CRITICA-MENTE
Pieroni V.-A. Santos Fermino
 
I media “come” possono contribuire a determinare cambiamenti significativi nella crescita dell’uomo?
Si può educare i nativi digitali ad un uso critico-formativo dei media?
Oggi è decisamente superato guardare ai media con gli occhi degli “apocalittici” o degli “integrati”: essi sono ormai sempre più parte della vita socio-connettiva di ognuno di noi. Il vero problema quindi non sta nel servirsene ma nel “come” servirsene ai fini della crescita umano-sociale.
Il termine “critica-mente” afferisce al bisogno di interpretarne l’apporto consapevole e qualificato che essi danno alla conoscenza/informazione, grazie a una loro produzione critica e al tempo stesso alla capacità, altrettanto critica, di farne un uso selettivo.
Il possesso di buone capacità di pensiero critico consente infatti di analizzare, valutare e interpretare conoscenze/informazioni il più oggettivamente possibile per giungere a conclusioni dai confini ben definiti. Per la sua trasversalità il pensiero critico si trova quindi a cavallo tra numerosi campi di insegnamento e apprendimento. Si tratta di acquisire soprattutto un abito mentale, oltre che di una capacità in grado di prevenire l’illusione e l’inganno di cui possono essere caricate certe conoscenze/informazioni.
 

  1. Da Homo Sapiens a Homo Videns

 
Verso dove sta andando l’uomo?
La quarta rivoluzione: dopo Copernico, Darwin, Freud, l’intelligenza artificiale sta cambiando la vita dell’uomo provocandone un ulteriore decentramento.
La rivoluzione digitale sta portando di fatto ad un cambiamento antropologico dell’homo sapiens: lo spazio socio-relazionale viene progressivamente sostituito dal cyberspazio, che modifica le dinamiche interattive e obbliga a riadattare le categorie interpretative del vissuto individuale tra il mondo offline e il mondo online.
Oggi lo spazio digitale è il luogo dove si mischiano vita privata e vita sociale, mondo reale e mondo virtuale. Le nuove tecnologie costituiscono una estensione degli spazi relazionali dando la possibilità di entrare sempre più in contatto con il mondo esterno.
E’ in atto di conseguenza una mutazione antropologica: il passaggio da Homo sapiens a Homo videns. Passaggio che, a base di “dieta mediatica”, crea impatto sull’”intelligenza connettiva”: gli schermi dei social divengono “luoghi comuni” in cui il pensiero viene elaborato e poi condiviso o meno, una sorta di “umanesimo digitale” che permette alle menti pensanti di interconnettersi per lavorare insieme.
Ne consegue che non sta cambiando solo il modo di comunicare, ma contestualmente sta nascendo un nuovo modo di apprendere/conoscere, con inedite opportunità di stabilire relazioni e di costruire comunione. Il processo di informazione diventa così anche processo di formazione in grado di modificare l’identità dei soggetti connessi, i loro comportamenti e la qualità stessa delle relazioni.
Tutto questo introduce alla questione della “responsabilità”: dinnanzi alle ampie possibilità e varietà di scelte offerte dalle soluzioni tecnologico-informatiche, emerge il rischio della deresponsabilizzazione umana e sociale, la tentazione insidiosa di de-responsabilizzarsi, delegando e/o mettendo la testa sotto la sabbia (“l’ha detto la TV”,  “è messaggiato su Facebook, Youtube, Twitter…).
Al seguito di questo rischio scaturisce infatti proprio l’urgenza di saper selezionare, scartare, discernere, criticare per poter fare scelte sagge. Abbagliati dalla velocità con cui pervengono le informazioni mediatiche si è tentati talora di “by-passare” o addirittura di disattivare la mente-critica, ossia la capacità di analizzare le varie tappe di un processo che porta a discernere e a fare delle scelte responsabili. E, in questo, se ne va di mezzo un pezzo del nostro essere sapiens.
Una “libera” scelta presuppone infatti un processo di discernimento critico, che implica tutto un percorso di crescita individuale, che a sua volta richiede una progressiva maturazione alle scelte a cui dare priorità e che permette al tempo stesso di evitare condizionamenti esteriori.
La “libertà-da” e la “libertà-di” sono infatti la “conditio-sine-qua-non” per arrivare ad una “libertà-per”: per il “Bene” di sé e per il “Bene comune”.
 

