“Qui c’è tanta paura tra i fedeli la Chiesa vuole creare un ponte”
intervista a Paolo Bizzeti a cura di Marco Ansaldo
«Venire in Turchia è una bella sfida», dice Paolo Bizzeti, nuovo vicario apostolico dell’Anatolia. «L’Anatolia era ormai senza vescovo da 6 anni. Non è una sfida facile: però, sono molto convinto nell’affrontarla». Monsignor Bizzeti, 68 anni, è un uomo alto e dal piglio sicuro. Fiorentino, gesuita, laureato in lettere, filosofia e teologia, la sua nomina colma il vuoto della sede vacante a Iskenderun (Alessandretta) quando il 3 giugno 2010 il suo predecessore, monsignore Luigi Padovese, fu ucciso dal suo autista. Oggi il nuovo capo della Chiesa cattolica di Anatolia celebrerà a Trebisonda la messa per il 10° anniversario della morte di don Andrea Santoro.
Intervista
La Turchia oggi è al centro dell’attenzione mondiale per motivi diversi. Che atmosfera ha trovato?
«Ci sono tante Turchie. Questo è un paese che conosco e che apprezzo tantissimo. E spero che, dal bagaglio che mi porto qui, emerga la possibilità di creare ponti, come faceva san Paolo, nato a Tarso».
Dieci anni dopo don Andrea, però, poco sembra essere cambiato. E la piccola comunità locale appare tuttora impaurita.
«Il confratello gesuita che si trova ora a Trebisonda è da solo. E una comunità di fedeli, benché piccola come quella attuale, è essenziale. Ma devo dire che impauriti lo sono ovunque. La paura è tangibile e non solo per i cristiani: riguarda tutti, rispetto ad anni fa, quando c’era un’aria di fiducia, di apertura».
E che cosa è cambiato?
«La guerra è qui vicina, in Iraq, in Siria. E il terrorismo, poi, è un’altra forma di guerra che punta proprio sulla paura. Poi c’è anche la delusione, per una situazione internazionale di stallo. Tutto questo per i cristiani ha un effetto moltiplicato».
in “la Repubblica” del 5 febbraio 2016
 
 
Nella Trebisonda del falso Islam dove partì la minaccia ai cristiani
di Marco Ansaldo
Il buco del proiettile è ancora lì, sull’inginocchiatoio della navata di destra. Ultimo banco. Don Andrea si metteva sempre qui a pregare. In fondo alla chiesa. Come faceva Jorge Mario Bergoglio. Stesso approccio. Ma don Santoro non era un cardinale già entrato in conclave e più tardi Papa. Era un semplice sacerdote “fidei donum”, donato per fede temporaneamente alla Chiesa cattolica dell’Anatolia, e finito in quel vortice di vento e di violenza che, ancora oggi, si respira a pieni polmoni sulle strade e nei vicoli della parte meno battuta e più sfuggente del Paese.
Sul Mar Nero. Trebisonda, dieci anni fa.
Il mondo musulmano è in subbuglio. Pochi mesi prima le caricature di Maometto, 12 vignette satiriche pubblicate su un quotidiano danese, scatenano proteste durissime in Pakistan e in Indonesia, nella Striscia di Gaza e in Nigeria. In una di esse, il profeta è raffigurato con una bomba al posto del turbante. L’Islam si solleva. Nella chiesa di Santa Maria di Trebisonda i rapporti di don Andrea con la comunità locale non sono facili. Il sacerdote di Priverno (Latina) ha puntato molto sul dialogo, scrive su un blog, intrattiene rapporti, cerca di redimere le prostitute georgiane. Ma la sua chiesa, buttata su una ripida discesa che parte dalla piazza centrale di Trebisonda e cala di colpo verso il mare, assomiglia a un fortino isolato. I ragazzini suonano sempre al campanello, prendendo in giro il pugno di fedeli cattolici che si riuniscono la domenica a messa arrivando persino da Samsun, 250 chilometri più in là. Don Andrea li richiama all’ordine. E qualcuno alla fine decide di dare una lezione a quel prete occidentale: tanto pare solo, abbandonato, e nessuno lo difenderebbe mai.
