La pandemia e la cristianità
Più che mai in questo momento è possibile scorgere tra le pieghe del tempo scorci che illuminano il fitto tessuto della cristianità, interrogandola dal di dentro. Le piaghe della storia hanno spesso la capacità di consegnare la parola che non ti aspetti, come un tesoro prezioso nascosto sul fondo che ha bisogno di essere toccato per consegnare diamanti. L’evoluzione della pandemia in Europa e nel mondo può essere segno che accompagna, oltre a parole di urgenza e di speranza, anche a prospettive di bellezza in ordine al cambiamento di sguardo umanizzante sulle cose?
E’ la domanda, la differenza, colta dal teologo domenicano Josè Maria Castillo in un articolo pubblicato il 22 marzo scorso nel blog dell’Autore sul sito Religion Digital:
«Una delle cose che stanno emergendo con chiarezza in quest’enorme sventura che stiamo subendo -la pandemia di coronavirus – è la differenza tra la religione e il vangelo. Perché sono due cose molto diverse. E in alcune questioni di enorme importanza sono esperienze e pratiche contraddittorie. È dovuta venire una disgrazia così spaventosa come il coronavirus, perché molte persone comprendessero la differenza che c’è tra religione e vangelo»[1].
 
La differenza tra religione e vangelo
Quello che per certi aspetti durante i mesi più duri di restrizione è risultato essere un vincolo pericoloso e di fatto sospeso (funzioni e processioni religiose), non ha impedito l’avvicendarsi nella vita e nella prassi quotidiana di quella sensibilità e mancanza a tutto ciò che, invece, l’evidenza del vangelo suggerisce. Nell’appello, innervato di umanesimo, all’incontro con il prossimo, alla cura e all’attenzione degli ammalati, dei bisognosi, degli emarginati e perfino dei defunti. Nel ripensamento di quelli che sono gli ordini consueti delle priorità individuali e comunitarie. Sotto questo profilo anche il tempo di questo scorso Natale può essere letto, in realtà, come una delle più autentiche sollecitazioni  evangeliche condivise del e nel nostro secolo. L’equivoco che tante volte «è stato commesso nella Chiesa quando con il passar degli anni il vangelo ha finito per fondersi e per confondersi con la religione»[2] interpella anche la fede di ciascuno di noi mostrando in verità chance promettenti più dentro alle ferite del mondo che alle sicurezze del sacro: «Perché “religione” e “vangelo” sono mezzi o percorsi per cercare Dio. Ma sono mezzi o percorsi opposti. La “religione” è un insieme di convinzioni, norme e riti per tranquillizzare la coscienza. Il “vangelo” è un “modo di vivere” che mette tutto il suo interesse nel rimediare alla sofferenza di coloro che passano un brutto momento nella vita. E tutto ciò spiega perché la “religione” ha il suo centro nel “sacro”, mentre il “vangelo” ha il suo centro nell’“umano”»[3].
 
Uno sguardo nuovo sul mondo
Quando David Maria Turoldo scriveva la sua poesia Canta il sogno del mondo[4], invitava a collocarci in un altro modo di guardare al mondo. Non con lo sguardo preoccupato e fideista[5] che allontana ma con <la mano> che avvicina <l’umano in città>, rintracciandone il bi-sogno di essere incontrato. Che è il cuore del vangelo, l’essenza del cristianesimo.
 
“Alzarsi e andare verso” cum passione
Cantare il sogno del mondo significherà, innanzitutto, porsi in un atteggiamento di empatia e in una logica di ascolto operoso con gli uomini che è propria del vangelo. Vorrà dire, cristianamente parlando, “alzarsi e andare verso” cum-passione alla bellezza del crocifisso che, sofferente, prende corpo nella storia ancora e fuori dalle logiche e dai confini del religioso (sono i sommi sacerdoti che, di fatto, hanno condannato Gesù che, in mezzo ai due ladroni, “si associa” ai bestemmiatori e ai blasfemi di ogni tempo: è questa infatti l’accusa con la quale il Sinedrio lo condannerà). Sintonizzarsi con la profonda umanità del Cristo sulla croce [6].
 