  1. Si nasce originali, si rischia di diventare fotocopie

 
Ma cosa succede quando il senso critico, individuale/collettivo, viene sentito più come una censura che come una responsabilità?
Il rischio è di stare su un “teatrino”, dove dei burattini in carne e ossa si dimenano tra manipolazione e omologazione. Si viene sviluppando così un nuovo tipo di essere umano, l’”autistico elettronico”, ben rappresentato nella moda del selfie: la mia immagine, prima di tutto, e poi il mondo intorno a me.
 
2.1. I “navigatori-dei-non luoghi”: “Net generation”, “Screen generation”, “Digital native”
 
Caratteristiche generali del profilo dei nativi digitali sono quelle di:
– essere cresciuti avendo a che fare con una pluralità di strumenti tecnologici informatizzati;
– trascorrere gran parte della giornata (ma anche della notte) con la faccia riversata su più schermi;
– essere portati a svolgere contemporaneamente più di un’attività tecnologica;
– presentare modalità di pensiero e di linguaggio modificate dall’impiego costante e continuativo delle tecnologie.
Questi fenomeni, quando si manifestano attraverso forme di attaccamento/dipendenza danno luogo a comportamenti, quali:
– persistente bisogno di digitare per collegarsi;
– inclinazione a mascherarsi dietro false identità (specialmente quando si fa cyberbullismo);
– alterazioni emozionali che vanno dall’esaltazione euforica (in particolare quando si vince ai videogiochi) alla depressione (quando si perde);
– isolamento, talora unito a disturbi dell’attenzione verso la realtà;
– organizzazione della giornata in base al tempo dedicato alla rete;
– e, per i soggetti in formazione, difficoltà di apprendimento nella resa scolastica.
Il rischio vero e proprio è quello di diventare non solo fotocopie, ma anche dei “solitari interconnessi”. Per coloro che vivono in stato di bulimia da consumo del virtuale la principale paura infatti è quella di finire in una discarica (essere abbandonati, esclusi, respinti…). È così che essi scendono in qualità di gladiatori nell’”arena virtuale” (i social: Facebook, Youtube, Twitter…) per maneggiare maniacalmente questi strumenti che permettono loro di far parte di comunità alle quali delegare la propria identità.
In pratica si ha a che fare con un essere umano che “pensa digitale vivendo da digitale”. Più specificamente si è passati da un modello di cultura in cui tutti possono accedere ai contenuti scritti da pochi (biblioteca arcaica) ad un modello in cui tutti possono fare e diffondere cultura (biblioteca di Babele).
Ciò comporta che al crescere del numero di giovani dotati di apparecchiature digitali e della frequenza con cui si connettono, aumenti contestualmente anche l’urgenza di educare all’uso positivo di tali tecnologie, soprattutto quando coinvolgono nei processi di formazione e di interazione sociale.
La “mela” con cui il serpente-sistema tenta l’uomo d’oggi infatti è la tecnologia travestita da “scienza”, ossia “quella” scienza che pensa e agisce “per noi”, ovvero al posto nostro. Quando è così,  la conoscenza assolutista di Internet si riduce ad una frammentazione del sapere, priva di un’identità unitaria e fondata su una somma di opinioni emotive, piuttosto che contribuire al pensiero critico.
Quando poi si ha a che fare con minori in rete e del loro utilizzo più o meno responsabile delle tecnologie, un possibile approccio è costituito dalla diade prevenzione-reazione: ossia è necessario per un verso creare le condizioni educativo-formative perché i comportamenti online dei ragazzi siano caratterizzati da correttezza e rispetto di sé e dell’altro; e per un altro verso di intervenire con cognizione di causa ma anche con prontezza in quei momenti in cui c’è qualcosa che non va bene, per trasformare l’evento in occasione di crescita, spiegando le regole più adeguate per ricavare il meglio dalla rete.
 
