Ore 18 di domenica 15 marzo 2020: da un palazzo del quartiere Nuovo Salario di Roma viene sparato a tutto volume l’inno di Mameli. Dai balconi degli edifici limitrofi si affacciano pian piano gli abitanti di una città che, fino a pochi minuti prima, era avvolta da un silenzio paragonabile a quello della domenica mattina del giorno di ferragosto e, insieme, come veri “fratelli d’Italia”, cantano tutti a squarciagola, cercando di andare di pari passo con il ritmo della musica che arriva dal balcone adattato a consolle. Tale gesto viene ripetuto nei giorni successivi, tanto da diventare ormai una sorta di appuntamento fisso. A quanto pare è un momento molto atteso, perché l’unico della giornata, tranne i vari casi di estrema necessità, in cui si può socializzare, anche se a distanza, interrompendo così quella sorta di arresti domiciliari forzati, ma necessari, imposti a causa di questa epidemia che sta affliggendo il nostro paese da circa un mese.
I dati parlano chiaro: fino al momento in cui si sta scrivendo, i casi di persone che hanno contratto il coronavirus sono circa 26.000, 2550 sono i deceduti e 2950 le persone che sono riuscite a guarire. Nessuno fino a poche settimane fa avrebbe mai pensato che l’Italia e il mondo, ormai rassicurati dal delirio di onnipotenza tipico del mito del superuomo e dalla conoscenza onnicomprensiva della scienza e della tecnica, si sarebbero  inginocchiati di fronte a delle microscopiche particelle, che stanno facendo venir meno tutte le certezze che facevano da scudo per gli abitanti della terra, costringendoli così a tornare a riflettere su alcuni interrogativi che erano stati completamente rimossi.
La chiusura, anche se momentanea delle frontiere, attuata da alcuni Stati al fine di tutelare la salute dei propri cittadini, potrebbe persino ridisegnare la fisionomia del mondo, che ormai sembrava essere alla portata di tutti attraverso la globalizzazione. E’ un momento storico che lascerà sicuramente il segno e che, come avvenne nelle epoche precedenti, dove altre epidemie avevano suscitato dei dubbi sulla presunta onnipotenza umana, potrebbe far di nuovo riflettere gli uomini su ciò che davvero conta e su quale  è la verità propria della nostra esistenza.
E’ un momento in cui forse sarebbe necessario fermarsi un attimo, interrompere la frenesia quotidiana, per tornare così a fare un pochino di introspezione, per riscoprire i veri valori, per tornare all’essenziale. E’ giunto, dunque, il tempo di vedere la realtà del mondo e delle cose per quella che è, in modo obiettivo. Un’analisi equilibrata della realtà evidenzierebbe quanto sia fragile e limitata la natura. Una natura che è vulnerabile, imperfetta e tale anomalia comprende anche l’esistenza umana. Come ha affermato il cardinale Gianfranco Ravasi la scorsa settimana, nel coso di una puntata di Beltemposispera su TV 2000: “ l’uomo considerandosi invincibile a causa dell’ebbrezza della tecnica e della scienza, deve ora chinare il capo. Di fronte al crollo delle proprie certezze e delle cose materiali, ecco che torna ad interrogarsi sul senso della vita. La scienza è utile ma non infallibile, gli uomini non sono dèi ma creature umane”. Un altro illustre uomo di Chiesa, il cardinale Camillo Ruini, sempre in riferimento al momento attuale, ha voluto ricordare che la scienza autentica riconosce i limiti della scienza stessa e che un’esistenza perfetta rimane comunque un’illusione pericolosa. La pandemia che si è con forza scagliata contro l’uomo è subentrata come un imprevisto, come qualcosa che non poteva essere contemplato dalla nostra mente e ci ha, però, sempre secondo l’ex cardinale vicario della diocesi di Roma “obbligati a modificare repentinamente i nostri modi di vivere, di lavorare, di rapportarci a vicenda.
Certo, è una conferma di ciò che ho appena detto sui nostri limiti. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: proprio questa pandemia sollecita l’impegno di tutti, ci fa meglio comprendere l’importanza della solidarietà, mette in luce un coraggio, una dedizione, una capacità di sacrificio che ci ha sorpreso positivamente. Così il coronavirus è un grande appello ad essere migliori: detto con le parole del Vangelo, un appello a convertirci”. Questa conversione, che comporta un cambiamento di rotta, un nuovo modo di vedere le cose, comparso inaspettatamente a causa del Covid-19, potrebbe essere utile per riconoscere le nostre fragilità, per riscoprire il senso del mistero, visto che non essendo più certi di controllare tutto, potremmo finalmente riuscire  ad ammettere l’esistenza di qualcosa che va oltre le nostre conoscenze. Potremmo riscoprire lo stupore  dinanzi alle meraviglie del creato, l’unità nelle famiglie, il senso dello stare in casa, visto che era diventata quasi una sorta di dormitorio e condividere gli affetti, i timori, la gioia della preghiera. Anche il papa interpellato da Repubblica ha mostrato di essere dello stesso avviso: “ in questi giorni difficili possiamo ritrovare i piccoli gesti concreti di vicinanza e di concretezza verso le persone a noi più vicine, una carezza ai nostri nonni, un bacio ai bambini, alle persone che amiamo. Sono gesti importanti, decisivi. Se viviamo questi giorni così non saranno sprecati”.
I gesti di solidarietà ci indicano che l’uomo è fatto per essere in relazione, per incontrare l’altro in un rapporto d’amore e non di interesse. Il periodo che stiamo vivendo comporta una sospensione di queste autentiche relazioni, molto più significative di quelle virtuali, che ora, più di prima, fanno parte del nostro stile di vita. Sicuramente in questi momenti  gli strumenti digitali aiutano molto, si pensi alla didattica a distanza per gli studenti,  ma non devono essere assolutizzati,  perché fondati su relazioni di mera presenza e non sull’essenza.
Da qui, i motivi delle nostre preoccupazioni e delle nostre incertezze. Secondo Luigi Pavan, psicanalista e professore emerito dell’Università di Padova “sviluppare la fantasia e coltivare l’eroismo non è sbagliato. Forse è più pericoloso l’annullamento della dimensione del fantastico. L’importante è aiutare i giovani a tenere separata la finzione dalla realtà. Il superomismo non deve illudere di poter avere tutto come e quando vogliamo”.
In circostanze come queste, quando l’uomo perde il proprio dominio sulle cose torna di nuovo  ad essere bambino, e come avviene per i fanciulli, davanti a situazioni di pericolo, avverte il bisogno di sostegno e rassicurazione. Tornano così in auge le figure dei genitori, soprattutto per le loro funzioni: quella materna, per tranquillizzare e coccolare; quella paterna, per incoraggiare e insegnare a sapersi confrontare con i limiti che la realtà impone. Due funzioni che in questo momento possono essere riscoperte anche in chiave religiosa, nella figura di Dio Padre e di Maria: la nostra vita e la nostra speranza possono e devono fondarsi anche su di loro.
Marco Mancini