Il presente Documento affronta la complessità della divina Rivelazione riguardante l’uomo e la figura umana. Un vero e proprio sussidio pensato i docenti delle Facoltà teologiche, i docenti di Religione,  per i catechisti, gli studenti di materie sacre capace di favorire una visione globale del progetto divino che ha avuto inizio con l’atto della Creazione e si è completato in Cristo. L’Introduzione è di Luis Ladaria, cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e Presidente della Pontificia Commissione Biblica.
 
Descrizione
Titolo. Che cosa è l’uomo. Un itinerario di antropologia biblica
Autore: Pontificia Accademia Biblica
Data di pubblicazione: 16/12/2019
Pagine: 336
Prezzo: € 15,00
Language: It
Isbn: 978-88-266-0334-6
Brossura
 
 
Il più bel documento di questo pontificato. Che però quasi nessuno ha letto
Sandro Magister

A motivo di una “lieve indisposizione”, Jorge Mario Bergoglio ha dovuto seguire da casa, via web, gli esercizi spirituali d’inizio Quaresima, tenuti nel borgo di Ariccia sui Castelli Romani e terminati oggi, venerdì 6 marzo.
Ma il papa non deve aver perso nemmeno un colpo di quanto detto dal predicatore da lui ardentemente voluto quest’anno: il gesuita Pietro Bovati, 80 anni, professore di Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico dell’Università Gregoriana, consultore della congregazione per la dottrina della fede e membro da dodici anni della Pontificia Commissione Biblica, di cui è anche segretario.
Bovati è biblista di chiara fama, molto stimato da papa Francesco ma estraneo alla cerchia dei suoi cortigiani. E ha dato da poco alle stampe quello che è forse il più bel documento prodotto dalla Santa Sede nei sette anni dell’attuale pontificato.
Agli esercizi spirituali, Bovati ha messo per insegna queste parole dell’Esodo: “Il roveto ardeva per il fuoco”. E ha posto al centro della riflessione “l’incontro tra Dio e l’uomo”, da Mosè a Gesù al credente.
Un tema che riecheggia proprio il titolo del documento da lui curato: “Che cosa è l’uomo? Un itinerario di antropologia biblica”, dove l’interrogativo iniziale è ripreso pari pari dal Salmo 8.
Il documento ha per autore collettivo la Pontificia Commissione Biblica, che è presieduta dal prefetto della congregazione per la dottrina della fede ed è composta da studiosi di riconosciuto valore. In passato ne hanno fatto parte – per limitarci ai soli gesuiti – biblisti del calibro di Carlo Maria Martini, Albert Vanhoye, Stanislas Lyonnet, Ignace de la Potterie, Klemens Stock, Ugo Vanni. E oggi è appunto Bovati il suo effettivo numero uno.
Anche per la dimensione il documento è fuori del comune. È un volume di 336 pagine e nonostante ciò di avvincente lettura, purtroppo stampato finora solo in lingua italiana e in poche copie andate presto esaurite. Per definire che cosa è l’uomo secondo le Sacre Scritture, prende come fondamento il meraviglioso racconto della creazione di Genesi 2-3 e ne ripercorre le riprese e gli sviluppi tematici prima nei libri della Torah e poi nei profeti e negli scritti sapienziali, con una particolare attenzione ai Salmi, per arrivare infine al loro compimento nei Vangeli e negli scritti degli apostoli.
Ne esce un affascinante itinerario di antropologia biblica, nel pieno rispetto dei generi letterari della Scrittura e assumendo la sua espressività simbolica e narrativa.