La bellezza del vangelo che trasforma
Se una rinascita spirituale “del mondo” è auspicabile dalla cristianità, essa non può che avvenire a partire dal rapimento e dal coinvolgimento di essa stessa (e delle sue istituzioni per prime) nella conversione promossa dalla bellezza del crocifisso abbà-donato, consegnato radicalmente alla risposta del Padre/Abbà, che presuppone e invita a un cambiamento radicale della mentalità religiosa, quindi umana. Sarà questa “la bellezza” del vangelo che trasforma e che può vincere il mondo, come scriveva Dostoevskij nel suo romanzo L’idiota? Non è un trionfo sul mondo ma per il mondo, che non fa leva su criteri estetici ma sull’agire, sul concreto fare la bellezza facendo spazio all’intervento di Dio nel tempo e avvicinandosi ai costati trafitti dell’umano dimenticato con “pazienza”, che ha le stessa etimologia della parola “passione”. Nelle domande escatologiche formulate nel Vangelo di Matteo, infatti, nessuna ha come oggetto Dio ma tutte riguardano l’uomo (il forestiero, l’affamato, l’assetato, il carcerato …). Nel messaggio del vangelo i cardini del sistema religioso antico (propriamente giudaico) vengono capovolti: non verrà richiesto di fare più tutto per Dio; ma di fare, con Dio, tutto per l’uomo: “Tutto quello che hai fatto a ognuno di questi, l’hai fatto a me” (Mt 25,40)»[7]
 
 Il vangelo che libera: fare amare l’amore
Allora, anche dal punto di vista educativo, la sfida -e la provocazione- , forse, potrebbe essere questa: staccare i crocifissi dalle pareti delle scuole sì, ma per metterli sulle cattedre, per tenerli vicini, giù dall’alto e incontro all’altro, spezzandone la fragrante bellezza s-piegandola agli studenti attraverso coerenti parole di verità unite all’autentica testimonianza di vita nello stile del vangelo che libera e non in quello religioso che inchioda. Questa è la missione: fare amare l’amore[8].
 
La risposta del Dio-Abba. 
Che la secolarizzazione non diventi, allora, il terreno, certo accidentato ma fecondo, di una nuova fioritura dell’uomo spirituale? Che, più dai solchi dell’umanità abbàndonata che non dagli anfratti asfittici e conservatori del sacro, non rinasca la domanda esistenziale che nel vangelo trova risposta e vita?[9] Se, dai sepolcri della storia, un riscatto e una rinascita del “corpo sociale” è auspicabile, anche per noi cristiani, essa non potrà che avvenire, probabilmente, nell’eco tracciata dal canto dello spirito che sale dal profondo delle nostre attese spezzate, dei nostri sogni incompiuti, al Dio che lo aspetta in ogni venerdì santo della storia. Della nostra e di quella del mondo.
E il Dio-Abbà, risponderà.
Simone De Rosa
 
NOTE
[1] Castillo J.M., Religione e Vangelo, in www.religiondigital.com, 22 marzo 2020.
[2] Ibid.
[3] Ibid.
[4]«Ama, saluta la gente, dona, perdona ama ancora e saluta […] Canta il sogno del mondo…». Per una raccolta di poesie di D.M. Turoldo si può vedere: Turoldo D.M, O sensi miei, Rizzoli, Milano, 1991.
[5] «Fede perciò come continua novità [..] come distruzione e superamento di tutte le ideologie, è quella che salva dai fideismi, dai settarismi, dai fanatismi. Per questo bisogna sempre salvare la religione, perché è la fede stessa che salva la religione e non viceversa». AA.VV. Il dono di Turoldo, a cura di G. Zois, La Buona Stampa, Lugano 1993, p.145.
[6] «Gesù, il Crocifisso risorto, è presente in ognuno in cui la fatica di vivere lasci più profonde e sofferte le sue tracce […] Scorgere in ogni affamato o nudo, in ogni ammalato o carcerato o straniero, un “povero Cristo” è innestare sul tronco dell’obbedienza al Signore risorto la compassione verso il Servo ancora crocifisso.»A. Rizzi, Povertà e condivisione nella Chiesa, Antologia biblico-patristica, ed Qiqajon, Magnano 2002, Introduzione.
[7] «E questo spiega perché secondo il <vangelo> Dio si è incarnato; cioè, Dio si è umanizzato» Castillo J.M., Religione e Vangelo…,cit.
[8] E’ quello che sostiene Daniel-Ange nel suo testo La missione: far amare l’amore, Elledici, Torino 2011.
[9] «E la sostanza della questione sta in qualcosa che non ci entra in testa. Nella nostra più profonda intimità portiamo sempre domande che non trovano risposta. Molte volte fuggiamo da noi stessi o cerchiamo di fuggire, cercando soluzioni nel divertimento o nell’egoismo. Soluzioni sostitutive che durano poco. In realtà, restano le domande ed il vuoto. Ci sono anche quelli che cercano una risposta nella religione. Ma i riti religiosi sono azioni che, a causa del rigore dell’osservanza delle norme, finiscono per costituirsi in un fine in sé».Castillo J.M., Religione e Vangelo…,cit.