I nove capitoli dell’”Esortazione apostolica postsinodale sull’amore nella famiglia” sono una piccola summa sulla gioia di amare a partire dall’esperienza di una famiglia cristiana comune del XXI secolo, così come essa è stata vissuta da un papa arrivato a Roma “dalla fine del mondo”, ma con un valore aggiunto: quello di due Sinodi di Vescovi provenienti dal mondo intero e quello di esperti, arricchiti da alcune coppie cristiane che hanno informato e formato Jorge Mario Bergoglio nel corso di alcuni mesi. Molti si sarebbero augurati che quest’ultimo gruppo avrebbe potuto essere molto più consistente, dal momento che si trattava soprattutto di loro. Ciò nonostante Francesco ha potuto trovare nella finale “Relatio Synodi” ampio materiale su cui riflettere prima di comporre questa sua Esortazione sinodale.
 
1. Il Documento sembrerebbe diretto anzitutto alla gerarchia cattolica e ai “fedeli laici”, ma ciò non esclude l’augurio che il papa fa a se stesso e alla Chiesa che esso venga letto con simpatia o curiosità anche da altri diversamente laici non considerati “fedeli” ma interessati comunque agli stessi problemi.
2. L’interpretazione autentica dell’Esortazione sembra supporre che la gioia dell’amore sia la prima chiave di lettura da tener presente. Del resto gioia/gaudio/giubilo/canto di lode costituiscono una sorta di leit motiv nel magistero di papa Francesco. Accanto a questa chiave di lettura occorrerebbe però porre anche un principio che Francesco considera fondamentale: la priorità del tempo sullo spazio, che permette al papa di chiarire che “non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero” (Premessa n. 3).
3. Con queste sue premesse Francesco sgombra il campo da qualsiasi pretesa di definitività che si pretenda fondata sul magistero stesso, precisando subito con solennità che “Naturalmente nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano, fino a quando lo Spirito non ci farà giungere alla verità completa” (cfr Gv 16,13). Una delle conseguenze di questo principio è la necessità di riscoprire la responsabilità delle chiese locali, perché “in ogni paese o regione si possano cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali” (ivi). Cosa che comporta implicitamente un ridimensionamento piuttosto significativo di tutti gli altri organismi centrali della Santa Sede i quali vengono dispensati dal dover intervenire su problematiche spettanti di fatto alle legittime chiese locali. Novità non di poco conto.
4. Ma il papa aggiunge, a ciò che ha appena detto, anche la specificità del contesto dell’Anno Giubilare della Misericordia, stella polare, a suo parere, delle indicazioni pastorali della Chiesa che dovranno perciò essere lette senza dimenticare mai di riferirsi alla misericordia sempre, dovunque e per tutti (Premessa n. 5).
5. Alcuni elementi del documento potrebbero sintetizzare una sorta di ossatura dell’Esortazione. Come, per esempio questi: “apertura alle Sacre Scritture; attenzione all’essenziale; costante riferimento all’insegnamento della Chiesa circa il matrimonio e la famiglia; discernimento pastorale guidato dalla misericordia; spiritualità; ottimismo, che potremmo riassumere in ciò che Francesco dice nella sua Premessa: le famiglie non sono un problema, ma sono soprattutto un’opportunità” (n. 7).
6. La base teologica fondamentale su cui Francesco costruisce la famiglia cristiana è il mistero di Dio, che si lascia “contemplare come Padre, Figlio e Spirito d’amore, di cui la famiglia è riflesso vivente” (11). Alla luce di questa visione teologica si pone anche la prospettiva propria dell’antropologia cristiana che parte, in questo caso specifico della famiglia, dal racconto della creazione della donna (Gen 2) in cui si evidenzia “l’inquietudine dell’uomo che cerca ‘un aiuto che gli corrisponda’” e la risposta di Dio che gli pone accanto e di fronte un “tu” umano che ha il volto di Eva che “riflette l’amore divino”. La donna, il primo dei beni, viene intesa, in questa prospettiva, come un aiuto adatto ad Adamo e sua colonna d’appoggio che gli si renderà intima al punto da poter prestare a lei le parole del Cantico dei Cantici (2,16; 6,3): “Il mio amato è mio e io sono sua…Io sono del mio amato e il mio amato è mio” (12), fino a dover constatare che “i due sono una sola carne” (Gen 2, 24) (13).
7. L’ordine dei valori del matrimonio richiama la “Gaudium et spes” del Concilio Vaticano II, ma suggerisce anche che l’aiuto reciproco e l’intimità affettiva sono, all’interno della realtà originaria dell’uomo, distinto in maschio e femmina, l’immagine stessa di Dio impressa nell’essere umano, che perciò permette di parlare di una sola carne, prima ancora che si faccia riferimento alla generazione dei figli.
8.. La Parola di Dio, proposta dalla Bibbia, compagna di viaggio per le famiglie (22), trova nella famiglia la sede per eccellenza della catechesi dei figli (16) e, nella familiarità con la Parola di Dio, i genitori attingono gli elementi fondamentali per svolgere il dovere di compiere con serietà la loro missione educativa (17), stando bene attenti a non considerare i figli una proprietà (18), ma piuttosto un’occasione che permette loro di aprire, appunto ai figli, il cammino della vita (ivi). È impressionante, in questo contesto, la personale “lectio divina” su 1 Cor 13, inno paolino alla carità, di cui Francesco offre un saggio nei nn. 99-119.