2.2.  Avatar come Narciso
 
Un ulteriore fenomeno connesso alla rete riguarda la contrazione del “tempo”. Dominato dal “presentismo” il giovane strumentalizza il mondo virtuale per andare alla ricerca di una vita alternativa (second life), migliore di quella che vive nel tempo reale, procurandosi un “Avatar” attraverso il quale egli può navigare, esprimersi, sognare. Questa “vita”, in cui il reale si mescola con il virtuale, in una sorta di ibridazione permanente, assume la forma di un eterno presente nel “qui e ora” della connessione.
Un tempo “a-crono”, un web-tempo che non ha né passato né futuro, in grado di trasformare il virtuale in “realtà” permanente. Tutto ciò condiziona il modo equilibrato di relazionarsi con la realtà: non c’è tempo per elaborare il vissuto esperienziale, per cui tutto si riduce a una somma di sensazioni personali frammentate, incoerenti, transitorie.
La virtualità multimediale è la madre che ha generato il loro “Avatar”, ossia una seconda personalità in grado di superare i limiti dello spazio-tempo, dove è possibile connettere tutto nello stesso tempo, a misura del loro mondo immaginario. Il rischio è di produrre un nuovo “Narciso” che, rispecchiandosi nel proprio Avatar, se ne innamora al punto da rimanerne prigioniero, non sapendo più distinguere l’immagine della propria personalità tra dimensione reale e virtuale.
Su quest’isola i minori, spesso abbandonati a se stessi, cercano di sopravvivere senza la mediazione degli adulti, aggrappandosi ai loro bisogni di condivisione e felicità.
Sospesi in uno spazio smaterializzato tra il “non più” e il “non ancora”, tutto questo stimola a ripensare i processi educativi alla luce dei cambiamenti in atto: la sfida del tempo presente è un presente che sfida l’uomo – giovane o adulto che sia – a non restare prigioniero del presentismo. O s’impara a scegliere, a prendere decisioni libere, costruendo una mente critica, o siamo irrimediabilmente noi ad essere scelti dalle tecnologie al seguito dei poteri forti. Da qui il valore dell’”alleanza educativa”, in grado di trasformare il “solitario interconnesso” in un “essere-in-relazione” capace di “stare-con” l’altro.
 
2.3. L’”Io digitale” e la riconfigurazione dell’identità
 
Nelle generazioni-Avatar la mente, il corpo, l’immaginario e le emozioni cambiano e si trasformano, crollano le certezze dell’infanzia unitamente al mito delle figure parentali e parallelamente cresce il bisogno di autonomia. È venuto il momento in cui tutto è oggetto di trasformazione.
Il virtuale diventa allora per queste generazioni l’”isola” inesplorata e selvaggia sulla quale essi approdano, nella maggior parte dei casi senza mediatori culturali, senza regole e senza strumenti di tutela codificati e condivisi.
Parallelamente ad una progressiva crescita evolutiva di un’identità reale in formazione si avverte sempre più il bisogno di acquistare un’identità virtuale, ed ecco quindi l’appropriarsi di un Avatar, una secondo identità mascherata da un nickname, il “chador” virtuale.
L’Io virtuale acquista una concreta identità anche nella rete attraverso testi, discorsi, narrazioni pubblicate su un blog o nei giochi di ruolo nei vari mondi virtuali, i quali offrono la possibilità di autopresentarsi a piacimento sotto qualsiasi alter ego virtuale. Importante è offrire una “esibizione di se stessi”.
Ne consegue che sui social viene esibita una vita non più reale, ma “rivista e corretta” che permette di costruirsi un’identità sempre più “liquida”, in grado di produrre – quando non risponde ad un’etica sociale – fenomeni di deresponsabilizzazione che non a caso si possono tradurre in aperta disonestà (furto d’identità, clonazione del profilo), aggressività (cyberbullismo) e/o in forme di narcisismo patologico.
 
2.4. Che impatto provocano le relazioni virtuali su emozioni e affetti delle generazioni-Avatar?
 
L’ambiente virtuale si presenta di fatto come il luogo privilegiato per coltivare e scambiare relazioni personali che richiedono una vicinanza emotiva, in quanto caratterizzate da sentimenti “amicali”. Ma anche qui va individuato il rischio di produrre “immaturità affettiva”, dovuto all’ancora  scarsa capacità (soprattutto nei preadolescenti/adolescenti) di controllare le proprie emozioni e di decifrare quelle dell’altro con cui si è in relazione.
Un ulteriore rischio riguarda l’illusione di non essere soli/isolati per il fatto di essere sempre connessi, quando in realtà non si tratta di concreta intimità. Si può giungere a scoprire poco alla volta la propria vulnerabilità: ci si sente soli ma si ha paura dell’intimità, per cui si ricorre a connessioni digitali che offrono l’illusione della compagnia senza troppi impegni. Studi recenti hanno evidenziato che le relazioni tra genitori e figli stanno diventando sempre più virtuali che reali: anche quando si sta tutti insieme in famiglia ognuno rimane chiuso nel proprio “guscio virtuale” con la faccia sempre appiccicata su multischermi. Ciò richiede di prenderne coscienza e di avere il potere di saper distaccarsi al momento giusto.
 