Ma chi e perché ha voluto che si producesse questo documento?
Sul penultimo numero de “La Civiltà Cattolica”, nell’articolo di apertura, è lo stesso Bovati a rispondere. Il documento, scrive, è stato pensato per essere “manuale di riferimento” nelle facoltà di teologia, in materia di antropologia biblica, ed “è stato sollecitato da papa Francesco”.
In effetti, se si scorre l’agenda del Pontificio Istituto Biblico nel suo sito ufficiale, si scopre che nell’arco dell’attuale pontificato, tra il 2015 e il 2018, le annuali sessioni plenarie dell’istituto hanno avuto tutte per tema proprio l’antropologia biblica, le prime tre sotto la presidenza del cardinale Gerhard Müller quand’era prefetto della congregazione per la dottrina della fede, l’ultima sotto la presidenza del suo successore Luis F. Ladaria, e tutte e quattro con segretario Bovati.
Immeritatamente, il documento ha ricevuto finora scarsa attenzione. A fare un po’ di rumore sono state le proteste di chi ha visto nella sua trattazione del tema dell’omosessualità un cedimento alle teorie del “gender”, in particolare là dove reinterpreta il racconto di Sodoma in Genesi 19.
È vero. Come Bovati ripete anche su “La Civiltà Cattolica”, l’interpretazione che il documento dà è che “nel racconto biblico la città di Sodoma non viene biasimata perché soggetta a disdicevoli brame sessuali, ma è piuttosto condannata per la sua mancanza di ospitalità nei confronti del forestiero, con ostilità e violenze meritevoli del massimo castigo”.
Ma nelle dieci pagine che il documento dedica all’argomento c’è ampio spazio anche per le severissime norme del Levitico contro i comportamenti omosessuali, come pure per l’incandescente invettiva di Paolo nel capitolo 1 della Lettera ai Romani, senza edulcorazioni né remissive reinterpretazioni, fatta salva, in una nota finale, la doverosa “attenzione pastorale per le singole persone”.
Più avanti in questa pagina, come invito alla lettura del documento, è riportato uno stralcio dell’articolo di Bovati su “La Civiltà Cattolica”.
Ma è utile anche richiamare – per apprezzare il valore e la libertà di spirito di questo grande biblista – l’acuta esegesi che egli ha fatto due anni fa sempre su “La Civiltà Cattolica”, della discussa invocazione del “Pater noster” che in latino suona: “Et ne nos inducas in tentationem”.
In italiano e in inglese le traduzioni in uso nelle messe ricalcano molto da vicino la formulazione latina e sono rispettivamente: “E non c’indurre in tentazione” e “And lead us not into temptation”.
Ma “questa è una traduzione non buona”, aveva detto Francesco il 6 dicembre 2017 nel commentare il “Pater noster” su TV 2000, il canale della conferenza episcopale italiana. La quale prontamente si allineò, infine decretando che dalla prima domenica di Avvento del 2020 nelle messe si dica: “E non abbandonarci nella tentazione”.
Su questo sfondo, colpisce il fatto che Bovati non si sia affatto sottomesso ai desideri di Francesco, ma abbia invece ricercato a fondo e spiegato – senza illusori adattamenti – il vero senso originale di quelle parole nella preghiera insegnata da Gesù.
Ma torniamo a “Che cosa è l’uomo?”. Ecco un passaggio dell’introduzione al documento che Bovati ha scritto su “La Civiltà Cattolica” del 1 febbraio 2020.
 
