L’Amoris Laetitia letta con gli occhi di una madre di un ragazzo gay
di Carmen Luz Güemes Álvarez
 
Quando mi hanno proposto di scrivere per questo blog, la mia risposta spontanea è stata “Sì”. Non ci ho girato molto attorno, in quel momento ho pensato solo che era un’opportunità di esprimere la mia opinione personale sull’esortazione di papa Francesco e sentivo che attraverso il mio scritto potevo trasmettere ciò che ho condiviso con molte altre persone, laiche e laici membri della Chiesa che, proprio come me, stanno costruendo dal basso questa Chiesa che è di tutti e danno testimonianza della buona novella del Vangelo nella quotidianità della vita.
Poco dopo mi sono resa conto che non sarebbe stato così facile scrivere, perché mi avrebbe esposta e impegnata pubblicamente, il che a volte ha un costo. Senza dubbio, nel corso della mia vita ho scoperto e capito sempre meglio che voglio viverla intensamente, approfittando di tutto ciò che mi viene regalato e anche di ciò che mi viene tolto, e per questo non posso essere una turista né osservare da lontano la vita che mi tocca vivere, devo invece esserne la protagonista.
Molti anni fa, quando venni a sapere dell’omosessualità di mio figlio, presi un impegno non solo con me stessa, ma anche con lui e con la Pastorale della Diversità Sessuale (Padis+), della quale faccio parte, per aiutare la mia Chiesa a progredire e riconoscere pienamente l’esistenza di migliaia di persone che, come mio figlio, hanno un atteggiamento corretto e rispettoso nella società e nella comunità cristiana. Oggi, grazie ai cambiamenti che stiamo sperimentando nel Paese e nella Chiesa in relazione alle persone LGBTI, conosco un nuovo desiderio di battere insieme nuovi cammini di inclusione e accoglienza per vivere l’amore nelle varie situazioni di vita che le famiglie oggigiorno sperimentano.
Per questo, tutto ciò che abbiamo vissuto nei due Sinodi precedenti l’esortazione ha alimentato in me molte aspettative e speranze. I documenti emanati dalle due assemblee registravano un’apertura, un nuovo tono pastorale. Molti speravano che papa Francesco si sarebbe pronunciato sugli argomenti che toccano da vicino la vita dei nostri figli e delle nostre figlie. Cambierà la dottrina, smetteranno di parlare di “tendenze” e di “comportamenti disordinati”? Cosa diranno a noi, noi mamme, noi papà, fratelli e amici? Non posso smettere di sperare e avere fiducia che le cose cambieranno. Forse non ora, non per noi, ma per le generazioni future.
Per questo scrivo, da qui voglio dare il mio contributo e mostrare ciò che gli altri non vedono, perché non possono o perché non vogliono. Io però posso, voglio e debbo dirlo. Perché all’interno della Padis+ ho incontrato una nuova missione in questa tappa della mia vita, per la quale mi sto mettendo in gioco e impegnando completamente. Su questo sentiero ho scoperto la chiamata del Signore a essere testimone del suo amore misericordioso per mezzo nostro, a proclamare, lodare e ringraziare per la vita della Padis+, l’”Allegrezza dell’amore” incarnata.
La mia esperienza di accompagnamento pastorale
Ciò che viviamo giornalmente alla Padis+ parla di questa Chiesa accogliente che desideriamo e di cui abbiamo nostalgia, questa Chiesa di Gesù Cristo che non chiede né discute, ma apre le braccia per accogliere chi le si avvicina, senza condizioni di nessun tipo. Parla di un sacerdote che si è commosso come Gesù di fronte al dolore dell’uomo e della donna del suo tempo, che ha saputo ascoltare e scoprire, in quel primo incontro del 2010, lo stesso Gesù incarnato in quei giovani che sono venuti a trovarlo. Quei giovani, proprio come noi, “hanno messo a nudo” le sue fragilità, i suoi desideri e la sua allegrezza. Non chiese loro spiegazioni, né tanto meno offrì grandi risposte. La Padis+ parla di una comunità ecclesiale, la Comunità di Vita Cristiana (CVX), che sapendo leggere i segni dei tempi ha voluto andare alla frontiera e impegnarsi in un cammino inedito di accoglienza e inclusione, all’interno della Chiesa cilena, per le persone LGBT, le loro madri, i loro padri, le loro famiglie.
Sono testimone di come la buona novella del Vangelo si fa vita in ogni papà e ogni mamma che arriva disperato o angustiata da noi e apprende forme di aiuto e di accompagnamento per suo figlio o sua figlia dopo aver saputo della sua omosessualità. Molti di noi hanno sperimentato il rifiuto e il senso di colpa che per anni ci hanno paralizzati e allontanati dai nostri figli, la vergogna e la mancanza di senso, la violenza e le aggressioni che alcuni hanno subito, anche nelle nostre comunità cristiane e all’interno delle nostre famiglie.
