Le nuove tecnologie stanno acquisendo sempre più rilevanza nel mondo della scuola, benché non manchino le polemiche circa la loro reale efficacia nel processo di apprendimento. Esse non possono certo sostituire in toto gli strumenti didattici tradizionali, ma consentono di sviluppare modalità di insegnamento più interattive e stimolanti per gli studenti. Infatti le risorse digitali consentono di usare contemporaneamente linguaggi diversi (testo, audio, video, immagine), di abbattere le barriere spazio-temporali (con video-lezioni, sintesi vocali, piattaforme online per gli approfondimenti a casa) e di aprire tante finestre sul mondo, offrendo agli studenti un ampliamento delle opportunità di apprendimento. Inoltre esse favoriscono lo sviluppo nei ragazzi di quelle «competenze digitali» (saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie dell’informazione e della comunicazione) che sono richieste oggigiorno dal mondo del lavoro.
La scuola italiana si ritrova tuttavia al riguardo in una situazione paradossale: da un lato, essa cerca affannosamente di recuperare il ritardo che ancora la caratterizza, rispetto ai paesi più avanzati, nell’uso di Internet e delle nuove tecnologie (pc, tablet, LIM, registri elettronici), spesso introdotti in modo casuale e quindi controproducente nelle classi; dall’altro, essa tende però a demandare tale processo di adeguamento e recupero a docenti che sanno utilizzare poco o niente il web e le risorse digitali come strumenti didattici. Non è quindi un caso che le lezioni continuino a essere di stampo tradizionale e che gli studenti continuino a restare degli analfabeti funzionali – abili sì nell’utilizzare i device di ultima generazione, ma poi di fatto incapaci di utilizzarli in modo responsabile e critico, ovvero di navigare in modo intelligente e proficuo, di leggere e comprendere testi scritti sul web, di sapersi orientare tra le fonti o di gestire la quantità infinita di informazioni proveniente dalla rete.
In altre parole, la nostra scuola non riesce a trarre vantaggio dal potenziale offerto dalle nuove tecnologie e a fornire agli studenti le competenze critiche di cui avrebbero bisogno nel mondo iper-connesso, in quanto sono pochi i docenti che, nel periodo di formazione professionale, sono riusciti ad acquisire un background adeguato nell’uso degli strumenti digitali e sono in grado di sfruttare le nuove tecnologie per una didattica a misura dello studente di oggi e dei suoi bisogni educativi. Del resto è opinione condivisa che non sia sufficiente aggiungere (o sovrapporre) risorse digitali avanzate a una didattica tradizionale, per garantire un miglior rendimento scolastico degli studenti, ma sia necessario servirsi in modo innovativo e mirato della nuove tecnologie. Queste da sole non fanno la scuola, non sono cioè una sorta di bacchetta magica in grado di risolvere tutti i problemi legati al processo di insegnamento-apprendimento, nel senso che le tecnologie non possono sopperire alle carenze di un cattivo docente, ma possono incrementare semmai la qualità dell’insegnamento di un buon docente. Nel processo educativo, analogico o digitale che sia, il ruolo del docente resta decisivo.
Insomma, se è vero che la riscrittura della didattica in termini più attuali è la chiave risolutiva non solo per cogliere al meglio le opportunità offerte dal digitale, ma soprattutto per non lasciare i ragazzi in balìa del turbine di informazioni e sollecitazioni provenienti dal web, di fronte al quale non riescono ad avere pieno controllo e sicurezza, occorre che il docente si rimetta in gioco, ripensando il suo modo tradizionale di insegnare secondo schemi usurati e ripetitivi, si impegni a seguire corsi di aggiornamento e di formazione che gli consentano di sperimentare modalità didattiche innovative, in cui i ragazzi vengano guidati verso un uso critico e responsabile del web e degli strumenti tecnologici che sono loro più familiari, mettendoli così nelle condizioni di affrontare il mondo.