Nessuno scambierebbe un caffè di cicoria per un vero caffè. Probabilmente il caffè di cicoria ha proprietà curative e digestive, forse culla il desiderio di bere un giorno un vero caffè tostato, ben miscelato di arabica, robusto; tuttavia, non è il caffè. Anche la didattica in presenza non può essere scambiata con eventuali surrogati come la così detta didattica a distanza, cui non si può negare qualche qualità, ma non si può concedere lo stesso status.
Come tutti sanno, la didattica rientra nel grande progetto formativo del sapere umano, in quanto riguarda la teoria e la pratica dell’insegnamento per cui ogni disciplina, sia essa umanistica o scientifica o tecnica, la quale pretende di avere qualcosa da dire, attende la verifica di un pubblico desideroso di apprendere. È sciocco contrapporre ricerca e didattica: se uno studio è ben fondato può essere insegnato e formare delle coscienze, preparare dei cittadini, insegnare dei mestieri; se è fuffa, no. Così come, se un ricercatore è bravo, sa insegnare; il contrario è molto difficile.
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Ciò premesso, una lezione ha un valore formativo dal momento che viene allestita all’interno di una situazione enunciativa in cui prende vita, e vive, una “comunità educante”. Quando non è possibile che questa comunità si riunisca in presenza, è ovvio che bisogna escogitare qualche altro “mezzo” di comunicazione: si pensi alla televisione, che diede spazio al geniale corso di alfabetizzazione, Non è mai troppo tardi, che durò dal 1960 al 1968 (un format copiato poi in tutto il mondo), del maestro Alberto Manzi. Le misure restrittive, messe in atto per il contenimento del Covid, hanno spinto scuola e università verso la massiccia adozione dell’insegnamento in modalità telematica. Così come la trasmissione del maestro Manzi non sostituì la scuola elementare, semmai la supportò; così per questo esperimento telematico non vedo altro futuro che quello di un supporto provvisorio un’uscita di sicurezza per situazioni d’emergenza. Lo stesso vale per presentazioni, convegni, riunioni, ecc., che in questi giorni hanno trovato sbocco su internet. Non diversamente, amici, parenti e innamorati, quando non possono vedersi, si danno una telefonata o prendono un appuntamento su Messenger o su Skype o altrove, e qualora vogliano esibirsi in un carteggio old style, possono sempre inviarsi delle lettere. Gli affetti, quando sono veri, si costruiscono dal vivo. Se l’emergenza dovesse tornare, non è arduo prevedere che si tornerà alla modalità telematica, ben sapendo che una “chat” non può sostituire un abbraccio.
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La lezione è formativa quando mette in relazione due soggetti, in genere un docente e uno o più discenti, non per confermare una gerarchia indiscutibile, ma per costruire un “dialogo”, un convivio, un simposio, che con un metodo frontale, maieutico, laboratoriale, o qual si voglia, costruisca un sistema di relazioni dinamiche fra i partecipanti, valorizzando – ai fini di un sano reciproco arricchimento – tutti i sensi a loro disposizione, compresi gli sguardi e i gesti che variano da luogo a luogo, di là dalle “distanze” da mantenere: distanze che non vanno confuse con quelle previste dai recenti provvedimenti sanitari, ma sono in ragione dei paradigmi culturali dei soggetti, all’interno di uno spazio condiviso.
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Nel corso della lezione in presenza si afferma, insomma, una dimensione “nascosta”, che può sembrare secondaria rispetto ai contenuti della lezione, ma è decisiva per l’apprendimento, in quanto consente di avere una percezione fisica della lezione e di acquisirla non solo nei suoi contenuti ma anche come “esperienza” all’interno di uno spazio familiare (così come a un bambino, per esempio, succede di apprendere meglio il linguaggio materno in un ambiente rassicurante). In tal modo, la lezione diventa un evento vissuto entro una dimensione comunitaria. Cosa che, invece, non avviene nella lezione online, in cui il discente esperisce una lezione che, se pur non precluda l’apprendimento (che spesso si riduce a un mero “trasferimento” di nozioni), è priva di contenuti esperienziali condivisibili, e in sostanza non giunge al cuore del rapporto fra maestro e discepolo, che consiste nell’obiettivo “formativo”, ma bisognerebbe dire “trasformativo”. Così come non so quanto valga ribadire un “ti amo” dietro uno schermo, o almeno renderlo credibile, senza un bacio o un abbraccio che possa verificarne l’autenticità verbale. Ci si deve accontentare. Se non vi sono inconvenienti tecnici, il discente resterà educatamente seduto davanti allo schermo, nel quale il docente parlerà davanti a grigie silhouettes umanoidi, ognuna chiusa nel proprio guscio abitativo, sperando nel senso di responsabilità di chi lo ascolta, ma senza poterne avere simultaneo riscontro. Se la lezione in presenza ha un effetto “collante” fra i diversi partecipanti, i quali hanno la possibilità di nutrire un sentimento di “appartenenza”, una “coscienza” di classe, quella online sortisce un effetto di scollamento fra i suoi partecipanti, i quali avvertono un frustrante senso di disappartenenza. Se la lezione in presenza si offre come un luogo d’incontri e incroci di sguardi che traducono un metaforico agapico abbraccio fra docente e discenti, quella online si può volatilizzare pigiando un pulsante, dopo il quale cala all’improvviso un silenzio buio, frastornante.
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Dunque, la lezione a distanza è ammissibile come surrogato del “desiderio” di conoscenza, nella misura in cui può ricordarci che l’insegnamento è “formativo” quando è realizzato in presenza. In un futuro si spera molto molto lontano, speriamo mai, potrebbe accadere che un bambino impari a parlare non dai suoi genitori, non dall’ambiente vivo che lo circonda, con tutte le più varie contraddittorie ma vivificanti inflessioni, ma da un computer diligentemente programmato con una grammatica asettica e astratta: se questo avverrà, è probabile che il bambino impari a parlare come un automa, senza avere alcuna coscienza che ogni parola ha una sua portata affettiva, si scalda dell’amore della lingua materna, e che la conoscenza è fondata sull’emozione di un contatto vivo e non mediato o filtrato dai pixel di uno schermo, o da un microfono che metallizza inflessione e registro vocale di un essere umano. Quando questo avverrà, non si avrà più a che fare con esseri umani, e tutto potrà accadere.
Salvatore Ritrovato
in Pangea,“QUANDO UN BAMBINO IMPARERÀ A PARLARE NON DAI SUOI GENITORI, MA DA UN COMPUTER DILIGENTEMENTE PROGRAMMATO CON UNA GRAMMATICA ASETTICA E ASTRATTA…”. LA CICORIA E IL CAFFÈ: PERCHÉ NON SI PUÒ PARLARE DI “DIDATTICA” A DISTANZA, Giugno 22, 2020