La Padis+ ci ha regalato uno sguardo pieno di speranza e ci ha permesso di uscire dal circolo vizioso che ci teneva rinchiusi e paralizzati. In essa ci siamo ripetuti che, malgrado tutti i nostri dubbi e timori, l’amore per i nostri figli e le nostre figlie non cambia, che l’allegrezza che ci hanno donato con le loro vite permane intatta, che il nostro impegno come mamme e papà è sempre il medesimo, anche quando crediamo che tutto sia perduto. Tutti facciamo i conti con il dubbio e il dolore. Senza dubbio, malgrado le lacerazioni e l’incertezza, siamo pieni di allegrezza e gioia per aver incontrato la Pastorale della Diversità Sessuale, questo luogo in seno alla Chiesa che dà vita e regala speranza. Riconoscerci come comunità e saperci accompagnati da altri lungo il cammino fa sì che tutti noi che facciamo parte di questa Pastorale abbiamo potuto sperimentare quel Tabor di cui ci parla Gesù nel Vangelo, esclamando insieme e all’unisono con i discepoli: “come si sta bene qui, drizziamo le nostre tende”. È il nostro anelito non solo per noi, ma anche per i nostri figli e per tutti coloro che attualmente non si sentono pienamente invitati a drizzare le loro tende nella Chiesa.
In questo luogo apprezzo il tono pastorale della esortazione e sono felice che la sua chiave di lettura sia l’amore. Vedo un Papa coerente con ciò che ha mostrato da quando è stato eletto vescovo di Roma, un Papa che vuole essere vescovo che odora di pecora, che è uscito fuori e ha invitato la Chiesa a cercare tutti senza eccezione, senza discriminazioni di alcun genere. Il suo invito ad essere una Chiesa che sia ospedale da campo, che sprizza misericordia e sempre in atteggiamento di ascolto, ci ricorda una volta di più che la nostra fede deve essere vagabonda, che Gesù esce con noi per andare incontro all’altro. Questa immagine ha incantato nuovamente molti di noi e ha riconfermato le nostre speranze.
Tutto questo è stata ed è aria nuova per la Chiesa e attraverso Francesco sentiamo e riconosciamo il soffio dello Spirito come un grido di aiuto per recuperare il cammino che la Chiesa ha trascurato. Il Papa dialoga costantemente con la società e sa essere autocritico riguardo le sue azioni e quelle dei suoi confratelli sacerdoti, che ha invitato ad essere umili e a farsi prossimo, a riconoscere di essere stati anch’essi responsabili dei modi in cui hanno presentato le nostre convinzioni e credenze come Chiesa, specialmente sugli argomenti legati alla nostra vita sessuale e affettiva. Apprezzo enormemente che si rimetta la persona al centro dell’azione pastorale e che si affermi che il lavoro dei pastori consiste nel formare e accompagnare la nostra coscienza, in nessun caso sostituirla. “Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa” (Amoris Laetitia, § 310)
Le sfide
Provando questi sentimenti, non posso accontentarmi della soddisfazione per la novità del tono e le priorità pastorali del Papa. La Chiesa, compreso Francesco, rimane ancora in debito. Non mi soffermerò su tutti i punti dell’esortazione ma farò riferimento al linguaggio utilizzato per descrivere la realtà dei nostri figli e a cosa accade nelle famiglie quando si viene a sapere della loro omosessualità. Sebbene apprezzi enormemente che non sia faccia menzione delle espressioni con le quali il Catechismo descrive la sessualità dei nostri figli (comportamenti intrinsecamente disordinati), mi preoccupa constatare che per la Chiesa la situazione delle nostre famiglie venga sempre percepita come problematica e irregolare, come se avere un figlio gay o una figlia lesbica sia sempre motivo di pena e dolore, un gravame del quale dobbiamo sentirci colpevoli. Apprezzo il fatto che si prenda in considerazione la nostra realtà, per molti anni ignorata, però credo che la approssimazione dovrebbe sempre partire dalle cose positive, senza presumere per principio che ciò che viviamo sia in sé una situazione complessa.
L’esortazione fa esplicitamente riferimento alla nostra realtà all’articolo 250, all’interno del capitolo su Alcune situazioni complesse. Lo fa descrivendo la situazione delle famiglie “che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale” (Amoris Laetitia n° 250). Al di là dei problemi di traduzione tra le distinte versioni dell’esortazione, il testo secondo me si esprime in maniera scorretta e inaccettabile. I nostri figli e le nostre figlie NON hanno tendenze omosessuali, né tanto meno diventano omosessuali o si trovano in una fase omosessuale del loro sviluppo. Essi SONO omosessuali, questa è la loro natura, donata e amata da Dio. Non può essere che così. La parola “tendenze” evoca qualcosa che si può tirare fuori o cambiare con la volontà o il capriccio. È la trappola nella quale cadono molti genitori che preferiscono non credere ai propri figli e li mandano da certi terapeuti per farli cambiare e correggere le loro tendenze. Non è ciò che vedo in mio figlio, nei suoi amici e nelle sue amiche; non mi riferisco certo in questo modo agli eterosessuali. Non capisco perché insistere con questo linguaggio.
