USCIRE
Audaci nella testimonianza col coraggio di sperimentare
di Mimmo Muolo
Per il Convegno di Firenze, uscire fa rima con ascoltare e confrontarsi, con testimoniare e sperimentare. Tutto il contrario, insomma, di una Chiesa da salotto. Ed ecco, dunque, la proposta- provocazione del gruppo dei giovani. «Occorre fare un falò dei nostri divani. Raccapricciarci della cristallizzazione delle nostre abitudini, darci quella sveglia che ci ricorda che siamo popolo in cammino e non in ricreazione, e che la strada è ancora lunga». Sono alcune delle suggestioni della prima via, così come emergono dalla sintesi dei lavori di gruppo, letta in aula da don Duilio Albarello, docente di teologia fondamentale presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Il sacerdote è partito dal «sogno» di papa Francesco «per gli uomini e le donne che testimoniano Cristo oggi in Italia», come si evince dal suo discorso di martedì: «Voi uscite per strada e andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso. Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo».
Di qui la triplice indicazione dei gruppi che hanno riflettuto sull’“uscire”. «L’esperienza e lo stile che abbiamo vissuto – ha detto don Albarello – destano un desiderio di modalità di vita ecclesiale. Incamminarsi in un percorso sinodale è quindi la strada maestra per crescere nell’identità di Chiesa in uscita». Per il relatore, inoltre, occorre «formare all’audacia della testimonianza » avviando «processi che abilitino i battezzati a essere evangelizzatori attenti, capaci di coltivare le domande che provengono dall’esperienza di fede e di andare incontro a tutte le persone animate da una autentica ricerca di senso e di giustizia». L’annuncio del Vangelo «non deve essere offerto come una summa dottrinale o come un manuale di morale, ma anzitutto come una testimonianza sulla persona di Cristo, attraverso un volto amichevole di Chiesa tra le case, nella città». È necessario, perciò, «promuovere il coraggio di sperimentare ». E tra le idee emerse dai tavoli c’è anche l’indicazione formulata dai giovani, che propongono ad ogni comunità cristiana di «costituire un piccolo drappello di esploratori del territorio » che «si impegnino ad incontrare le persone, soprattutto nelle periferie esistenziali dove l’uomo è marginalizzato». L’approccio, però, non deve essere «quello di chi va a risolvere problemi perché ha soluzioni pronte e risposte a tutto, ma di chi si china a medicare le ferite con la stessa fragilità e povertà».
ANNUNCIARE
Rivedere il sistema educativo e formativo di chi evangelizza
di Matteo Liut
Accompagnare gli evangelizzatori sempre più in profondità nella Parola di Dio per far ripartire l’annuncio dentro e fuori la Chiesa. È questa in estrema sintesi la richiesta concorde emersa dai quaranta tavoli che al quinto Convegno ecclesiale nazionale di Firenze si sono dedicati alla via dell’“annunciare”. La sintesi è stata presentata all’assemblea dei delegati da Flavia Marcacci, docente di storia del pensiero scientifico alla Pontificia Università Lateranense. Alla stesura della relazione ha partecipato anche il direttore dell’Ufficio catechistico nazionale, monsignor Paolo Sartor. Tra le richieste e le proposte emerse in molti tavoli di questa via vi è anche quella di una revisione sia dei percorsi pastorali di accompagnamento delle persone che dell’intero sistema educativo e formativo degli “evangelizzatori” come i sacerdoti e i catechisti. Un’istanza che è stata accolta anche nel cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, nella sua relazione finale. In gioco, hanno detto i delegati, vi è il compito di «riscoprire appieno la soggettività dell’intera comunità cristiana in ordine all’evangelizzazione».
Un orizzonte che si accompagna ad altre attenzioni specifiche nell’ambito dell’annuncio come «il desiderio di includere persone disabili, immigrati, emarginati e le loro famiglie», la capacità di «abitare i social network» o l’impegno a «rendere “piazze di incontro” gli oratori, ma anche a creare nuovi spazi di condivisione e di scambio nel territorio, arricchiti dalle strade del web». A monte, ovviamente, c’è la valorizzazione della conoscenza della Parola di Dio, che passa da strumenti come «la lectio divina e la lettura popolare della Bibbia», come pure da «esperienze innovative, simpatiche e di incontro sulla Parola». In questo modo, hanno sottolineato i delegati, sarà possibile superare alcuni nodi critici attuali come «l’autoreferenzialità, il devozionismo, il clericalismo e la povertà formativa».
Si tratta quindi di una missione impegnativa che può nascere solo una relazione personale con Cristo, perché, hanno ricordato i delegati, «si può testimoniare solo dopo aver fatto esperienza concreta di Gesù». Una preoccupazione che non deve essere data per scontata, perché solamente «la consapevolezza di essere amati porta a tornare sulle proprie motivazioni » e a impegnarsi nell’annuncio.
ABITARE
La dottrina sociale riferimento e «fonte» dell’agire pubblico
di Marco Iasevoli
Si abitano relazioni prima che luoghi. E «stare in mezzo al popolo » non può limitarsi ad una presenza fisica, ma ha bisogno di uno stile che passa per cinque verbi: ascoltare, lasciare spazio,
Ovviamente è stata questa la via in cui più nitidamente è emersa la necessità di un nuovo modo di pensare la politica e di rifiutare la logica della “delega in bianco”. «Bisogna accompagnare i decisori, non lasciarli mai soli», è il sentiero tracciato da questo Convegno. Essendo questo l’ambito che più si colloca al confine con le culture e lo «spirito del tempo», conclude Fabris, è stata richiamato chiaramente il dovere della «trasparenza nei comportamenti, e questo chiede anche un uso dei beni e di ciò che la Chiesa amministra secondo la radicalità evangelica. Ecco la vera tavola di verifica dei frutti di questo Convegno».
