L’esperienza della malattia e del dolore da sempre spaventano l’umanità.
Il nostro stile di vita sta già cambiando e l’emergenza determinata dal Covid-19 potrebbe essere un’occasione per immaginare reazioni resilienti e la possibilità di rivedere “stili di vita” che nella nostre società occidentali si sono ritenuti fino a poco tempo fa scontati e normali, ma che ora mostrano tutta la loro precaria inconsistenza.
E’ accaduto così molte volte nel corso della Storia: le situazioni emergenziali generano sempre, accanto a effetti tragici e drammatici, possibilità inaspettate di “rinascita” umana e spirituale.
Uno degli aspetti della diffusione del Coronavirus che più mi ha portato a riflettere in queste settimane è certamente quello del distanziamento, in particolare quello corporeo, che soprattutto nella nostra cultura, dove la comunicazione delle emozioni e le interazioni avvengono in molte occasioni attraverso il contatto fisico, comporta un cambiamento radicale di paradigma relazionale. Si sta mettendo in atto una nuova negoziazione degli spazi e dei tempi della vita comune all’interno delle nostre case, delle nostre scuole e anche dei nostri luoghi di incontro con amici, colleghi o anche solo conoscenti: sta mutando la narrazione del nostro quotidiano e la nostra “agenda di vita”.
La domanda che allora mi pongo è la seguente: dove ci sta portando il Covid-19?
La risposta che mi sono dato sta tutta in una semplice ma importantissima parola: l’essenziale.
Proprio così! Sono convinto che questa pericolosa quanto inaspettata epidemia, pur nella sua drammatica fenomenologia, richiami il genere umano a ciò che davvero conta e che, troppe volte, gli uomini e le donne nel nostro tempo hanno dimenticato: l’essenziale!
E in che cosa consiste l’essenziale che neppure il Covid-19 può distruggere ma, anzi, nella sua irruenza, richiama così fortemente che nessuno, per quanto pur ci provi, può fare a meno di ascoltare? E’ il princìpio ciò che tutte le religioni e le filosofie della Storia hanno sempre, in modo più o meno velato e consapevole, cercato e voluto: l’Amore.
Al di là delle debolezze fisiche e psicologiche, delle idiosincrasie, delle invidie, delle gelosie, dei rancori e delle violenze che quotidianamente continuiamo a sperimentare, la domanda che tutte le situazioni “negative” rivolgono agli esseri umani è sempre e solo uno: siete capaci ad amare? Riprendendo S. Paolo (1Cor 13,1-7), possiamo individuare la differenza antropologica più forte proprio nell’essenziale esperienza dell’amore: chi ne è capace «non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità»; chi non ne è degno è solo «come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna» nel frastuono della paura e della sofferenza.
di Gava Paolo, gava.paolo@libero.it