Il concetto di comunicazione, preso a se stante, afferisce alla presenza di un’interazione tra soggetti diversi. Ciò significa che qualsiasi processo “comunicativo”, perché possa essere considerato tale, avviene in entrambe le direzioni ed è veicolato dal bisogno di far conoscere, far sapere, trasmettere, confidare, informare.
Quando invece viene considerato all’interno dello sconfinato mondo dei social, tale processo è mediato da dispositivi elettronici che, connettendosi alla rete, sono in grado di modificare la percezione non solo della realtà ma anche del rapporto interpersonale. Nel campo dei social sempre più tipologie di intelligenza artificiale gestiscono tale processo imparando a conoscerci quando lasciamo tracce delle nostre attività in rete, in modo da essere utilizzate per influenzare i nostri comportamenti.
Ne consegue che poteri economico-finanziari e politici sono avidamente interessati ad usare la potenza conoscitiva, analitica e predittiva della rete. Mentre noi affidiamo il nostro agire e il nostro essere alla grande narrazione della rete, i nostri dati vengono catturati, analizzati e usati come surplus comportamentale da eterodirigere.
Se internet all’inizio è stato interpretato come rivoluzione democratica, in grado di abbattere le barriere culturali ben presto si è trasformato in un sistema di potere in mano a pochi e di conseguenza fortemente soggetto a rischio di manipolazione, al punto da utilizzare l’utenza come merce di scambio (“più mi usi più ti posso manipolare”). Da questo punto di vista i prossimi anni saranno decisivi per il futuro della democrazia.
Viviamo nell’era delle tecnologie della comunicazione: esse sono un punto di non ritorno. Il problema sta nel:
– capire come esse stanno cambiando, e in che modo, l’esistenza dell’”homo tecnologicus”;
– per passare conseguentemente alle sfide che riguardano i valori da trasmettere.
Domanda: quali valori ci possono preparare affinché il domani sia intelligentemente umano e ci aiutino a mantenere la nostra umanità anche in un habitat sempre più popolato da “sistemi intelligenti”?
Una risposta potrebbe essere quella di rifarci al bisogno di costruire una “mente-critica” e di educare al senso di responsabilità nel comunicare/interagire con gli altri. Il nostro sapere cresce quando ci sentiamo pienamente coinvolti come persone, la cultura cresce e migliora quando è frutto di condivisione. Il legame sociale si costruisce attraverso prese di responsabilità. Pur continuando a usare i nostri dispositivi elettronici, magari con più consapevolezza e senso critico, possiamo migliorare la qualità delle nostre relazioni ricorrendo a piccoli, semplici gesti di rispetto e di attenzione reciproca.
Quando ci si parla ancora faccia a faccia si impara a conoscerci, si impara a gestire la relazione. Se si hanno dei problemi non ci si butta subito sui social per sfogarci, ma prima bisogna capire da dove nasce il disagio. Buona parte della perdita di controllo nasce da un senso di impotenza, dall’incapacità di trovare una strada alternativa alla pulsione istintiva che si scatena quando non si riesce ad avere ciò che si desidera.
Spesso l’aggressività nasce da una povertà espressiva, se non si nutre lo spirito riemerge violentemente la carne. Per questa povertà ci sono rimedi: anziché nutrire la mente con tante prestazioni virtuali, talora banali, si può leggere un buon libro, meditare, confrontarsi con qualcuno faccia a faccia…
Occorre contrapporre alla cultura del virtuale la cultura del ritorno al tempo lineare, alla cultura della superficialità quella della responsabilità. Non possiamo dare ciò che non abbiamo: nella vita comunichiamo inevitabilmente non solo quello che sappiamo, ma anche quello che siamo.
Da qui il bisogno di ricorrere a valori morali per interagire/comunicare con le tecnologie, cogliendo le opportunità che offrono ma al tempo stesso essere coscienti anche dei rischi in cui è possibile  incorrere.
Lo sviluppo tecnologico, infatti, non risponde a logiche valoriali, mirate al bene comune, al contrario restituisce in forma potenziata certe patologie che caratterizzano l’attuale società: individualismo, edonismo, discriminazioni sotto differenziate forme. Un potere in grado di colonizzare le menti e, conseguentemente, di condizionarne anche i comportamenti.
A fronte di questi condizionamenti emerge il bisogno di offrire un’educazione espressamente mirata all’acquisizione, manifestazione e trasmissione di comportamenti etici/valoriali.
“Più che preoccuparsi di come fare scuola – scriveva don Milani – ci si deve preoccupare di come bisogna essere, per fare scuola…”. Oggi questo termine “scuola” potrebbe essere ben sostituito da quella “formazione/educazione valoriale” da possedere per trasferirla poi alle nuove generazioni digitali.
Educare a una mente critica, a fare scelte responsabili, a diventare persone “libere” si può ottenere solo se si è in grado di testimoniare e poi trasmettere in prima persona valori educativi.
V. Pieroni – A. Santos Fermino