2.5. Recenti dati sull’uso dei social da parte di adolescenti/giovani
 
Da una ricerca condotta da Skuola.net, Università Sapienza di Roma e Università Cattolica di Milano, su un campione di 6.671 adolescenti/giovani tra gli 11 e i 25 anni, è emerso che:
– il 45% trascorre sul web almeno 5 o 6 ore al giorno;
– gli utenti, in media, controllano l’arrivo di eventuali nuove notifiche dalle 10 alle 20 volte ogni ora, ossia circa ogni 3 minuti;
– oltre uno su cinque pubblica almeno uno o anche più di un selfie al giorno.
 
Il Global Digital Report 2018 ha aggiunto dati significativi rispetto all’uso dei social, da parte dei minori:
– 180 milioni di ragazzi tra i 13-17 anni usano Facebook nel mondo;
– in Italia si parla di 1 milione e 100 mila minorenni iscritti a Facebook;
– Instagram conta 60 milioni di iscritti minorenni.
 
Per quanto riguarda inoltre i ragazzi che accedono ai videogiochi e alle varie forme di gioco online, l’Agcom ha dato di recente l’allarme sulla dipendenza dei minori rispetto a questo genere di attività in rete. Il fenomeno, specchio dei tempi, richiede adeguate misure normative da parte degli organismi preposti e delle istituzioni, in considerazione dei fenomeni dilaganti come il cyberbullismo.
Alcune istituzioni hanno proposto di conseguenza ai genitori (e ad altri adulti significativi) alcune regole importanti da seguire per tutelare la sicurezza dei minori su Internet:
– contenere il tempo concesso ai ragazzi per stare collegati;
– non lasciare i dispositivi, fissi o mobili, alla portata incontrollata dei bambini o dei ragazzi;
– impostare nel dispositivo il controllo parentale e gli opportuni software spia;
– controllare la cronologia dei siti visitati attraverso il dispositivo;
– controllare il contenuto dei post caricati sull’eventuale profilo social del minore e in ogni caso la sua attività in rete;
– verificare le impostazioni di privacy dei post pubblicati sull’eventuale profilo social del minore, o comunque riguardanti lo stesso (es. immagini) e gli eventuali commenti sospetti;
– invitare il minore a non inserire informazioni personali e verificare sempre la sicurezza del sito visitato;
– insegnare al minore le regole della “netiquette”, ovvero la buona educazione per stare sul web.
 

  1. I media come nuova agenzia formativa

 
Come cambia il modo di organizzare la conoscenza ed i comportamenti socio-relazionali attraverso i media?
 
