“LA GRANDE FESTA CRISTIANA DEL NATALE SI È RIDOTTA A DUE RITI, COMPRARE E INGOZZARSI”
 
La stagione dei Natali commercializzati è prossima. Per quasi tutti – a parte i miserabili che costituiscono masse di eccezioni – il Natale è una sosta calda e luminosa nel grigiore dell’inverno. Per la maggior parte degli odierni celebranti, la grande festa cristiana si riduce a due riti: comprare, in modo più o meno obbligativo, oggetti utili o meno, e ingozzarsi, o ingozzare le persone della propria stretta cerchia, in un inestricabile miscuglio di sentimenti in cui entrano in parti uguali il desiderio di far piacere, l’ostentazione, e il bisogno di spassarsela a propria volta un poco. E non dimentichiamo, simboli antichissimi della perennità del mondo vegetale, gli abeti sempreverdi tagliati nel bosco e che finiscono di morire nel calore della nafta e le funivie che scaricano gli sciatori sulla neve inviolata.
 
Pur non essendo cattolica (se non per nascita e tradizione), né protestante (se non per alcune letture e per l’influenza di alcuni grandi esempi), e neppure veramente cristiana nel senso pieno del termine, non sono per questo meno portata a celebrare questa festa così ricca di significati, col suo corteo di feste minori, San Nicola e Santa Lucia, che sono feste nordiche, la Candelora e l’Epifania. Ma limitiamoci al Natale, una festa che è di tutti. Si tratta di una nascita, e di una nascita come dovrebbero sempre essere le nascite, quella di un bambino atteso con amore e rispetto, che porta in sé la speranza del mondo. È la festa dei poveri: un’antica ballata francese presenta Maria e Giuseppe a Betlemme mentre vanno alla ricerca di una locanda alla portata dei loro mezzi, respinti dappertutto per far posto a clienti più illustri e ricchi, e alla fine insultati da un oste che “odia la povera gente”. È la festa degli uomini di buona volontà, come si affermava con stupenda espressione che in genere non si ritrova più, purtroppo, nelle versioni moderne dei Vangeli, della serva sordomuta dei racconti del Medioevo che assisté Maria nelle doglie, di Giuseppe che scalda davanti a un misero fuoco i panni del neonato, e dei pastori impregnati del grasso della lana greggia e giudicati degni della visita degli angeli. È la festa di una razza troppo spesso disprezzata e perseguitata, dal momento che come bambino ebreo il Neonato del grande mito cristiano appare sulla terra (e uso qui beninteso la parola mito con rispetto, come la usano gli etnologi moderni, e come a significare le grandi verità che sono al di sopra di noi e di cui abbiamo bisogno per vivere).
 
È la festa degli animali che partecipano al mistero sacro di questa notte, simbolo mirabile di cui san Francesco, con pochi altri santi, ha avvertito l’importanza, ma di cui troppi cristiani di taglia comune hanno negletto e trascurano di ispirarsi. È la festa della comunità umana, poiché è, ovvero lo sarà tra qualche giorno, la festa dei Tre Re di cui la leggenda vuole che uno sia un Nero, a simboleggiare così tutte le razze della terra che recano al fanciullo la varietà dei propri doni. È una festa di gioia, ma anche adombrata di patetico, poiché il bimbo che si adora sarà un giorno l’Uomo dei Dolori. E da ultimo è la festa della stessa Terra, che nelle icone dell’Europa orientale si vede spesso prosternata sulla soglia della grotta ove il bambino ha scelto di nascere, dalla Terra che nel suo procedere supera in questo momento il punto del solstizio d’inverno e ci trasporta tutti verso la primavera. E ciò spiega perché, prima che la Chiesa avesse fissato questa data per la nascita del Cristo, essa fosse già ai tempi antichi la festa del Sole.
 
Si ha l’impressione che non sia male ricordare queste cose, che tutti sanno, e che tanti di noi dimenticano.
Marguerite Yourcenar
*Questo articolo di Marguerite Yourcenar è pubblico come “Glose de Noël” su “Le Figaro” il 22 dicembre 1976; tradotto da Giuseppe Guglielmi è riprodotto in “Il Tempo, grande scultore”, raccolta di testi della Yourcenar edita da Einaudi nel 1985