Un’istantanea sulla contemporaneità
L’uomo di oggi pare sia colto da un senso di smarrimento, determinato da una sempre maggiore frammentazione dei saperi e da un’immersione in un’esistenza in cui la tecnologia sembra essere, sempre meno, dal volto umano. Lo smarrimento investe ogni campo dell’esistenza: non solo culturale ed etico, ma anche, e soprattutto, religioso. Negli ultimi due decenni sono stati numerosi gli studi sociologici e psicologici che hanno cercato di comprendere il fenomeno religioso contemporaneo nel mondo occidentale. In queste indagini, il tema della crisi della religiosità è stato correlato a quello della secolarizzazione[1].
 
Religiosità e secolarizzazione
A partire da questa plausibile correlazione, che vede in forte crisi la sfera religiosa tradizionale, potrebbe essere utile porsi un quesito circa la possibile scomparsa della religione in Occidente, cercando di inquadrare, prima di tutto, i concetti di religiosità e di secolarizzazione. Questo per mettere in luce, in questa sede, quei risvolti psicologici, che parrebbero troppo facilmente contrapposti nelle summenzionate categorie, mentre si presentano intersecati nel dare origine a fenomeni socio-psicologici complessi. Per fare chiarezza, in ordine alla questione, credo possa essere utile riflettere sul potenziale semantico dei concetti di religiosità e secolarizzazione.
Quando si parla di religiosità si intende quella disposizione fondamentalmente umana, che consiste non solo nel ricercare il perché delle cose, ma anche nel volerne comprendere il principio e fondamento. La religiosità si muove a partire dal senso religioso, che prende forma, in ogni persona, nel cercare il proprio compito e la ragione del proprio esistere in una prospettiva di significato, che guarda all’intero arco della vita e dispone ad andare oltre, per trovare l’essenza di questo fine. Si muove, dunque, nell’uomo la domanda circa l’origine delle cose e della sua esistenza. Si tratta della percezione del mistero che conduce alla soglia del sacro, cioè di quello spazio che supera la realtà materiale e si colloca al di là delle capacità conoscitive umane. Questa sensazione suscita un senso di timore e, ad un tempo, di fascino di fronte alla possibilità che possa esistere un Essere di per sé sussistente, che le religioni chiamano Dio. Questa religiosità del singolo esprime, poi, le proprie credenze attraverso la pratica di preghiere, riti e norme, che sono condivisi con la comunità di appartenenza. Quando l’esperienza religiosa dell’individuo diventa comunitaria, cioè una realtà partecipata di credenze, miti e azioni sacre, ci si trova innanzi ad una religione. La religiosità precede, pertanto, la religione ed è qualcosa che appartiene all’uomo in quanto tale, nel suo dinamismo psichico e spirituale.
Quando si parla di secolarizzazione si intende una dinamica che ancora oggi pare essere controversa. Il termine è stato adoperato, in epoca moderna, nell’ambito sociologico da studiosi quali Weber e Durkheim, per descrivere un processo che avrebbe portato ad un progressivo e costante declino del peso della religione nella vita dell’uomo moderno. La religione si manifesterebbe come elemento irrazionale, che avrebbe perso il suo ruolo nella vita morale del singolo e parimenti nelle strutture che sostanziano la vita sociale. Attraverso forme di lenta emancipazione delle istituzioni politiche, in seguito alla razionalizzazione economica portata dalla rivoluzione industriale e dai riferimenti religiosi tradizionali, il fenomeno della religiosità sarebbe diventato un elemento riconducibile alla vita psichica del singolo, perdendo la consistenza che possedeva a livello di tessuto sociale, rimanendo, pertanto, relegata alle scelte di coscienza del singolo. Essa diventa: «un affare privato per ciascun individuo…perde il suo carattere intersoggettivo di credibilità e di evidenza…la sua realtà, nella misura in cui è ancora mantenuta dall’individuo, è percepita come radicata nella coscienza piuttosto che in dati del mondo esteriore; la religione non si riferisce più al mondo e alla storia, ma all’esistenza individuale e alla psicologia»[2].
 