3.1. La “società multischermo”: vedere, sapere, abitare nel mondo digitale
 
Le nuove fonti di accesso al sapere prodotte dalla moltiplicazione degli spazi del vedere hanno una ricaduta sul piano della riorganizzazione dell’attività percettiva, delle dinamiche dell’appropriazione conoscitiva e delle logiche che improntano la collocazione del “sé” nel cyberspazio.
Nell’uso dei dispositivi multischermo l’occhio diventa il vero “regista” dell’attività percettiva: il passaggio da ciò che “devo” vedere (film=monoschermo) a ciò che “voglio” vedere (dispositivi multischermo) ridefinisce infatti le modalità stesse attraverso le quali l’individuo si appropria del sapere.
Ciò comporta una crescita esponenziale dell’informazione: disporre di più contenuti su più schermi significa avvalersi di più punti di accesso al sapere. E la loro reperibilità non può che avere  una ricaduta sui processi di apprendimento e conseguentemente, dal punto di vista educativo-formativo, su “cosa” è bene scegliere.
Moltiplicare gli schermi di accesso all’informazione comporta quindi di educare in primis a una mente critica, al fine di poter abitare responsabilmente questi nuovi spazi.
In sintesi:
– nella società tradizionale il “vedere” è statico e isolato, mentre nella società multischermo diviene mobile/intermittente/interattivo;
– così pure il “sapere” nella società tradizionale è archiviato (mono-accessibile attraverso libri/manuali/biblioteche…), mentre nella società multischermo è distribuito in forma multi-accessibile, in grado di costruire spazi abitabili da vere e proprie “comunità”, seppure virtuali, ma comunque in relazione nel comunicare “saperi” al di fuori dello spazio-tempo.
Le persone connesse nella rete, se utilizzano questi saperi in modo critico, responsabile e creativo, contribuiscono perciò a creare “benessere-comunitario”, ossia uno spazio virtuale attraverso il quale è possibile praticare concretamente solidarietà e condividere valori reali.
Tuttavia queste comunità non si creano automaticamente per il solo fatto di disporre di strumenti virtuali di comunicazione, ma si devono “abitare” contestualmente alle giuste condizioni per poter crescere: stabilire regole condivise, dare più tempi e spazi affinché questa crescita avvenga sperimentando “prove ed errori”, così da acquisire le competenze necessarie per gestire la vita interna alla comunità e distribuire il “ben-essere” che genera.
L’aggregazione on-line per interessi culturali consente perciò di sviluppare la socialità in forme nuove, grazie anche a sempre nuove forme di comunicazione, dove il consumatore diviene al tempo stesso anche il “produttore” in base alla personalizzazione dei contenuti trasmessi.
Il cyberspazio  va considerato in definitiva “nuova terra” da colonizzare, a cui tutti hanno diritto di accedere, ma ciò richiedere di mettere delle regole e di educare a rispettarle.
 
3.2. La “Carta dei diritti del cittadino digitale”
 
3.2.1. Il social networking come palestra di cittadinanza attiva
 
Se considerato come palestra di cittadinanza attiva, il cyberspazio entra a far parte del principio del sistema educativo: quello di formare alla cittadinanza attraverso la pratica culturale di comunicazione virtuale interattiva. Uno spazio in grado di costruire una polis fatta di informazioni prodotte da “identità” che vivono e usano la rete come nuova opportunità di relazioni sociali. In altri termini, attraverso l’approccio interattivo queste identità sono in grado di esprimere il loro diritto-dovere di cittadinanza nella società dell’informazione.
Per questo è decisivo educare le nuove generazioni all’utilizzo del cyberspazio, per farne soggetti attivi di questa nuova forma di cittadinanza, capaci cioè di ridefinire nuovi modelli di socialità attiva.
Ciò richiede di elaborare e condividere a livello planetario una Carta dei diritti del cittadino digitale, che comprenda diritti fondamentali, quali la libertà di accesso, di espressione, di utilizzazione del cyberspazio, coniugata con il diritto alla conoscenza e al rispetto della privacy, al fine di evitare forme di diseguaglianza e di discriminazione.
Il mondo digitale quindi non va più visto nell’ottica di una virtualità che lo oppone a quello reale, quanto piuttosto come uno scenario di azione entro cui si manifestano sistemi socio-relazionali all’interno dei quali vanno ridefinite anche le forme di cittadinanza:

  1. a) i diritti civili: libertà di espressione (contro la discriminazione), tutela della privacy (contro la violazione dei dati personali);
  2. b) la cittadinanza socio-culturale degli utenti: stabilire nuove regole ai fini della uguaglianza nella partecipazione educativa su larga banda.

 
In sostanza nel cyberspazio i problemi e soprattutto gli obiettivi rimangono quelli di sempre nel sistema educativo-formativo: obiettività, autonomia e senso critico; occorre invece di declinare nuove metodologie e strumenti in grado di intercettare i bisogni educativi dei nativi digitali.
I media quindi assurgono oggi sempre più a elemento di civilizzazione per cui, per entrare in sintonia con essi, occorre porsi il problema di  un’educazione mirata a una nuova “ecologia mediale”, dove educare ai media significa educare a vivere in libertà e responsabilità un nuovo “media-ambiente”.
Tutto questo richiede a sua volta di pensare a una nuova pedagogia, ossia significa educare ad un approccio critico da integrare ad un approccio educativo alla cittadinanza.
 