EDUCARE
«Cuore aperto» di fronte alle sfide odierne Scelte d’impegno e l’invito a mettersi in rete
di Stefania Careddu
Continuare a «credere nel potere umile dell’educazione e nella sua forza trasformatrice della storia e della società di ogni tempo», consapevoli che per affrontare le sfide odierne (che sono «un’opportunità», una «sollecitazione alla conversione pastorale» piuttosto che «un problema») occorre «avere il cuore aperto». Perché l’educazione «è questione decisiva che riguarda tutti e non solo coloro che sono direttamente interessati e ad essa dedicati nella tensione verso il compimento della persona e la realizzazione di un autentico umanesimo». Ecco allora che dai delegati al Convegno di Firenze che hanno preso parte ai gruppi di lavoro sulla via dell’educare sono arrivate alcune «scelte di impegno». Prima fra tutte quella di «favorire le reti educative anche stipulando dei patti di corresponsabilità che coinvolgano la comunità educante, compresa la società civile», ha sottolineato suor Pina Del Core, preside della Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium, che insieme ad Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della Cei, ha presentato la relazione finale su quanto emerso dal dibattito nei ‘tavoli’. Ciò che serve, ha aggiunto, è poi «un più accurato discernimento e cura» degli educatori con alla base una maggiore «formazione degli adulti», cioè dei formatori, delle guide spirituali, dei genitori, ma anche dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici. Con una «nuova attenzione per la scuola e l’università, alimentando una pastorale d’ambiente che necessita di persone e di capacità di proposta». Lo sguardo va rivolto inoltre alle famiglie, specialmente quelle che si trovano in «situazioni educative difficili», attivando «proposte di volontariato in favore dei nuclei con anziani e disabili». Questo significa, ha rilevato suor Del Core, «promuovere e rafforzare le varie forme di alleanza educativa e implementare nuove sinergie tra i diversi soggetti che interagiscono nell’educazione». «Si tratta – ha spiegato – di mettersi in rete con le diverse istituzioni educative presenti nel territorio e con quanti si interessano di educazione anche se di sponda opposta».
«Come Chiesa italiana – ha evidenziato – non siamo all’anno zero, perché c’è in atto nel nostro Paese un’esperienza viva, testimoniata da innumerevoli tentativi creativi e in alcuni casi sorprendenti negli esiti». Per questo, secondo i delegati al Convegno ecclesiale sarebbe opportuno «dare vita a un portale informatico per divulgare le buone pratiche e favorire le occasioni di scambio tra le diocesi e le realtà ecclesiali» per «fare insieme e verificare il cammino a partire dalle buone pratiche esistenti».
TRASFIGURARE
Bellezza e sobrietà insieme per una liturgia rinnovata
di Umberto Folena
Bellezza e sobrietà, insieme. Sono i due perni attorno a cui dovrà ruotare «un profondo rinnovamento » della liturgia. Goffredo Boselli, monaco di Bose e liturgista, sintetizza e traccia le prospettive della quinta via, “trasfigurare”, il verbo forse meno immediato dei cinque che hanno guidato i lavori di Firenze e che potrebbe essere definito così: «Trasfigurare è sguardo che cerca l’uomo, specialmente i poveri », e ancora «far emergere la bellezza che c’è, e il Signore non si stanca di suscitare nella concretezza dei giorni, delle persone che incontriamo e delle situazioni che viviamo».
Il punto di riferimento, ha ricordato Boselli, è il Vaticano II. «Le nostre liturgie devono essere sempre più segnate dalla bellezza e da quella nobile semplicità, voluta dal Concilio». E questo è la prima delle tre consegne che i partecipanti alla quinta “via” affidano a tutto il Convegno: ripartire appunto dal rinnovamento liturgico conciliare, «perché dal rinnovamento della liturgia passerà ancora il rinnovamento della Chiesa stessa». Una consegna che consiste nel «riaffermare il posto centrale che occupano la liturgia, la preghiera e i sacramenti nella vita ordinaria delle comunità. La liturgia è il luogo dove la Chiesa stando alla presenza di Dio diventa ciò che è, ascoltando il Vangelo discerne la sua missione nel mondo».
La liturgia, sintesi di bellezza e sobrietà, inevitabilmente cambia perché cambia chi vi si accosta, cambiano i fedeli abituali e saltuari, tanto da poter affermare che «la pastorale dei sacramenti è oggi
Il futuro appartiene alle «liturgie ospitali» («L’intera esistenza di Gesù è stata una liturgia ospitale »), nelle quali emerga la «natura profondamente umana e autenticamente divina della liturgia». Una liturgia in cui sia evidente «la cura delle relazioni e la tenerezza nel modo di presentarci, e ci facciano sentire compagni di viaggio e amici del poveri e dei sofferenti».
di Matteo Liut, Mimmo Muolo, Umberto Folena, Stefania Careddu, Marco Iasevoli
in “Avvenire” del 14 novembre 2015