Religiosità e secolarizzazioni: conseguenze psico-sociali attuali
Sembrerebbe che la religiosità, oggi, sia un fenomeno marginalmente umano e che la secolarizzazione abbia annichilito il bisogno di senso umano, relegando la persona ad un vivente che mira al soddisfacimento dei meri interessi individuali, chiuso in un solipsismo in cui lo spazio religioso non ha più significato. Ma occorre domandarsi se questa percezione largamente diffusa, possa avere un reale riscontro. Dopo la caduta delle ideologie atee che si erano impegnante in un’opera di secolarizzazione, ha fatto seguito, ai nostri giorni, un secolarismo subdolo, che ha assunto una visione dell’uomo appiattita ai bisogni meramente materiali ed alla soddisfazione psicofisica del qui ed ora: «Quando la secolarizzazione si trasforma in secolarismo, si ha una grave crisi culturale e spirituale, di cui sono segni la perdita del rispetto per la persona e la diffusione di una specie di nichilismo antropologico che riduce l’uomo ai suoi istinti e tendenze»[3]. Ai giorni nostri ci troviamo, quindi, di fronte ad un’umanità che pare essere in balia di se stessa e che, essendo priva di modelli etici e culturali, appare impermeabile alle grandi questioni, solo attenta a dare voce ad una dinamica dell’avere immediato piuttosto che ad una ricerca di compimento dell’essere a lungo termine.
Oggi in occidente assistiamo alla drammatica chiusura di migliaia di chiese, che, ormai sconsacrate, sono diventate librerie, musei, quando non palestre o, ancor peggio, locali notturni[4]. Ma accanto a questa eclissi del sacro si può parlare di assenza di religiosità? È corretto contrapporre religiosità e secolarizzazione? Certamente la secolarizzazione ha cambiato nell’uomo occidentale la percezione del sacro e ha condotto l’uomo non verso l’assenza di religiosità, quanto, piuttosto verso nuove forme, come sostiene il sociologo Stark nel suo celebre testo Il trionfo della fede. Perché il mondo non è mai stato così religioso. Emerge questo quadro in relazione al fenomeno religioso contemporaneo: «Quindi se i fedeli disertano le chiese, vanno a cercare altri luoghi di aggregazione: la religione non muore ma si sbriciola in una varietà di proposte differenziate, presentando un panorama frammentato e composito che oltrepassa le religioni istituzionalizzate (ebraismo, cristianesimo, islamismo, induismo, buddismo) ma ha sempre a che fare con il tema del soprannaturale»[5]. Le agenzie di studi sociali, quali l’autorevole Gallup World Poll, che ha condotto un’importante indagine nel 2010 sulla religiosità in 163 Paesi, mostrano una tendenza forte ed una disaffezione rispetto alla religiosità istituzionalizzata e, parimenti, evidenziano una forte presenza di richiesta di spiritualità. Non andare più in Chiesa non significa, quindi, una scelta di vita materialistica o atea, ma significa manifestare i propri bisogni spirituali con nuove forme di ritualità e nuove credenze, il più delle volte costruite secondo la logica del “fai da te”: «La domanda religiosa presenta forme sempre più liquide e diversificate, al di fuori delle chiese ufficiali, portando non alla scomparsa ma a un pluralismo crescente di offerte e credenze. La crescente diffusione delle sette dimostra che la fede non scompare, ma tende a prendere la forma della credulità»[6].
 
Una proposta possibile 
Come possono i cristiani offrire una risposta di fronte allo smarrimento antropologico e alle difficoltà psicologiche dell’uomo contemporaneo?
La vita nell’attuale società “complessa” pone i cristiani nella condizione di porgere una risposta concreta, che prende forma nel donare un riferimento antropologico e psicologico solido, per un incontro tra le svariate istanze di senso, facendo tesoro della bimillenaria sapienza del Vangelo. Questo per un cristiano consiste nel vivere e testimoniare come il bisogno di significato, quale bisogno fondamentale dell’uomo, trovi risposta, anzitutto nella percezione di sé come persona OK e nel riconoscere l’altro come OK, aprendo ad un orizzonte di vita di qualità. Se si elimina dall’esistenza una ragionevole prospettiva di senso aperto all’esperienza del trascendente e della trascendenza, l’uomo si ritrova in un orizzonte appiattito ad un’immanenza che lo costringe in una sorta di vita monadica, foriera di sofferenza e disagio: «Sarebbe riduttiva un’esistenza dominata dalle pulsioni inconsce e dalle proprie forze irrazionali interiori, perché la persona si limiterebbe al solo controllo dei meccanismi interiori, precludendosi l’influenza costruttiva della tensione esistenziale insita nel processo evolutivo della sua vita»[7]. Resta il fatto che le persone non sono destinate a star male. L’uomo è naturalmente sospinto alla ricerca di un benessere che dia senso alla propria vita, anche quando questo benessere è confuso con condizioni di disagio psichico che offuscano la ragione ed il cuore. L’esperienza di vita cristiana, può, allora, diventare proposta rispettosa e delicata della cultura e dell’interiorità dell’altro, allorché si presenta come riscontro al bisogno di significato, che ogni piega dell’esistenza richiede. Essa offre anzitutto una prospettiva di senso nell’apertura al trascendente, che conduce all’amore di sé e dell’altro, quale valori essenziali per un vero processo di crescita e benessere psicologico. In questo modo la persona trova se stessa, trascendendo se stessa, e può realizzarsi nell’arco della vita: «Soltanto nella misura in cui riesce a vivere questa autotrascendenza dell’esistenza umana, uno è autenticamente uomo ed è autenticamente se stesso. Così l’uomo realizza, non già preoccupandosi, trascurando se stesso e concentrando verso l’esterno tutti i suoi pensieri […]. Ciò che si chiama autorealizzazione è, e deve rimanere, l’effetto preterintenzionale dell’autotrascendenza; è dannoso ed è anche frustrante farne oggetto di precisa intenzione. E ciò che è vero per l’autorealizzazione, lo è anche per l’identità e per la felicità»[8].
 
NOTE
[1] Cfr per esempio: S. Bellah, Al di là delle fedi: le religioni in un mondo post-tradizionale, Morcelliana, Brescia 1975; P.Berger, I molti altari della modernità. Le religioni al tempo del pluralismo, EMI, Bologna 2017; J. Casanova, Oltre la secolarizzazione. Le religioni alla riconquista della sfera pubblica, Il Mulino, Bologna 2000; A. Melloni (ED.), Rapporto sull’analfabetismo religioso in italia, Il Mulino, Bologna 2014.
[2] P. Grassi, Dizionario Teologia, s.v. Secolarizzazione, p. 1501.
[3] Pontificio Consiglio per la Cultura, Per una pastorale della cultura, n. 23
[4] Cfr. G. Galeazzi, Le chiese dismesse? Teatri, sale biliardo e night club, La Stampa, 8 settembre 2014.
[5] G. Cucci, Religione e secolarizzazione. Fine della fede, Cittadella Editrice, Assisi 2019, p. 19.
[6] Ibid, p. 41.
[7] G. Crea, Ri-umanizzare la terapia. Analisi Transazionale e Logoterapia a confronto nel processo terapeutico inteso come ricerca di senso, LAS, Roma 2013, p. 33.
[8] V. Frankl, Un significato per l’esistenza, Città Nuova, Roma 1983, pp. 36-37.