Nel mondo, una parte dell’umanità vive una condizione di agonia, non a causa di una malattia terminale, ma perché viene ridotta in agonia attraverso due istituti dei sistemi penali che sono la pena di morte e l’ergastolo. Di queste pene capitali è qui delineata la sostanziale similitudine, attraversando le esperienze delle persone nei bracci della morte e di quelle condannate “fino alla morte del reo”. Le 1677 persone attualmente all’ergastolo in Italia costituiscono una presenza luttuosa per quelle porzioni di società che non vogliono che una persona possa essere condannata fino alla morte. Vestire il lutto per l’esistenza di una morte sociale da pena capitale può costituire un modo per rendere palese ciò che viene celato istituzionalmente e culturalmente giustificato attraverso la mostrificazione dei condannati. È sollecitato anche uno spostamento lessicale rispetto all’uso di parole che celano la crudezza della condizione. Solo l’abolizione dell’ergastolo e l’attestarsi del sistema penale sulle pene temporali che già esistono può rimettere in gioco parole abusate come il termine speranza. La sua simbologia può avere senso solo se è scritta in sentenza una data di fine pena.
 
Descrizione
Autore: Nicola Valentino
Titolo: Le istituzioni dell’agonia. Ergastolo e pena di morte
Editore: Sensibili alle Foglie
Pagine: 88
Prezzo:12,00 euro
Anno: 2017
EAN: 9788898963829
 
Quei silenzi assordanti dei luoghi di «punizione senza ritorno»
di Marco Cinque
Nel volumetto di Nicola Valentino, Le istituzioni dell’agonia (Sensibili alle foglie, pp. 88, euro 12), l’ergastolo e la pena di morte vengono interfacciati in modo da mostrare le reciproche agonie, le similitudini e le differenze che plasmano i loro volti corrotti, mettendo in rilievo le ombre che abitano il silenzio di quei luoghi di «punizione senza ritorno».
Per rendere accettabili queste due espressioni punitive si lavora sull’immaginario collettivo fino a renderlo complice e persino compartecipe del processo di cancellazione fisica e sociale di coloro che vengono sistematicamente disumanizzati e trasformati in rifiuti non riciclabili delle società: i mostri vanno dunque eliminati materialmente con la «morte di Stato».
Nel suo libro Valentino denuncia il macabro primato dell’Italia nel contesto europeo, con 1677 persone condannate all’ergastolo. Parafrasando le parole del condannato a morte Ray «Running Bear» Allen: «la giustizia è direttamente proporzionata al tuo conto in banca e al colore della tua pelle», risulta talmente vera questa equazione che basta guardare i dati statistici più recenti e ci si accorge che l’Italia, oltre ad essere prima in Europa per quantità di detenuti, ha pure il triste primato per il numero di poveri. È evidente e consequenziale lo stretto rapporto tra giustizia sociale e giustizia penale: tanti più poveri avremo, quanto più le carceri saranno piene.
Paradossalmente c’è una grande similitudine tra quel che pensa il cittadino americano medio della pena di morte e quel che pensa il cittadino italiano medio dell’ergastolo: per le rispettive comunità queste due istituzioni penali sono assolutamente intoccabili, tabù culturali quasi impossibili da mettere in discussione. Qualche anno addietro un governatore statunitense affermava persino che «l’umiliazione deve far parte della pena», ma questa arcaica convinzione è poi così lontana dal sentire comune?
È proprio sul comune sentire che bisogna lavorare e il libro di Valentino si connota in questa direzione, trasformando i propri progetti editoriali in occasione di incontro e relazione nel vivo del tessuto sociale. Il prossimo 2 novembre (giorno dei morti), Sensibili alle foglie si farà promotrice di una giornata dedicata a questi temi, coinvolgendo attivamente anche artisti e musicisti.
Il lavoro di Valentino è una sorta di viaggio tra una pena e l’altra, tra l’incudine della pena capitale e il martello del «finepenamai», un lavoro che sonda anche i linguaggi e le terminologie, i regolamenti e i protocolli, fino a entrare nelle vite e nei sogni delle matricole umane con acclusa la data di scadenza. Le Istituzioni dell’agonia sono un coro di urla silenziose dai bracci della morte di San Quentin, Huntsville, Walla Walla, a cui fanno eco quelle degli ergastolani, da una sponda all’altra dell’oceano e dell’umana ragione.
Come ricorda emblematicamente l’autore del volume, «nel 2017, in Italia, 113 ergastolani si sono fatti promotori di una legge di iniziativa popolare per ottenere il diritto a una morte assistita, con lo scopo di anticipare l’epilogo previsto da una condanna che è fino a morte del reo». Forse sarà impossibile dire quale delle due pene sia peggiore per una società che possa davvero ritenersi civile ma, di certo, lo stesso livello di civiltà non potrà mai migliorare se non si arriverà a cancellare dai sistemi penali – e persino dai vocabolari – ambedue le forme punitive.
in “il manifesto” del 13 aprile 2018