Quando un prete dice di non voler più svolgere l’attività di parroco per non perdere il suo amore per la fede – e va in convento -, suscita un certo scalpore. Thomas Frings ha fatto esattamente questo: un anno fa ha chiesto di essere esentato dal servizio in parrocchia. Questa scelta critica, Frings l’ha recentemente precisata ancora meglio in un libro: “Aus, Amen, Ende?: So kann ich nicht mehr Pfarrer sein” (Fuori, amen, fine? Così non posso più essere parroco). Il titolo parla da sé.
 
L’intervista
Kirsten Dietrich: Se dei preti cattolici lasciano la Chiesa, nella maggior parte dei casi è perché non vogliono più vivere da celibi e si sposano – e nessuno si meraviglia. Se un prete dice di non voler più svolgere l’attività di parroco per non perdere il suo amore per la fede – e va invece in convento, suscita un certo scalpore. Thomas Frings ha fatto esattamente questo; un anno fa ha chiesto di essere esentato dal servizio in parrocchia. La sua forte critica aveva a che fare con la mancanza di vero interesse per la fede da parte dei fedeli, con l’eccessivo attaccamento a tradizioni vuote e con un interesse per la vita della Chiesa limitato alle occasioni in cui c’è la possibilità di qualche bella foto da aggiungere all’album di famiglia. Questa critica, Frings l’ha recentemente precisata ancora meglio in un libro: “Aus, Amen, Ende?: So kann ich nicht mehr Pfarrer sein” (Fuori, amen, fine? Così non posso più essere parroco). Il titolo parla da sé. In effetti, Thomas Frings da allora vive in un convento benedettino nei Paesi Bassi, ma attualmente è in viaggio, e per questo ho potuto parlare con lui dei motivi per cui a suo avviso la Chiesa deve imparare ad ammettere che qualcuno se ne voglia andare.
Thomas Frings: Per quanto mi riguarda, sono sicuro che dobbiamo imparare a staccarci. Nella vita dobbiamo sempre imparare. Anche invecchiare significa dire addio a molte cose che prima si potevano fare. Molte cose si imparano, ma io credo che, con il tempo, molte cose si devono lasciare, e la cosa difficile in questo è, se lo si può (o lo si dovrebbe) fare volontariamente, che non si sa ciò che si troverà al posto di ciò che si lascia. Così, lasciare è sempre un rischio. Le strutture che abbiamo vissuto nella Chiesa, nelle quali siamo cresciuti, hanno portato con sé anche incredibilmente molti punti di forza, ma sembrano essere sempre meno compatibili con la forma attuale della società. Però non sappiamo che cosa metteremo al loro posto. Allora si preferisce vivere nell’incertezza e nell’insuccesso, piuttosto che con quella totale insicurezza che potrebbe sopravvenire.
Kirsten Dietrich: Lei continua nonostante tutto ad essere fortemente convinto che, in ogni caso, come stanno adesso le cose, con tutti gli sforzi per riforma e cambiamento, anche con la Chiesa di popolo, cioè con una Chiesa che ha veramente l’esigenza di agire sulla società nel suo complesso ed essere anche identificabile all’interno della società, non si possa andare avanti.
Thomas Frings: Non sono davvero da solo a pensarla così. Su alcune altre cose, forse sono da solo, ma non su questo. Credo che oggigiorno non lo dica più nessuno che siamo ancora una Chiesa di popolo. Io sono cresciuto in una Chiesa di popolo, in cui era ovvio che una persona appartenesse ad una delle due Chiese (ndr.: cattolica o protestante) nella nostra società, e questo era fortemente sentito anche nella quotidianità della famiglia. Ma oggi non lo si può proprio più affermare. Dietrich: Non si sente solo nella diagnosi che non si possa andare avanti così nella Chiesa. Allora, in che cosa si sente solo?
Frings: La prima cosa, naturalmente, è che sono l’unico ad aver fatto il passo che ho fatto, e che per questo ho attirato tanta attenzione, cosa che non intendevo davvero fare. Mi sono ritirato dall’incarico di parroco, per poter, alla fine, restare prete. Chi lascia la parrocchia o il presbiterato, lo fa nella maggior parte dei casi per intraprendere un’altra professione, o si sposa, o sceglie una relazione che lo obbliga a lasciare. Ma che uno se ne vada praticamente per poter restare prete, era una cosa apparentemente così inusuale da suscitare tanto scalpore.
Dietrich: Mi sono chiesta se non ci sia un contrasto, essere parroco ed essere prete… Cioè da una parte la Chiesa come forma sociale, che non funziona più, e dall’altra la Chiesa come “prassi sacra” (mi esprimo così), che uno vuole assolutamente tenere. Questo non è un po’ sleale?