Forse in questa insistenza si nasconde la difficoltà della Chiesa ad adattare la dottrina alla realtà delle persone LGBTI. Non riconoscere l’omosessualità come una espressione della sessualità umana non fa che mantenerci nella medesima condizione di invisibilità in cui la Chiesa ci ha mantenuti lungo tutta la sua storia e non dà ragioni di sperare in una Chiesa profetica che si sporca le mani e si indigna per le ingiustizie, le violenze e i maltrattamenti.
Come ha detto Pedro Labrín sj in una intervista radiofonica, non è necessario che la Chiesa cambi la sua dottrina per sradicare e condannare ogni tipo di pratica discriminatoria, ingiusta e violenta verso le persone LGBTI. Quando capiamo che anche il linguaggio può essere dannoso, e molto, capiamo anche perché molti di noi continuano a ritenere offensivo che si riduca l’esperienza dei nostri figli a un mero insieme di tendenze. Tutto questo fa sì che la Chiesa continui a guardare con sospetto e sentimento di minaccia qualsiasi iniziativa che riconosca il diritto universale all’amore e alla cura tra persone dello stesso sesso. Io desidero che mio figlio sia felice. Se la sua vocazione è l’amore, e questo amore, per sua natura, si rivolge a una persona dello stesso sesso, io lo sosterrò e lotterò per la sua felicità e per quella di molte altre persone, perché la felicità dei miei figli la desidero allo stesso modo per tutti.
Più avanti, nel capitolo ottavo della Amoris Laetitia, il Papa parla della pastorale di accompagnamento e segnala che “I presbiteri hanno il compito di accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo” (Amoris Laetitia, n° 300). Io mi chiedo: chi e come accompagna i presbiteri, perché anch’essi possano compiere tale itinerario di accompagnamento e discernimento? Poiché tutti noi che siamo Chiesa, laici, religiose e presbiteri siamo chiamati a realizzare tale itinerario.
La logica di misericordia pastorale che ci propone il Papa è per tutti: “A volte ci costa molto dare spazio nella pastorale all’amore incondizionato di Dio” (Amoris Laetitia n° 311); perché possiamo essere Chiesa accogliente che sprizza misericordia, la casa paterna dove c’è posto per tutti, dobbiamo avanzare uniti. Anche il mondo omosessuale spera e ha bisogno di comprensione, di perdono e inclusione piena per continuare a crescere e a far parte della Chiesa. Nessuno dovrebbe trovarsi obbligato a scegliere tra la sua fede e la sua sessualità. La Chiesa dovrebbe favorire questo processo, non ostacolarlo né tanto meno contribuire a far sì che la vita sia un problema.
Come laici quali siamo, dobbiamo avere fiducia nelle nostre autorità ecclesiastiche e aspettare di vedere come metteranno in pratica il documento. Dio continua a condurci all’interno della Chiesa nonostante tutte le nostre fragilità. La Padis+ è uno dei mezzi che Dio ha donato alla Chiesa. Ci sono molte persone che, come noi, stanno lavorando per una società più giusta, rispettosa e inclusiva. Noi speriamo che il clero cileno e la società nel suo insieme possano lavorare e collaborare uniti perché nessuno si senta figlio di seconda classe.
Che questo tempo di Pentecoste ci permetta di uscire dalla nostra segregazione e riconoscere la vita che scorre al di fuori dei nostri circoli. Che lo spirito di discernimento ci rallegri e soffi forte attraverso di noi, specialmente tra coloro che avranno la responsabilità di mettere in atto l’esortazione e fare dell’Allegrezza dell’amore un’esperienza che tocchi tutti allo stesso modo.
* Carmen Luz Güemes Álvarez fa parte del Gruppo Genitori della Pastorale della Diversità Sessuale (Padis+) di Santiago del Ccile.
** La Comunidad de Vida Cristiana (CVX) di Santiago del Cile è una comunità formata da uomini e donne, giovani e adulti che vivono la loro fede ispirandosi alla spiritualità ignaziana.
in “www.gionata.org” del 10 giugno 2016, originale: La Alegría del Amor .