3.2.2. Strategie educative per una crescita positiva delle generazioni digitali
 
Le potenzialità che contribuiscono a creare una nuova forma mentis nelle giovani generazioni, influenzando le capacità di apprendimento, sono: la multimedialità dei codici (scrittura, immagine, suono, chat, blog…) e l’interattività nel partecipare alla produzione e condivisione dei contenuti.
A tale scopo si suggeriscono alcune strategie educative che dovrebbero essere attivate dagli adulti significativi (genitori, insegnanti, educatori…) ai fini di una crescita positiva delle generazioni digitali:
conoscenza dei sempre più innovativi ingredienti della dieta mediatica quotidiana nella quale sono coinvolti e in cui crescono i giovani (servizi del web, videogiochi, blog, sistemi di chatting…);
responsabilità nell’uso dei processi di produzione e di pubblicazione in rete, valutandone criticamente/consapevolmente i diritti-doveri connessi allo stare in rete e le ricadute su di sé e su persone terze;
fiducia fondata sul dialogo, sul confronto, sulla produzione e relativo controllo di regole condivise, volte ad educare ad un uso etico e responsabile della rete e al tempo stesso necessarie per salvaguardare la libertà digitale;
nuova relazionalità: la dimensione relazionale diviene un valore rilevante nell’esperienza on line in quanto l’utente della rete è “qualcuno” perché condivide “qualcosa” che ha prodotto, e ciò gli dà un’identità nello stabilire nuove forme di relazione.
 
3.3. Il processo di  “produzione sociale” attraverso i media
 
La nascita della citizen science (“scienza dei cittadini”) è l’anticipo di un’epoca in cui la conoscenza scientifica potrà essere prodotta da qualsiasi cittadino dotato di capacità scientifiche da diffondere attraverso la rete. Ciò significa pensare con un “cervello globalizzato”, al fine di poter ampliare al massimo la cooperazione.
Si apre così l’era della scienza come “impresa collettiva”. Tutto questo ha a che fare con un modello di “produzione sociale” impostato su condotte cooperative che non dipendono da strategie commerciali, e che danno cittadinanza anche a forme di controcultura che trovano spazio nel web. In pratica si ha a che fare con una “produzione tra pari basata su beni comuni”, che comporta la canalizzazione degli interessi personali in beni pubblici, in grado di rispondere a loro volta a reali bisogni sociali.
Tali condotte richiedono:
– visione progettuale;
– strategia nella programmazione;
– capitale umano;
– legami di fiducia;
– infrastrutture.
Questo processo di produzione sociale si realizza attraverso forme partecipative e collaborative favorite e prodotte appositamente dai media.
 
3.3.1. La cultura digitale connettivo-partecipativa
 
La cultura digitale è una cultura finalizzata a creare e a condividere le proprie creazioni là dove i singoli membri ritengono che i propri contributi abbiano valore, per cui possono offrire l’opportunità di sviluppare abilità per far diventare gli altri membri protagonisti nell’esercitare una piena cittadinanza fondata su attività in rete condivise.
I confini della cultura partecipativa on line, in cui si danno testimonianze personali, si comunicano le proprie idee, si raccontano storie interagendo con gli altri, si stanno ampliando enormemente. Questa cultura si caratterizza per avere a che fare con membri:
– con un forte interesse a creare connessioni sociali;
– con un forte incentivo a condividere con gli altri i propri interessi (creativi, sociali, politici…), convinti che i loro contributi siano importanti (esempi attuali di queste forme espressive sono Greta Thunberg in merito ai cambiamenti climatici o, nelle crisi socio-politiche, eventi di cronaca come quelle di Hong Kong, Parigi, Venezuela…).
 
Ai fini di una piena partecipazione non basta quindi consumare solo dei messaggi, occorre crearli, pubblicizzarli e farli condividere. Ed ecco la figura del “prosumer” (produttore+consumatore). Si tratta di una cultura popolata ormai da persone convinte di possedere un certo grado di potere culturale creativo da far condividere. Le competenze con cui utilizzano i social sono le armi potenziali con cui trasmettono questo potere.
Si è perciò di fronte a una modalità di trasmissione che, grazie alla rete, provoca il passaggio dal modello “da-uno-a-molti”, al modello “da-molti-a-molti”, dove tutti sono al tempo stesso apprendisti e trasmettitori di saperi, in luoghi e tempi sia convenzionali che non convenzionali.
Lo stimolo-base per queste dinamiche di apprendimento reticolare è il traffico peer-to-peer di conoscenze che accompagna i componenti delle “comunità” virtuali nel loro consumo di prodotti culturali e nell’acquisizione di conoscenze sugli argomenti di cui sono appassionati, grazie ad un processo di condivisione di conoscenze tra pari. La competizione e relativa valutazione dei contenuti trasmessi si svolge all’interno di questa ecologia della produzione e del consumo mediale, piuttosto che su standard valutativi imposti dall’esterno.
Questo “potere della partecipazione connettiva” induce a condividere ciò che viene prodotto (scrivere, commentare, promuovere, sollecitare, criticare…), in qualità di “imprenditori-della-blogsfera”. In questo modo ognuno è o può diventare un potenziale “critico” e l’insieme delle critiche che ognuno può fare (ai fatti/misfatti quotidiani, alle istituzioni, alla politica, ai prodotti di consumo, al sistema dei servizi…) può costituire un prezioso bene comune, grazie alla piattaforma che permette la diffusione delle proprie opinioni.
 
