“Arma il prossimo tuo”: a Torino una mostra con le foto di Roberto Travan e Paolo Siccardi racconta le guerre d’oggi sul filo delle divisioni religiose
Compagni sconosciuti, vecchi fratelli, arriveremo insieme, lo so, lo sento, un giorno alle porte del regno di Dio, qualunque sia il nome con cui lo chiamiamo.
Turba ingannata, turba sfinita, imbiancata dalla polvere e scurita dal fango di mille strade, cari duri visi di cui non abbiamo saputo asciugare il sudore, sguardi che hanno visto il Bene e il Male, che hanno eseguito il loro terribile compito accettando la vita o la morte, sguardi che non si sono mai arresi.
Così vi ritroveremo, vecchi fratelli, con ancora al collo i segni dell’Eterno per cui avete accettato di morire e di uccidere.
La guerra e i segni di Dio: piccoli e grandi, pendagli e lapidi, chiese e moschee, segni tracciati sui muri e scritte che gridano Dio come documentano queste fotografie strazianti che grondano ancora dolore.
Dio sì, Dio non voglia che riveda mai le strade dove troppe volte ho smarrito le vostre tracce nell’ora in cui l’odio stende le sue ombre e il succo della morte, lungo le vene, rimescola il sangue nel cuore!
Strade dell’Ucraina a fine inverno, fulve e odoranti come bestie, sentieri marci sotto la pioggia, grandi cavalcate di nubi minacciose, rumori del cielo, acque morte…
Vi ho conosciuto. E deserti, deserti scuri di pietre sterili e gialli di sabbia su cui l’impronta dell’uomo si cancella in un attimo al primo soffiare di vento, percorsi in lungo e in largo da cattivi profeti che nascondono nella bisaccia libri colmi di Dio e di morte… Anche lì vi ho incontrati, come gli autori di queste foto che sono lampi di crudo dolore.
Certo, la mia vita è già piena di morti, morti invocando la certezza del martirio e della resurrezione. Ma il più morto di tutti i morti è quello che io fui.
Quando credevo di sentire Dio, il mio il vostro che importa… sussurrarmi accanto: «Sono qua, non vado via, chiamami». E invece… Invece vi vedevo morire.
Anche al colmo dell’orrore e della pietà non ho mai cessato di vedere quello che balza agli occhi: che la fede ottiene dall’essere umano ciò che nessun’altra dottrina ha mai ottenuto. Nel bene e nel male.
Ho visto laggiù, ad Aleppo, passare sulle strade già ingombre di rovine autocarri carichi di uomini. Rotolavano con un rombo di tuono, sfiorando le macerie grigie di cemento da cui spuntavano come piante secche i tronchi di ferro recisi. Gli autocarri erano grigi per la polvere delle strade, grigi anche gli uomini con le mani allungate sui mitra. Sui camion fluttuavano nere bandiere che proclamavano che solo Tu esisti tra tutti gli dei falsi e bugiardi.
Così partivano verso l’ultimo viaggio, la bandiera sventolante e la camicia incollata alle spalle per il sudore. Come il flusso dell’oceano muove i grandi fiumi molto sopra la loro foce, la morte si mescola a ogni vita religiosa molto tempo prima che le si approssimi.
Mi si ripete: «È l’antico terrore, è quella paura degli dei che ha creato gli dei, quella vergognosa paura che sopravvive alla fede stessa».
Siamo dunque noi che portiamo i segni di Dio e lo invochiamo nell’uccidere avvezzati fin dall’infanzia a certe adorazioni, educati alla paura? Dai Balcani alla Terra tra i Due Fiumi tutto è grave, tutto compromette l’eternità.
Questi elementi corruttibili delle tua fede come definirli? È una evidenza, sono una evidenza santini e bandiere, lapidi e scritte. Chi avrebbe potuto immaginare che pezzi di metallo, di legno, graffiti di vernice potessero assumere tante forme quanti sono i singoli destini? Eppure è così: sono fatti a nostra misura, di buon grado o no, nell’odio o nella rivolta o nella sottomissione o nell’amore, bisognerà che li stringiamo in pugno.
Quando il Momento verrà e non saranno i predicatori della Buona Guerra a chiamare.
Abbiamo pietà, vi prego, degli uomini che vedete in queste foto. Sono alle soglie della morte, o forse un po’ al di là ma lo ignorano, non sanno nulla di quel distacco essenziale, fondamentale che non serba alcun colore di vita, raggiunge una specie di trasparenza sovrumana. Le forze urlanti che affrontano non hanno alcun rapporto con il loro povero essere uomini. Camminano nudi nonostante i segni dell’Invincibile che portano addosso, nudi sotto lo sguardo di Dio.
Il male di credere ho incontrato, di Domenico Quirico, in “La Stampa” del 27 febbraio 2018