Piccola guida alla lettura del racconto della creazione 
di Pietro Bovati S.J.
Accenniamo a qualche contributo innovativo del documento della Pontificia Commissione Biblica. Ad esempio, vi è un’interpretazione tradizionale di Genesi 2,21-23 che afferma che la donna è stata creata dopo l’uomo (maschio), a partire da una sua “costola”. Nel documento si esamina accuratamente la terminologia del narratore biblico (come là dove si critica la traduzione del termine ebraico “sela” con “costola”) e si suggerisce una lettura alternativa dell’evento:
“Fino al v. 20 il narratore parla di ‘adam’ prescindendo da qualsiasi connotazione sessuale; la genericità della presentazione impone di rinunciare a immaginare la precisa configurazione di tale essere, men che meno ricorrendo alla forma mostruosa dell’androgino. Siamo infatti invitati a sottoporci con ‘adam’ a un’esperienza di non-conoscenza, così da scoprire, per rivelazione, quale sia il meraviglioso prodigio operato da Dio (cfr. Genesi 15,12; Giobbe 33,15). Nessuno di fatto conosce il mistero della propria origine. Questa fase di non-visione è simbolicamente rappresentata dall’atto del Creatore, che ‘fece scendere un torpore su ‘adam’, che si addormentò’ (v. 21): il sonno non ha la funzione dell’anestesia totale per permettere un’operazione indolore, ma evoca piuttosto il manifestarsi di un evento inimmaginabile, quello per cui da un solo essere (‘adam’) Dio ne forma due, uomo (‘is’) e donna (‘issah’). E questo non solo per indicare la loro radicale somiglianza, ma per prospettare che la loro differenza sollecita a scoprire il bene spirituale del (reciproco) riconoscimento, principio di comunione d’amore e appello a diventare ‘una sola carne’ (v. 24). Non è la solitudine del maschio, ma quella dell’essere umano a essere soccorsa, mediante la creazione di uomo e donna” (n. 153).
Altro esempio. L’aspetto problematico insito nel “divieto” [di mangiare di un albero del giardino] viene accuratamente trattato nel commento esegetico di Genesi 2,16-17, per non favorire l’idea che Dio si opponga, in modo arbitrario, al desiderio umano. In realtà il Creatore manifesta la sua liberalità mettendo a disposizione della creatura “tutti gli alberi del giardino” (Genesi 1,11-12; 2,8-9). E tuttavia:
“Alla totalità dell’offerta è posto un limite: Dio chiede all’uomo di astenersi dal mangiare il frutto di un solo albero, situato accanto all’albero della vita (Genesi 2,9), ma da esso ben distinto. Il divieto è sempre una limitazione posta alla voglia di avere tutto, a quella bramosia (un tempo chiamata ‘concupiscenza’) che l’uomo sente come una innata pulsione di pienezza. L’acconsentire a una tale bramosia equivale a far sparire idealmente la realtà del donatore; elimina dunque Dio, ma, al tempo stesso, determina pure la fine dell’uomo, che vive perché è dono di Dio. Solo rispettando il comando, che costituisce una sorta di barriera al dispiegarsi univoco della volontà propria, l’uomo riconosce il Creatore, la cui realtà è invisibile, ma la cui presenza è segnalata in particolare dall’albero proibito. Proibito non per gelosia, ma per amore, per salvare l’uomo dalla follia di onnipotenza” (n. 274).
Altro esempio ancora. Il fatto che il serpente si sia indirizzato alla donna invece che all’uomo (come è narrato in Genesi 3) viene interpretato spesso come un’astuzia del tentatore che avrebbe scelto di attaccare la persona più vulnerabile, più facilmente ingannabile. Si può tuttavia ricordare che la figura femminile è nella Bibbia l’immagine privilegiata della sapienza (umana):
“Se si assume questa prospettiva, il confronto di Genesi 3 non avviene tra un essere molto astuto e una sciocca, ma al contrario tra due manifestazioni di sapienza, e la ‘tentazione’ si innesta proprio sulla qualità alta dell’essere umano, che nel suo desiderio di ‘conoscere’ rischia di peccare di orgoglio, pretendendo di essere dio, invece di riconoscersi figlio, che riceve tutto dal Creatore e Padre” (n. 298).
Un ultimo esempio. È abituale sentir dire che Dio interviene nel sanzionare il peccato dei progenitori con dei castighi (Genesi 3,16-19); la punizione viene infatti considerata un doveroso atto di giustizia, e ciò risulterebbe un’adeguata lettura del testo biblico. Va però rilevato che la prima decisione del Creatore è la maledizione del serpente, associata alla promessa della vittoria che la stirpe della donna riporterà sulle insidiose minacce del tentatore (Genesi 3,14-15). Di più, le sofferenze che affliggono le potenzialità della donna e dell’uomo sono da considerare come disposizioni sapienziali, volute da Dio perché utili all’essere umano, in quanto favoriscono nella creatura quell’umile disposizione del cuore che è via di vita. […]
Più in generale, sul modo con cui la Scrittura presenta l’intervento di Dio nella storia quando si manifesta il peccato, la modalità del “giudizio”, che sfocia nella condanna, non costituisce la forma più veritiera di ristabilimento della giustizia divina. La Scrittura attesta invece piuttosto che il Signore, quale partner dell’alleanza, assume la veste dell’accusatore (nella procedura del “rib”) per favorire la conversione del peccatore e su di essa innestare il suo atto di perdono:
“L’evento finale del ‘rib’ si realizza dunque come un rinnovato incontro tra la volontà benefica del Padre e il consenso libero del figlio, un incontro di verità che fa risaltare l’amore del Signore e la sua potenza salvifica. Tutto il messaggio profetico dell’Antico Testamento è promessa di questo evento, e tutto il Nuovo Testamento è l’attestazione del compimento beatificante di ciò che era stato annunciato come senso della storia, con una manifestazione che non si limita al solo Israele, ma si estende a tutte le genti, radunate sotto il medesimo sigillo della misericordia, in una nuova e perenne alleanza” (n. 333).
 

Sandro Magister, in Settimo cielo, L’espresso, 6 marzo 2020