3.3.2. L’”intelligenza collettiva”
 
Il potere della rete incentiva sempre nuovi modi di condividere e di collaborare trasformando il modo in cui reperire l’informazione, assemblare le conoscenze, accogliere le informazioni, esportarle, formando comunità virtuali.
Tale processo si basa su alcune componenti tra loro correlate, quali:
– la creazione di una rete (networking);
– il coordinamento tra le parti che condividono l’informazione, ai fini di un reciproco vantaggio/beneficio;
– il passaggio dal beneficio personale all’interesse comune (inteso come bene comune) interconnettendosi, costruendo fiducia, condividendo;
– la collaborazione nel condividere rischi, risorse, responsabilità, ricompense.
 
Tutto questo dà luogo a una forma di “intelligenza collettiva”, che si materializza quando tutti insieme collaborano, diventando più intelligenti di ognuno preso separatamente. Una situazione in cui nessuno può sapere tutto, ma dove tutti possono arrivare a sapere qualcosa in più mettendo insieme conoscenze, collaborando alla ricerca, discutendo criticamente sulle diverse interpretazioni, sviluppando abilità reticolari per trovare soluzioni.
Questo richiede di creare sinergia tra la gestione delle conoscenze personali e quelle collettive connettendosi in rete, reperendo informazioni, selezionando e catalogando i contenuti in funzione di obiettivi d’interesse comune.
Ciò significa condividere non soltanto i contenuti ma anche le valutazioni attraverso discussioni su larga scala (brainstorming) e presa delle decisioni di gruppo (decision making).
E’ possibile, infatti, per un blogger fungere da “filtro intelligente” per il proprio pubblico selezionando tematiche a cui si è interessati, contestualizzandole, criticando e/o presentando proposte alternative. Tale produzione, se utilizzata in modo intelligente, critico-costruttivo, contribuisce indubbiamente a promuovere “cittadinanza attiva”.
Le comunità dei blogger, se eticamente orientate, costituiscono infatti un prezioso patrimonio di conoscenze e di capitale socio-educativo. Condividere significa anche contribuire a un bene comune, significa diventare tutti dei “filtri critici” gli uni per gli altri. E questo richiede capacità di ascolto dell’altro e di saper cogliere il punto di vista dell’altro.
Nel cyberspazio oltre a lasciare impronte creiamo profili. Comprendere quale può essere l’effetto delle impronte e dei profili che si producono, grazie ai media digitali, è essenziale per capire l’impressione che si dà agli altri nel modo in cui ci si presenta nel mondo virtuale. Ciò richiede di pensare anche a cosa gli altri vedono o pensano di se stessi quando appongono il proprio nome in un motore di ricerca.
 

  1. Le potenzialità dei media nell’educazione e nell’apprendimento

 
Le tradizionali istituzioni educativo-formative (scuola, famiglia, altre agenzie…) da sole non sono in grado ormai di trasformarsi in modo altrettanto rapido da tenere il passo ai cambiamenti della cultura digitale. Mentre essi sono in affanno, le comunità virtuali di apprendimento tra pari stanno sperimentando sempre nuovi modi per diffondere le conoscenze.
Ciò richiede di fare ricorso a nuove strategie educativo-formative.
 