Frings: No! Lei ha rappresentato abbastanza bene la situazione. Infatti io sono un sostenitore di questa “prassi sacra”. Lo scrivo anche nel libro: quando delle persone o dei giovani vengono da me e mi chiedono se dovrebbero diventare preti, io sarei sempre a favore, perché l’ambito teologico, spirituale, per ciò che rappresenta, ciò che io anche pratico, ciò che ha fortemente segnato la mia vita, è per me qualcosa di straordinariamente buono. La forma sociale in cui io però ho vissuto come parroco – per mostrare la differenza, quello è l’incarico sociale che ho svolto all’interno della mia comunità di fede – viene svolto in una forma che è sempre più difficile da vivere, e questo lo confermano ora anche molti che poi dicono… Lo posso vedere nella mia esperienza: nel mio primo incarico, avevo 1.500 parrocchiani, nel secondo 3.000, nel successivo 10.000, e non sarebbe stato quello il limite! Quindi, si fanno le fusioni di parrocchie, le parrocchie diventano sempre più grandi. Essere preti con questa riforma è sempre più difficile.
Dietrich: Ma ci si può immaginare una Chiesa nella quale davvero l’importante è ciò che avviene nella messa, e dove le persone che, comunque sia, vi appartengono, per definizione non sono più così importanti?
Frings: Sono importanti! Evidentemente, l’eucaristia è per loro. Il nostro sguardo è sempre rivolto altrove, che noi appunto come comunità diciamo che siamo una comunità di 10.000 persone, delle quali 218 vengono al sabato o alla domenica a messa. Invitati sono tutti, e noi cerchiamo di mantenere la cosa sempre il più possibile alta e ampia, ma funziona sempre meno in questa direzione, lo vediamo se adesso ci focalizziamo sulla celebrazione domenicale dell’eucaristia, che teologicamente è il vertice. Quando ero bambino andava a messa il 50% delle persone, quando sono diventato prete il 25%, e nella mia ultima destinazione non era neppure più il 3%. Ma continuiamo a restare attaccati a questo modello. Io credo che dovremmo cercare nuovi modelli, e non semplicemente spostare il modello conosciuto in una forma più estesa, da 3.000 a 10.000 a 20.000, e poi magari a numeri ancora maggiori.
Dietrich: Ma la celebrazione dell’eucaristia continuerebbe ad essere il centro, anche se si cerca un altro modello.
Frings: È sempre al centro, e per me – anche questo lo scrivo nel libro – per me è sempre il punto di partenza del mio essere cristiano. E la meta del mio essere cristiano, è proprio questo punto, e, perché questo non diventi troppo devozionale… Un’esperienza bellissima che ho vissuto nella mia vita di prete: Ho chiesto una volta a Dom Helder Camara, che ho incontrato molte volte in America Latina, a Recife, un’icona della Chiesa dei poveri… Ero un giovane prete, e gli ho chiesto: “Se mi potesse dare un consiglio, Signor Arcivescovo – aveva già più di 80 anni –, per la mia vita, quale consiglio mi darebbe?” E lui ha detto: “Celebri sempre l’eucaristia con la massima devozione, mai Dio ci è più vicino che nella forma del pane e del vino”. E se lo dice qualcuno che sta dalla parte degli uomini così incondizionatamente, in quel momento e anche più tardi, sempre, ho capito dove prendeva la sua forza. Per questo l’eucaristia è per me il punto massimo e il punto centrale per poter andare, da lì, verso le persone.
Dietrich: E naturalmente il punto in cui si incontra qualcosa come il rapporto tra clero e laici da un lato, e dall’altro lato in cui si evidenzia chiaramente quanto tale rapporto può diventare critico. È un punto che ho capito dalla lettura del suo libro: che è necessario ripensare il rapporto tra i laici, cioè coloro che vengono in chiesa, ma non lo fanno come professione, e coloro che invece hanno la loro professione proprio nella chiesa.
Frings: Sì. Il modello – è sempre così difficile riuscire a esprimerlo in poche frasi – viene da un approccio diverso. Fino ad ora il prete ha sempre dovuto essere colui che dirige la parrocchia. Da noi, fino ad adesso, era previsto così. E ha fatto grande impressione sulla stampa il fatto che la settimana scorsa il cardinal Marx abbia detto che ci devono essere anche dei laici che si assumano la responsabilità della direzione della comunità. E subito sono venute obiezioni da tutte le parti. Bisogna che sia possibile anche un modello diverso, e che la responsabilità, anche la responsabilità ultima nella comunità, possa essere anche nelle mani dei battezzati, e non solo dei consacrati. Li poniamo sempre così in alto e diciamo che i laici sono importanti, che i battezzati sono tanto importanti, ma diamo loro fiducia nel cammino? Diamo anche a loro la responsabilità? Oppure diciamo: ma no, è meglio avere dei dipendenti salariati su cui possiamo in definitiva avere più influenza. A me sembra che le cose stiano così.
