Fu poverissimo – è stato Van Gogh e Ulisse, Spartaco e il colonnello francese pacifista di Kubrick. Alcuni film di Kirk Douglas sono indimenticabili. L’American Film Institute lo ha installato tra i 20 autori più importanti del cinema statunitense, tra Orson Welles e James Dean. Il figlio Michael è il ritratto per certi versi opposto del padre. Il “New York Times” dedica a Kirk Douglas, “l’ultima star dell’epoca aurea di Hollywood”, un lungo ritratto firmato da Robert Berkvist, di cui pubblichiamo ampi stralci.</em

 
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Kirk Douglas, una delle ultime stelle del cinema sopravvissute all’epoca d’oro di Hollywood, il cui aspetto virile e il corpo robusto hanno reso epici film come Brama di vivere, Spartacus, Orizzonti di gloria, è morto nella sua casa di Beverly Hills, California, a 103 anni. Apparteneva al pantheon dei grandi, insieme a Burt Lancaster, Gregory Peck, Steve McQueen, Paul Newman. Come loro, era immediatamente riconoscibile: mascella sporgente, mento rapace, sguardo penetrante, voce spezzata. Nel periodo di massimo splendore, Douglas recitava in tre film all’anno; nei primi undici anni di carriera è stato nominato per tre volte come miglior attore agli Oscar. Noto per i ruoli possenti, per i film di guerra, ha recitato in 80 pellicole: si trovava a suo agio tra i sobborghi cittadini, nei jazz club, nella Arles del sud della Francia, vestendo i panni di Van Gogh. Molti critici ritengono che i suoi lavori migliori siano Orizzonti di gloria, il film di Stanley Kubrick in cui interpreta un colonnello francese che durante la Prima guerra cerca di evitare l’esecuzione di tre soldati innocenti, e Solo sotto le stelle, un western in cui è un insolito cowboy anziano.
 
“Sono sempre stato attratto dai personaggi obliqui, in parte mascalzoni”, diceva, nel 1984. “Non m’importa la virtù fotogenica… Recitare è una illusione che pretende disciplina. Ciò non significa perdersi nel proprio personaggio: quello lo fa il pubblico”.
 

 
“L’unica volta che ho infranto i miei schemi è stato quando ho interpretato van Gogh. Non solo somigliavo a lui: avevo la sua stessa età quando è morto. Per il film, indossavo scarpe pesanti, come quelle indossate da van Gogh. Ho cercato di impormi una camminata sbilanciata, sghemba, sempre sul punto di precipitare, in pericolo di inciampare. Quel ruolo mi ha divorato”.
 

 
Era nato il 9 dicembre 1916 ad Amsterdam, New York, “figlio di ebrei analfabeti russi immigrati”. Si chiamava Issur Danielovitch. A scuola, il nome Issur fu mutato in Isadore: tutti lo chiamavano Izzy. “Ero il figlio di uno straccivendolo. Anche nella parte più povera della città, lo straccivendolo era al grado più basso della scala sociale”. Il giovane Izzy ha conosciuto la fame, il lavoro precoce, l’antisemitismo: “Agli angoli della strada, mi picchiavano”. Ha fatto circa quaranta lavori diversi, dal ragazzo dei giornali all’impiegato a lavare piatti. In autostop, a New York, tentò la fortuna all’American Academy of Dramatic Arts. Fu lì che decise di cambiare il suo cognome in Douglas: il debutto a Broadway accadde nel 1941. Nel 1943 si sposa con Diana Dill, prima di partire per la Seconda guerra – fu addestrato per la guerra antisommergibili. Avranno due figli, Michael e Joel; divorzieranno nel 1951. Nel 1954 Kirk Douglas ha sposato Anne Buydens, da cui ha avuto altri due figli, Peter e Eric. Tutti i figli di Douglas hanno lavorato nel cinema. Eric è morto nel 2004, a 46 anni, per un’overdose accidentale di alcol e pillole.
 
Il grande campione (1949), in cui rappresentava Midge Kelly, un giovane, spietato pugile, ritratto agghiacciante di una ambizione oltre la soglia del cinismo, fu il suo primo ruolo di successo, quello che gli garantì la prima nomination agli Oscar. Ha dovuto attendere 50 anni, tuttavia, per avere la sua statuetta. Fu Ulisse nel film di Mario Camerini del 1954, con Silvana Mangano come Circe. Fu, soprattutto, Spartaco, nel 1960, diretto dal giovane regista di talento, Stanley Kubrick.
 
La sua vita non è stata esente da dolori. Nel 1986 gli è stato imposto un pacemaker. Nel 1991 è sopravvissuto a un incidente di elicottero che ha causato la morte di due persone. Nel 1996 un ictus gli ha alterato il linguaggio: la depressione che ne seguì fu particolarmente cupa. Tornato al cinema nel 1999 con Diamonds, nel 2004, in Illusion, interpreta un padre malato in cerca del figlio, che gli è estraneo. Forse è questo l’appropriato sipario del figlio di uno straccivendolo, un attore la cui infanzia dominata dalla povertà e da un padre assente sono stati una specie di ossessione. Nel 2008 Kirk Douglas ha raccontato: “Anni fa ero al capezzale di mia madre, una contadina russa, analfabeta. Terrorizzato, le ho preso la mano. Ha aperto gli occhi, mi ha guardato. ‘Non avere paura, figliolo, capita a tutti’. Queste sono state le sue ultime parole. Crescendo, mi sono state di conforto”.  
*In copertina: Kirk Douglas in “Orizzonti di gloria”, il film di Stanley Kubrick del 1957
Da Pangea, Febbraio 06, 2020