismo
al timore di poter rivivere questi modelli di padre si è poi venuto a configurare un altro estremo, quello cioè dell’orizzontalismo: il rapporto tra padri e figli è arrivato ad essere quello tra due eguali, tra due fratelli, tra due “amici”, e non è più fondato, quindi, su una relazione di tipo asimmetrico. Il ruolo del padre, dovrebbe essere quello di trasmettere al figlio l’educazione intesa nel suo vero senso terminologico di ex-ducere, cioè di accompagnare il figlio a saper stare al mondo, a dargli sicurezza e a garantirgli la riuscita delle sue potenzialità nella propria esperienza di vita
Dall’in-ducere al cum-ducere
Sembrerebbe che, invece, oggi, sorpassato il tempo dell’educazione paterna come in-ducere, si è giunti secondo Daniel Marcelli a quella del se-ducere ( compiacere il figlio e prevenire ogni suo bisogno). Accanto all’ex-ducere per dare pieno compimento alla relazione educativa è richiesto anche un cum-ducere, cioè un condurre verso una meta. Il padre è, dunque, un testimone della saggezza del vivere. Ciò trova conferma in quanto dichiarato dallo scrittore inglese Clarence Budington Kelland: “mio padre non mi ha detto come vivere; ha vissuto e mi ha fatto osservare come faceva”. Così dovrebbe agire un vero padre, come un rappresentante della Legge, come colui che trasmette la Legge nel senso di un supporto al desiderio del figlio e non come una coercizione. La paternità non è imposizione e autoritarismo ma autorevolezza, cioè mediazione tra affetto e cura attraverso il riconoscimento del limite; la paternità consiste “nell’offrire in eredità il senso della Legge non come castigo ma come possibilità della libertà, come fondamento del desiderio”. Questa capacità di sintesi è importante nello svolgere la missione di padre, per evitare il rischio di giungere agli estremi dell’autosufficienza o dipendenza da chi ci genera. Non più quindi il padre padrone, ma neanche il genitore troppo amico o troppo permissivo, che cerca di soddisfare il figlio nel proprio progetto, ma che poi non è in grado di dargli speranza e fiducia nel futuro.
L’alleanza educativa
Ad una domanda posta a Robin Williams su cui gli si chiese un giudizio sull’operato del padre, l’attore così rispose: “mio padre per farmi addormentare mi lanciava in aria, purtroppo non era mai lì quando tornavo giù”. Un padre, comunque, può realizzare al meglio la sua missione solo con la collaborazione della moglie e dei figli. La moglie compie quell’alleanza educativa attraverso cui si realizza la complementarietà dei ruoli senza sconfinamenti; il figlio, invece, deve riconoscere che non può vivere senza padre, non può generarsi da solo, ma deve ammettere che per trovare se stesso ha bisogno dell’Altro da cui proviene. Secondo Oliver Reboul “educare non significa fabbricare degli adulti seguendo un modello, significa liberare in ogni uomo ciò che gli impedisce di essere se stesso, permettergli di realizzarsi secondo il proprio “genio unico”. Non si può essere veramente figli se non si riconosce di aver bisogno del padre.
Un modello di Padre
Anche Gesù, pur essendo della stessa sostanza del Padre, nella sua umanità ha fatto un’autentica esperienza di figlio, facendosi guidare e accompagnare da Giuseppe. Quest’ultimo non solo lo ha sostenuto nelle difficoltà, ma lo ha introdotto alla conoscenza delle consuetudini religiose e sociali del popolo ebraico; e, infine, gli ha insegnato il mestiere di carpentiere. Ecco, Giuseppe potrebbe essere il modello di padre giusto che fa da ponte tra norma e vita, che incarna il simbolo di una legge che non costituirebbe un giogo pesante per i figli, ma un sostegno e un ausilio nella ricerca del senso della vita. Nella società liquida di oggi, dove non ci sono quasi più punti di riferimento, la figura di Telemaco rappresenta quella dei figli che non riescono a trovare la vera felicità assumendo lo stesso contegno dei Proci, dando cioè importanza solo al possesso e al consumo sfrenato dei beni materiali, ma che, anzi, invocano a gran voce il ritorno del padre come garante di quell’ordo amoris che li condurrebbe verso un approdo sicuro.
Concludo con un paragone:
lo status dei figli, oggi, mi fa pensare al personaggio che Caspar David Friedrich ha raffigurato nell’opera Il monaco in riva al Mare, dove il soggetto rappresentato potrebbe essere paragonato a ogni figlio che come Telemaco scruta l’orizzonte sperando e confidando nel ritorno del padre. Chissà, magari per pescare insieme.
Marco Mancini