Dietrich: A questo punto non mi è chiaro il concetto, se lei dai laici si aspetti di più o di meno. Da un lato lei rivendica il fatto che è importante che le persone credano in maniera più decisa, si impegnino con decisione e che la si deve smettere con cose superficiali. Dall’altro lato però il ministero del prete è anche la cosa centrale. Allora io…
Frings: Bisogna formularlo in modo un po’ diverso… Il ministero del prete non è la cosa centrale, ma come il papa attuale continua a dire, è il battesimo la cosa decisiva. Ha già chiesto più volte in piazza San Pietro di indicare chi conosceva la data del suo battesimo, e per coloro che non la conoscevano, faceva un piccolo rimprovero. Diceva: così non va bene, dovete pur sapere quando siete venuti a Cristo, quando siete stati accolti in questa comunità! E io dico che non dobbiamo continuare a mantenere il modello attuale, dicendo che questo modello ora deve essere portato avanti dai laici, che adesso se ne fanno carico. Io credo invece che dobbiamo premere il tasto di “reset”, e semplicemente ricominciare da zero, invece di vedere come possiamo ancora portare avanti il modello che c’è stato finora, che ha sempre meno successo. Invece dobbiamo chiederci qual è la cosa essenziale, il nostro “deposito”, qual è il punto di partenza, e tutto quello che vi è connesso deve essere fatto con quelli che vi partecipano. Oggi abbiamo naturalmente ancora una Chiesa dove le persone vengono e dicono: ci sono le persone che si occupano di questo a tempo pieno, sono loro che fanno, a loro affidiamo l’incarico. Anch’io, che ci sono cresciuto dentro, mi sono sempre detto che, poiché sono pagato per questo, mi assumo molti incarichi, e per i battezzati questo era uno status molto più comodo. Per questo l’approccio fondamentale deve essere totalmente cambiato.
Dietrich: Riesce a capire il fatto che un rappresentante dei laici, come ad esempio il presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, Thomas Sternberg, la critichi molto decisamente? Ritiene che con il suo modello lei non prenda davvero sul serio i laici, non conceda loro alcun ruolo davvero decisionale.
Frings: Non l’ho sentito dire questo, oppure non ha letto bene il mio libro, o non l’ha capito nel punto in cui dico molto chiaramente: invece di dire che dobbiamo togliere il celibato obbligatorio per avere più preti, io direi che questo è il presupposto per lasciare le cose così come sono. Io dico che non dobbiamo fare questo, dobbiamo cambiare e dare veramente la responsabilità ai laici. Non soltanto passare loro degli incarichi da svolgere, ma anche la responsabilità ad essi connessa. E gli incarichi non sono quelli che si ritrovano fino ad ora, per continuare così. Invece, quando delle persone arrivano alla comunità ed hanno dei desideri, questi non devono essere rielaborati dalla comunità separatamente, ma devono essere attuati, essere fatti vivere insieme con le persone. Quindi non delego la realizzazione dei miei desideri alla Chiesa e alla comunità. Se ho dei desideri rispetto alla comunità, sono io stesso quello che deve assumersi la responsabilità della realizzazione di questi desideri, come battezzato.
Dietrich: La Chiesa cattolica deve diventare più simile alle chiese libere?
Frings: Lei non è la prima che me lo chiede e che dice che è qualcosa di simile alle chiese libere. In un primo momento, sembra effettivamente così, ma c’è una differenza fondamentale: nelle chiese libere si può essere membri solo se ci si impegna almeno per l’80%, meglio per il 100% e se si organizza la propria vita completamente dentro quel modello. Nel mio modello, le cose sono del tutto diverse. Chi si impegna totalmente, partecipa totalmente, chi si impegna anche solo un po’, partecipa un po’, senza pretendere di avere tutto. Questa è la differenza. Nelle chiese libere, bisogna esserci al 100%, in questo le ammiro, questa è anche la loro forza, ma per coloro che non ci stanno al 100%, una chiesa libera non serve. Per loro il mio modello sarebbe la risposta.
Dietrich: Lei ha lasciato la sua parrocchia un anno fa, a Pasqua del 2016, ed è andato in convento. Come vede le cose dopo un anno? Sa già cosa farà in seguito?
Frings: Posso rispondere sicuramente di no, ma le cose si vanno chiarendo. Lì dove sono, c’è una comunità incredibilmente fantastica, non voglio dire paradisiaca, ma realisticamente bella dal punto di vista spirituale. Fino a Pasqua resterò in quella comunità monastica nei Paesi Bassi, poi mi getterò per quindici giorni di nuovo nella vita attiva e farò un giro di conferenze in tutta la Germania, dal Nord fino a Monaco, passando da Colonia, Ratisbona e Paderborn. Poi ritornerò e cercherò di capire che cosa mi è piaciuto, quale potrebbe essere il giusto posto per me nella Chiesa, e questo non dipenderà solo da me, dipenderà anche da altri nella Chiesa.
Frings: Per Thomas Frings personalmente, quindi, il futuro è ancora completamente aperto. Per la Chiesa cattolica nella sua forma attuale, vede nero. Il libro di Thomas Frings “Aus, Amen, Ende?: So kann ich nicht mehr Pfarrer sein” è stato pubblicato dalla casa editrice Herder.
“Con questa riforma delle parrocchie è sempre più difficile fare il prete”, di Thomas Frings e Kirsten Dietrich, in “www.deutschlandradiokultur.de” del 3 aprile 2017
(traduzione: www.finesettimana.org)