A guardare oggi la prospettiva visiva che 10 anni fa, il 5 febbraio 2006, ebbe dalla canonica Loredana Palmieri, la volontaria laica che lo affiancava, rispondendo per l’ennesima volta al campanello, la scena è nitida: un braccio che si protende dalla porta della chiesa, la pistola in pugno puntata alle spalle di don Andrea in ginocchio a pregare, e due spari che lo raggiungono alla schiena. Un’esecuzione. Andrea Santoro muore subito. Il console italiano che da Istanbul raggiunse Trebisonda dirà all’amico giornalista: «Ho visto i suoi vestiti. Gli hanno fatto due buchi così».
Anche adesso è buio sul Mar Nero. C’è gelo, il vento non dà tregua e la chiesa di Santa Maria appare tuttora una ridotta abbandonata. Nella canonica le stanze sono fredde, tocca stare coperti e padre Patrice Jullien de Pommerol, gesuita francese, l’ultimo dei sacerdoti che hanno scelto di sostituire il sacerdote italiano (uno polacco, dopo poco tempo, fuggì per la paura), spiega: «Non è affatto facile stare qui. Abbiamo instaurato ottimi rapporti con molta gente, tutti buoni musulmani, e tanti vicini. Ma con le autorità è molto difficile. C’è molta diffidenza. Appena ci sediamo in un locale con un libro pensano che sia il Vangelo e che stiamo cercando di fare proseliti».
Il pugno di fedeli che si stringeva dieci anni fa attorno a don Andrea non è cambiato di numero.
Quanti siete ora? Risponde un fedele turco che frequenta la chiesa e ha imparato la fede cattolica sul web, collegandosi sui siti cattolici o studiando i libri di religione speditigli da Roma: «Eravamo dieci in tutto. Adesso saremmo 15-16 se contiamo le persone che la domenica arrivano da città vicine».
Ma la distanza da Piazza San Pietro è tanta. «A volte ci sentiamo abbandonati», non esitano a dire, non perché nessuno si curi di loro, ma proprio perché la situazione di isolamento e di paura è sovrastante.
Si disse che il delitto Santoro prese forma in un Internet cafe. Un luogo di passaggio dove giovanissimi fanatici senza arte né parte si ritrovavano, e sui quali aveva un forte ascendente un imam locale che li imbeveva di nozioni di radicalismo religioso. Fu lì che Ouzhan Akdil, all’epoca 16enne, fu convinto ad agire. Venne arrestato il giorno dopo. Il processo però non aiutò a chiarire i mandanti.
A Trebisonda, bellissima e pericolosa, resiste un’enclave fatta di fanatismo religioso e di estremismo nazionalista. Un mix esplosivo, sconosciuto persino all’allora ministro degli Esteri turco, Abdullah Gül, che in buona fede chiedeva informazioni su un luogo lontano dal cuore della Turchia. Poi la città è finita nelle mani, come tutto il paese, del partito conservatore di origine religiosa.
E ora il delegato provinciale Haydar Revi dice: «Qui c’è solo un po’ di disoccupazione e qualche problema metereologico. Trabzon è piena di vita e di pace ».
La sera, al ristorante, un dirigente dei Lupi grigi spiega convinto: «Noi non facciamo compromessi con nessuno. Andiamo dritti per la nostra strada».
Trebisonda dura e pura. Non è un caso che l’omicidio di don Andrea Santoro sia accaduto qui. E che qui si sia aperto uno scenario nuovo in Medio Oriente, e sia partita un’ondata di persecuzione contro i cristiani, una stagione di sangue che dura tuttora.
Nella chiesa di Santa Maria il foro sul legno dell’ultima panca appare scalfito. Qualche fedele ci mette sopra il dito. Come S. Tommaso. Come su una ferita sacra, per credere e ricordare.
in “la Repubblica” del 5 febbraio 2016