4.1. Educare ai media “con” i media
 
Per venire incontro alle preoccupazioni degli adulti significativi (genitori, insegnanti, educatori…) circa il modo di comportarsi dei ragazzi (figli, alunni…) di fronte alle sfide poste dalla tecnologia, l’unica arma è la comunicazione diretta/interattiva: prima ascoltare, poi chiedere. L’ascolto permette di comprendere anzitutto il loro punto di vista. Si può guadagnare molto in fiducia reciproca se si riesce a creare uno scambio in cui l’adulto comprende le motivazioni e l’uso che fa il ragazzo delle tecnologie, piuttosto che arrivare subito a proibire e/o a dare giudizi negativi.
L’alfabetizzazione tecnologica dell’adulto di conseguenza diventa una “conditio-sine-qua-non” per educare:
– imparare le norme e i confini di un ambiente culturale on-line è il primo passo della partecipazione;
– le nuove tecnologie della comunicazione in rete in fondo non sono che un’estensione e una amplificazione delle reti sociali umane fin da quando è stato creato  e condiviso il linguaggio, così da rendere possibili nuove forme di socializzazione;
– sta sempre più emergendo una cultura partecipativa on-line dove la “cittadinanza” viene acquisita da chi, oltre a essere consumatore, è anche creatore di prodotti;
– una partecipazione “responsabile” alla vita on-line deve essere preceduta da una chiara coscienza delle proprie tracce digitali e dell’impatto che può avere il proprio profilo digitale;
– cooperare implica condividere degli obiettivi, e per questo si richiede comunicazione, capacità critica e di negoziazione.
 
4.2. Insegnare e apprendere con i media
 
La scuola tradizionale mantiene modalità di partecipazione di tipo passivo e verticistico, i social al contrario mettono in discussione il ruolo centrale dell’insegnante e la stessa cultura ripetitiva del sapere a vantaggio di forme di partecipazione aperte, orientate alla multi modalità (metodologie, strategie, risorse…) e all’ampliamento dei contenuti trasmessi.
Una programmazione scolastica basata sull’uso dei social network deve incorporare perciò un modello partecipativo e collaborativo dell’apprendere che faccia leva sullo sviluppo di abilità e competenze, oltre che su quello dell’acquisizione di contenuti.
Le potenzialità pedagogiche dei social network stanno nella:
– socializzazione, comunicazione e costruzione della comunità di apprendimento, promuovendo l’interazione e la collaborazione tra gli studenti;
– condivisione di risorse informative e conoscitive di varia natura attraverso il vasto repertorio messo a disposizione da internet;
– ampliamento dei contesti di apprendimento interdisciplinare in qualsiasi momento, ampliando così i confini dello spazio-tempo scolastico.
 
Suggerimenti per un uso efficace dei social nell’apprendimento per quanto riguarda la dimensione:
socio-tecnica: tutti i soggetti in formazione devono avere l’opportunità di accesso alla rete, non solo, ma al tempo stesso di poter sviluppare abilità/competenze tecniche atte a favorire una partecipazione proficua all’apprendimento;
istituzionale: occorre definire un regolamento sull’uso dei social in ambito educativo che tenga conto dei problemi relativi alla gestione della privacy e della sicurezza, e al tempo stesso definire con chiarezza anche i criteri di valutazione;
pedagogica: per poter valutare l’apprendimento occorre definire gli obiettivi dell’attività e il tipo dei risultati attesi, sia in termini di partecipazione che di prodotto, ed elaborare nuovi strumenti di monitoraggio e valutazione.
 
Letteratura di riferimento
 
Aa. Vv., Educare ai tempi di Internet. Imparare, proporre e crescere nella rete, Leumann (To), ELLEDICI, 2010
Bauman Z.-E. Mauro, Babel, Bari, Laterza, 2015
Bocci V., I media. Nuova agenzia educativa per i ragazzi “2.0”?, in Catechesi, n. 2, 2014-15, pp. 20-39
Livingstone S., Ragazzi online. Crescere con internet nella società digitale, Milano, Vita e Pensiero, 2010
Parsi M.R.-N. Pisanu, Il mio Avatar non morirà mai, Roma, Strumenti Ricerche e Favole, 2010
Ranieri M.-S. Manca, I social network nell’educazione. Basi teoriche, modelli applicativi e linee guida, Trento, Erickson, 2013
Rheingold H., Perché la rete ci rende intelligenti, Milano, Raffaello Cortina, 2013
Rivoltella P.C., Screen generation. Gli adolescenti e le prospettive dell’educazione nell’età dei media digitali, Milano, Vita e Pensiero, 2006