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Compassione: Bibbia e psicanalisi per uno studio della società
Siamo “programmati” per la compassione: dolore e gioia dell’altro sono per ognuno di noi una chiave che ci permetterebbe di costruire un’etica universale globale. Contro la società dell’indifferenza che abbandona l’innocente nel suo dolore.  Lo sostiene Erminio Gius nel suo saggio “Compassione: Bibbia e psicanalisi per uno studio della società” (Edizioni Dehoniane, € 18,50), con la prefazione dello psichiatra Eugenio Borgna. Gius è stato professore ordinario di Psicologia sociale all’Università di Padova, è frate francescano cappuccino. Ha pubblicato numerosi libri e articoli scientifici in campo psicologico, delle neuroscienze e dei comportamenti sociali. 
L’intervista
Gli abbiamo chiesto:
Cosa l’ha spinto a dedicare un intero saggio al tema della compassione. 
“L’ho voluto fare dal punto di vista di uno scienziato della mente: tramite la psicanalisi, la  psicologia sociale e infine le neuroscienze. Con molti riferimenti biblici, pur non essendo un biblista.  Certamente la dimensione della fede è sullo sfondo, ma nel mio lavoro tutto è riferito a paradigmi scientifici. Ho cercato di scriverlo nella maniera più chiara possibile, riducendo molto, per arrivare all’essenzialità. In sostanza non ho voluto parlare sulla compassione, ma della compassione incarnata nell’uomo”. 
 
Misericordia e compassione sono due parole che crescono in ambito cristiano. 
“Nel prologo infatti tratto le radici epistemologiche del termine compassione: la Sacra Scrittura sostiene che l’essenza stessa di Dio sia la misericordia.  E’ il suo nome: comprende l’identità di Dio stesso. L’uomo non ha la misericordia in “dotazione”: è invece programmato per la salvaguardia della sua vita. Può accedere alla misericordia di Dio, cioè alla comprensione del significato di misericordia, tramite la compassione, che invece gli è propria. Questa è la tesi di fondo. L’uomo fa parte di quel disegno di costruzione del creato proprio tramite la compassione”.
 
Ma dal punto di vista psicologico cosa abbiamo a che fare con la misericordia? “Il nostro cervello è programmato per la compassione o empatia. Emerge dagli ultimi studi nel campo delle neuroscienze che noi agiamo tramite un “programma” atto a percepire, sentire,  il dolore dell’altro, così come la gioia e le altre emozioni”. 
 
Quindi la misericordia è propria di Dio, mentre l’uomo può capirla solo attraverso l’empatia con gli altri, cioè la compassione? “Capire il concetto di misericordia è possibile nel momento in cui abbiamo la possibilità di agire la compassione. Ma punto di vista della psicanalisi esistono anche dei lati oscuri della compassione: in alcuni casi può essere scambiata una patologia con un atteggiamento empatico”. 
 
Bibbia e psicanalisi per uno studio della società è il sottotitolo del saggio: significa che. possiamo capire la società attuale attraverso il tema della compassione? 
“Per spiegare questa relazione parto dal peccato originale narrato nella Genesi: la disobbedienza della regola imposta da un “Altro”, da Dio. Il tema dell’alterità e della differenza è quello fondamentale nella vita degli uomini. Ognuno di noi vive in un contesto di dipendenza dagli altri. Molto difficilmente si arriva alla libertà, nel senso di totale indipendenza dall alterità. Ma solo attraverso la disobbedienza, come quella del peccato originale, l’uomo ha potuto per un verso capire la propria fragilità, dall’altro ciò gli ha permesso di conoscere la sua identità: “ora l’uomo conosce il bene e il male”, dice la Genesi. Le scelte responsabili rispetto al bene e alla giustizia non ci sarebbero state senza questa iniziale “disobbedienza”. 
 
Quindi l’uomo ha la possibilità di distinguere tra ciò che è giusto, razionalmente,  e ciò che è buono, secondo il criterio della compassione? “Anche in questo caso rispondo con un brano della Scrittura: la parabola del figliol prodigo, interpretata da Rembrandt. Qui il padre mette le mani sulle spalle del figlio. Normalmente quella parabola viene interpretata come la misericordia di Dio, incarnata dal padre. Nel dipinto di Rembrandt però, il padre ha una mano femminile e una maschile: la mia interpretazione è che a ri-accogliere il figlio sono il padre e la madre che gli hanno permesso di allontanarsi per cercare la sua identità. La grandezza è quella dei genitori che hanno permesso a se stessi di sopportare il dolore della separazione. Hanno consegnato all’altro di poter vivere la sua alterità”. 
 
In un contesto sociale globale  invece come va interpretata la compassione? “In questo caso mi è tornata utile la parabola del buon samaritano: l’outsider, fuori da contesti regolati, è colui che restituisce dignità e giustizia al malcapitato. La compassione va intesa in questo caso come responsabilità nei confronti degli altri. Ci sono aspetti prosociali e neuroscientifici della compassione che ci permetterebbero di praticare la giustizia e il bene. Il dolore innocente genera compassione e può diventare una carta etica globale”. 
 
Che problema ha, dal punto di vista dello psicologo, una società che non prova più compassione di fronte al dolore innocente dei migranti abbandonati in mare? “E’ malata d’indifferenza e di chiusura difensiva. Il dolore ha un valore universale, che non può essere ignorato o scansato da nessun tipo di etica”. 
 
pubblicato sul quotidiano L’Adige il il 21/04/2019