È morto il filosofo britannico rappresentante del neo-conservatorismo. Un pensatore “sgradito”, non affiliato al “pensiero unico”, un cristiano che tuttavia non ha lanciato crociate di tipo fideistico, ma che ha affidato ad un freddo ragionamento politico l’elenco di tutto ciò che non va nel vecchio Occidente.
Si è spento domenica, dopo sei mesi di malattia, il filosofo conservatore britannico Roger Scruton.
Aveva 75 anni (era nato a Buslingthorpe, nel Lincolnshire, dove è morto, nel febbraio del 1944). Soltanto un paio di giornali italiani hanno ritenuto di darne notizia. Eppure lo studioso aveva pubblicato nella nostra lingua numerosi saggi che avevano suscitato una discussione piuttosto ampia sul neo-conservatorismo. Un pensatore “sgradito”, non affiliato al “pensiero unico”.
Scruton non era un reazionario con il codino, ma un uomo del nostro tempo, “interventista” a tutto campo nella discussione politica e nelle dinamiche culturali globali. L’autorevole rivista americana New Yorker qualche anno fa, l’aveva definito “il più influente filosofo al mondo”, per altri, è stato “il rappresentante più controverso della scuola conservatrice britannica della Nuova Destra”. Ma Scruton rimane per tutti un pensatore che s’interroga sui destini della modernità in maniera originale rispetto alle idee dominanti contrastanti con la sua visione dell’Occidente che vede ripiegato su se stesso, incapace di sviluppare un dinamismo che lo faccia essere protagonista a pieno titolo del nuovo Millennio.
Filosofo, docente di estetica, compositore, musicologo, polemista, fondatore della rivista di cultura The Salisbury Review, Scruton, ha scosso con ogni suo scritto un’ampia cerchia di lettori, non soltanto nel suo Paese, fin da quando si impose, dopo il 1968, a soli 24 anni, all’attenzione ripensando il conservatorismo alla luce della modernità, senza venire meno agli insegnamenti di Edmund Burke e soprattutto di T.S. Eliot. Nei suoi studi, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta,  ha cercato di rendere più percepibile un movimento che si riteneva appiattito esclusivamente sulle politiche thatcheriane e reaganiane.
Dopo aver pubblicato in Italia Guida filosofica per tipi intelligentiL’Occidente e gli altriLa globalizzazione e la minaccia terroristicaManifesto dei conservatoriLa cultura conta, è nel piccolo saggio, Il suicidio dell’Occidente (curato da Luigi Iannone che gli ha dedicato un agile profilo per l’editore Fergen) che ha espresso con maggior vigore la sua visione della decadenza contro la quale ha cercato di mettere in guardia l’Europa e gli occidentali. In esso, dichiarando che “le persone hanno bisogno di radici senza le quali invecchiano e poi muoiono”, mette alla berlina, anche in maniera piuttosto caustica, i “vizi” fondamentali che stanno portando il “nostro mondo” alla dissoluzione a fronte dei processi di globalizzazione e dell’emergere di un Islam aggressivo che davanti a sé trova soltanto la “religione” dei diritti universali, peraltro declinati in maniera talmente debole dalle organizzazioni internazionali da rendere permeabile l’America e l’Europa all’invasione di forze religiose e culturali che non fanno mistero di volerle stravolgere.
La sua più recente raccolta di saggi, Confessions of a Heretic, ha suscitato nei suoi detrattori critiche ed ironie, ma la realtà, purtroppo, gli ha dato ragione al punto che nel 2017, di fronte al disastro politico, culturale e morale, britannico ed europeo, s’impegnò in prima persona nella redazione, con altri studiosi di orientamento conservatore, nella redazione di un manifesto per l’Europa che il conformismo continentale ha quasi “silenziato”. L’appello era stato firmato, tra gli altri da Rémi Nrague, Robert Spaemann, Chantal Delsol, Ryszard Legutko. Presentato a Parigi, proponeva il recupero della civiltà europea contro le “superstizioni del progresso, del mercato unificato e l’intrattenimento dozzinale”: Un’Europa in cui possiamo credere , s’intitola e tra i firmatari non figura nessun italiano.
Scruton 1Chi vuole avvicinarsi a Scruton, straordinario intellettuale di stampo medievale, quasi un tomista contemporaneo, dopo aver “assaggiato” le sue preziose ed eleganti prose nei volumi citati, e soprattutto in Essere conservatori e nel Manifesto, possono gustare la traduzione delle Confessioni di un eretico (D’Ettoris editore, a cura di Oscar Sanguinetti).
Si tratta di dodici saggi, eterogenei, ma legati da uno stesso filo conduttore, che, in una certa misura, propongono una sintesi del pensiero di Scruton che, come sempre, non risulta mai banale sia quando s’intrattiene sull’insediamento dell’islamismo nelle società occidentali che quando s’intromette nella filosofia della danza, a dimostrazione che lo spettro di “divagazioni” filosofico-politiche è assai vasto e tra di esse rientrano la difesa dello Stato-nazione, l’ambientalismo come dato caratterizzante un modo d’essere prima che politico conservatore, la sferzante polemica contro l’apparenza dell’amicizia veicolata da Facebook cui contrappone quella vera, fatta di sentimenti e ragioni vitali. Una riflessione che non trascura quasi nessun aspetto della contemporaneità declinata in chiave filosofica che non manca di attrarre il lettore per lo spirito polemico che anima le analisi anche più impervie illeggiadrite da una cultura che a dir poco entusiasma e lascia sbigottiti per la sua vastità. Un esempio è dato dall’esame del declino dell’arte con la complicità determinante dei critici che governano cinicamente il mercato inducendo anche gli appassionati avveduti in una distorta qualità del giudizio, così come distorto è l’atteggiamento nei confronti delle forme di urbanesimo contemporaneo e delle architetture che rimandano ad una decadenza dello spirito e sono l’eloquente espressione di una sensibilità quasi barbara, arida, irrigidita dai meccani del materialismo pratico che ha fatto dell’utilitarismo il veicolo per imporre la bruttura, mentre la bellezza latita.