 
 
Il papa e la famiglia. Le novità inattese dell’Amoris Laetitia
di José Maria Castillo
Una delle affermazioni che, in determinati ambienti ecclesiastici, vengono in questi giorni maggiormente ripetute, è che la recente esortazione apostolica Amoris Laetitia di Papa Francesco non porta niente di nuovo, se paragonata alla Familiaris Consortio di san Giovanni Paolo II. Dopo tanto sinodo e tanto ritornare sull’argomento, arriviamo alla stessa conclusione. A quello che la Chiesa ha sempre insegnato. È davvero così?
Lo scrittore José Antula ha pubblicato un dettagliato studio, La vera novità della Amoris Laetitia, nel quale spiega in modo documentato le novità contenute nella recente esortazione di papa Francesco. Va da sé che sono completamente d’accordo con ciò che dice José Antula nel suo recente scritto. E varrebbe la pena che le mentalità più rigide e spiritualiste si rendessero conto di ciò che insegna papa Francesco quando ad esempio parla dell’“amore erotico” (n° 150) e dell’amore come “passione” (n° 148). Argomenti che di certo non si sentono facilmente nella retorica clericale. Ma soprattutto, quello che maggiormente richiama l’attenzione è l’insistenza del papa sul tema dell’amore reciproco, “amore d’amicizia”, che equipara e unisce gli sposi – e non sulla dottrina della Chiesa o sulle sue leggi – come argomento trasversale, che ricorre in tutta la recente esortazione papale dall’inizio alla fine.
Bene, assodato ciò che ho appena esposto, mi sembra importante che comprendiamo (o ci rendiamo conto della) la novità contenuta in tutto questo programma riguardante la famiglia, se consideriamo questo argomento a partire da dimensioni che sono ad esso attinenti. Per esempio, la dimensione storica o quanto concerne la sociologia dell’istituzione familiare.
Mi spiego. Se facciamo attenzione a quello che affermano i sociologi attualmente più quotati, comprendiamo immediatamente che la famiglia è una di quelle istituzioni che stanno vivendo cambiamenti tanto rapidi e tanto profondi che, in una stessa famiglia, spesso i nonni non capiscono i nuovi costumi dei figli e, ancora meno, quelli dei nipoti. Molti non hanno pensato che la famiglia tradizionale era soprattutto un’unità economica, cosicché, per secoli, il matrimonio non è certo stato contratto sulla base dell’amore sessuale. Così si comprendeva (e si viveva) questa materia da un punto di vista che si rifaceva al diritto romano. Tutti i diritti e tutto il potere si concentravano nel pater familias (Peter G. Stein). E così siamo rimasti, in cose molto fondamentali, fino a poco tempo fa. Per questo la diseguaglianza era intrinseca nella famiglia tradizionale.
Negli ultimi anni tutto è saltato per aria. E rimangono tre punti fondamentali, che stanno sostituendo i vecchi legami che solevano unire le vite private della gente: le relazioni sessuali e amorose, le relazioni padre-figlio e l’amicizia. Di conseguenza, il centro dell’istituzione famigliare si è spostato: dalla famiglia come “unità economica” a quella che appropriatamente è stata chiamata la “relazione pura” (Anthony Giddens). Ma cos’è, infine, questa “relazione pura”? “È la relazione che si basa sulla comunicazione, di modo che è essenziale capire il punto di vista dell’altra persona”.
Quindi, se le cose stanno in questi termini, e io ne sono convinto, se adesso rivolgiamo l’attenzione all’esortazione di Papa Francesco, non c’è bisogno di sforzarsi molto per capire che il Papa, essendo fedele alla tradizione della Chiesa, ha colpito nel segno riguardo ciò che sta avvenendo nell’istituzione familiare, e anche riguardo la soluzione per lo stato di cose che stiamo vivendo. Più chiaramente: la soluzione dei problemi della famiglia non si trova nell’affermare verità categoriche, né arriverà dal sottomettere a norme rigide qualsiasi cosa noi volessimo regolarizzare.
No. Il problema non sta in niente di tutto questo, e pertanto in niente di tutto questo si troverà la soluzione. La famiglia recupererà la sua stabilità, il suo equilibrio e la sua ragion d’essere nella misura in cui l’amore d’amicizia, che nel linguaggio secolare potrebbe essere chiamato “relazione pura”, occupi quella centralità che, per secoli, era stata occupata dal pater familias come padrone e garante di quell’unità economica che, di fatto, l’istituzione familiare era.
Papa Francesco, rispetto a san Giovanni Paolo II, non solo ha portato diverse innovazioni in questioni davvero fondamentali, ma ha anche colto “i segni dei tempi” molto meglio di quanto si immaginano coloro che si impegnano a far sì che tutto rimanga immutato.
* José Maria Castillo è dottore in teologia ed ex sacerdote gesuita spagnolo.
Riflessioni di José Maria Castillo* pubblicate sul blog Teología sin censura (Spagna) il 23 aprile 2016, liberamente tradotte da Dino, in “www.gionata.org” del 10 giugno 2016