Già, quella bellezza che percorre, come ricerca costante, tutte le pagine del libro e dominante in ogni scritto di Scruton. Per lui l’arte deve essere “bellezza, forma e redenzione”, ed il saggio che dedica alle Metamorphosen di Richard Strauss è degno di un musicologo-filologo-esteta, ma anche storico, quale è davvero difficile trovare nei pascoli intellettuali dove razzolano “specialisti” di ogni genere incapaci di avere una visione complessiva del tutto. Ed in tale saggio Scruton osserva, tra l’altro che Strauss nel piangere la morte della nostra civiltà, ci invita a rivolgerci anche a Dio, precisando che il compositore pur non essendo credente “capiva il bisogno religioso degli esseri umani e la sua musica ne era una risposta”. Scruton è un cristiano, di confessione anglicana, che non lancia crociate di tipo fideistico, ma affidandosi ad un freddo ragionamento politico elenca tutto ciò che non va nel vecchio Occidente, ed in particolare nella vecchia e disastrata Europa per potersi difendere e proporsi ancora come motore di storia. Un’accusa rivolta innanzitutto alle élite europee che non si rendono conto della piega che hanno preso gli avvenimenti che stanno marginalizzando il nostro continente, tale da creare i presupposti di uno scenario apocalittico rispetto al quale le classi dirigenti occidentali non sembra che abbiano la concreta percezione del pericolo incombente. Ad esse Scruton si rivolge esortandole a favorire lo studio della cultura e dell’eredità europea a fronte dell’invadenza globalista che minaccia di distruggere le specificità e le differenze. Da questo punto di vista, nei saggi Governare con giustizia Difendere l’Occidente, dimostra come  lo Stato-nazione, dato per defunto dagli universalisti, è la garanzia primaria dell’ordine civile, politico e culturale verso il quale tendere. Al contrario una società di sudditi obbedienti si insedierà nel cuore dell’Europa travolgendo la sua storia e negando il futuro a chi verrà dopo. “Una sorta di isteria da ripudio – scrive – infuria nei circoli europei che creano l’opinione pubblica e prende di mira una ad una le antiche e consolidate abitudini di una civiltà bimillenaria, proponendole o distorcendole in una forma caricaturale che le rende appena riconoscibili”.
Questo perché i Paesi europei sono governati sostanzialmente da classi politiche incolte e inconsapevoli del destino delle nazioni che guidano e si nascondono dietro “gli usci sbarrati delle istituzioni europee” dalle quali promanano direttive demenziali volte a travolgere l’anima di una comunità vasta di nazioni e popoli fino a sfibrarla. L’ambientalismo, poi, appannaggio di una certa sinistra che l’ha stravolto, è il fiore all’occhiello del “politicamente corretto” utilizzato da chi non vuol vedere la realtà per quello che è. Esso si collega al processo di degenerazione denunciato per altri aspetti della nostra contemporaneità. In realtà, afferma Scruton, “l’ambientalismo è la quintessenza della causa conservatrice, l’esempio più vivo nel mondo, così come lo conosciamo di quel parte artato fra i morti, i vivi e i non ancora nati… Il conservatorismo non vuole portare ad alcuna riforma radicale della società o all’abolizione dei diritti e dei privilegi ricevuti dal passato”. Dunque, “non è una vera e propria causa di sinistra”.
Scruton pensava  che si potesse “essere conservatore e allo stesso tempo un cauto ottimista, rendendosi conto della possibilità di difendere la nostra civiltà e di adattarla ai cambiamenti”. Una lezione di realismo da tenere presente che percorre le Confessioni di un eretico le quali non sono un de profundis, ma suonano come una chiamata a raccolta per una difesa tutt’altro che passiva di una civiltà al tramonto, ma che non è detto che debba necessariamente morire.
Scruton è stato un cristiano che tuttavia non ha lanciato crociate di tipo fideistico, ma affidandosi ad un freddo ragionamento politico ha elencato tutto ciò che non va nel vecchio Occidente per potersi difendere e proporsi ancora come motore di storia. Un’accusa, rivolta innanzitutto alle élite europee che pigramente indietreggiano, producendo uno scenario apocalittico rispetto al quale le classi dirigenti occidentali non sembra che abbiano la concreta percezione del pericolo incombente. Ad esse Scruton si rivolge esortandole a favorire lo studio della cultura e dell’eredità europea a fronte di un’invadenza globalista che minaccia di distruggere le specificità e le differenze. Da questo punto di vista, dice, lo Stato-nazione, dato per defunto dagli universalisti, è la garanzia primaria dell’ordine civile, politico e culturale verso il quale tendere. Così come non si può prescindere dal restaurare la concezione della bellezza a fronte di una tecnologia invasiva e totalitaria e riconsiderare i rapporti tra scienza e fede che soltanto un laicismo estremista ed irresponsabile vorrebbe inevitabilmente conflittuali.
Le riflessioni di Gennaro Malgieri