9. Francesco non ignora che la vita di una famiglia comporta anche sofferenza e sangue. Infatti si affetta a chiarire: “Non pretendo di presentare qui tutto ciò che si potrebbe dire circa i diversi temi relativi alla famiglia nel contesto attuale”, ma solo “raccogliere alcuni contributi dei Padri sinodali, aggiungendo altre preoccupazioni che provengono dal mio proprio sguardo” (31). I consigli di papa Bergoglio vanno in ogni caso nella direzione di una discrezione delicata, perché “non ha senso fermarsi ad una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa. Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza dell’autorità” (35). Emergono così alcuni elementi fondamentali della Esortazione di Francesco, che potremmo individuare nell’attenzione alla coscienza personale dei fedeli, i quali “tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi” (37), con una raccomandazione estremamente importante rivolta agli operatori pastorali di ogni ordine e grado: “Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle” (ivi) (1).
10. Questa raccomandazione non toglie affatto la consapevolezza che vi sia chi pensa che “indebolire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio sia qualcosa che giova alla società” (42); oppure che “un matrimonio connotato di esclusività, indissolubilità e apertura alla vita finisca per apparire oggi una proposta antiquata” (53); né ignora che “avanza in molti paesi una decostruzione giuridica della famiglia che tende ad adottare forme basate quasi esclusivamente sul paradigma dell’autonomia della volontà” (ivi). E tuttavia Francesco ritiene che il recupero del progetto originario di Dio compiuto da Gesù nel dibattito sul ripudio concesso da Mosè (cfr Mt 19, 3ss) mantenga ancora tutto il sapore di un invito a trattare l’argomento appunto come un recupero o un itinerario da proporre a chi manifesta di avere un cuore indurito, senza dimenticare che “il vero significato della misericordia implica, come insegnava Giovanni Paolo II, il ristabilimento dell’Alleanza… tenendo conto che la percezione del peccato si desta davanti all’amore gratuito di Gesù” (64), lasciando trasparire una sorta di maturazione, appunto graduale, nella percezione stessa del peccato in quanto peccato. E, per non essere frainteso da nessuno, Francesco specifica: “Dev’essere chiaro che questo non è l’ideale che il Vangelo propone per il matrimonio e la famiglia. I Padri sinodali hanno infatti affermato che il discernimento dei Pastori deve sempre farsi distinguendo adeguatamente (Relatio synodi, 26.45) con uno sguardo che discerna bene le situazioni”, fino a ricordare l’autorevole richiamo di Benedetto XVI: “Non esistono ricette semplici” (2).
11. Ancora più marcato, a questo proposito, è il pensiero di Francesco quando scrive: “i battezzati che sono divorziati e risposati civilmente non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino” (299). Oppure quando, citando la “Relatio finalis” (51), sostiene che “Il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, e possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione. Perciò, mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione” (n.79). Una convinzione che Francesco difende riproponendo l’insegnamento sempre valido di san Tommaso d’Aquino, il quale, dopo aver definito l’unione coniugale “la più grande amicizia” (123), aggiunge che si tratta di “un’amicizia che comprende le note proprie della passione, ma sempre orientata verso un’unione via via più stabile e intensa” (125) (3).
12. Il richiamo alla positività della sessualità è una caratteristica che collega Francesco al magistero di san Giovanni Paolo II citato esplicitamente, e proprio su questo argomento, diverse volte. Bergoglio ribadisce anche lui la convinzione cristiana secondo la quale “Dio stesso ha creato la sessualità, come un regalo meraviglioso per le sue creature” (150) e che “l’erotismo appare come manifestazione specificamente umana della sessualità”, dal momento che “in esso si può trovare il significato sponsale del corpo e l’autentica dignità del dono” (151). Infatti nell’unione coniugale “l’erotismo più sano, sebbene sia unito a una ricerca di piacere, presuppone lo stupore, e perciò può umanizzare gli impulsi” (ivi).
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(Un breve excursus su matrimonio e verginità)
Una brevissima sintesi, non priva di un certo interesse, Francesco offre nei numeri 158-162 della sua Esortazione su due problematiche apparentemente marginali che sembrano tutt’altro che superate nel dibattito della Chiesa cattolica contemporanea: la prima riguarda il riproporsi di tanto in tanto della questione del matrimonio dei preti; la seconda riguarda la crisi, ormai sotto gli occhi di tutti, della vita consacrata. Papa Francesco non propone nulla di definitivo su questi due argomenti, ma le scarne righe che scrive su di essi potrebbero essere un implicito punto di partenza – come succede spesso nei documenti del magistero – di pronunciamenti ben altrimenti impegnativi da attendersi in un futuro più o meno lontano.
Oso pensare che queste pochissime righe possano nascondere delle sorprese. Ovviamente non saprei dire in quale direzione.  È comunque un dato di fatto che – sembra per la prima volta – si richiami, in un documento solenne della Chiesa Cattolica, l’esemplarità e l’aiuto prezioso che, su problematiche come quella dell’educazione e formazione dei seminaristi e dei preti, può venire dall’”esperienza della lunga tradizione orientale dei sacerdoti sposati” (202), già presenti nelle Chiese cattoliche in piena comunione con Roma. Ed è un altrettanto dato di fatto che Francesco ritorni su certe convinzioni, ritenute quasi definitive, che consideravano e considerano tuttora lo stato della vita conscrata superiore allo stato matrimoniale.
Soprattutto a proposito di quest’ultima problematica l’Esortazione di papa Francesco (soprattutto nei nn. 160-161) sembra un vero e proprio invito a ripensare teologicamente il confronto tra vita consacrata e vita matrimoniale. Infatti, esplicitando un richiamo catechetico di san Giovanni Paolo II, Francesco ripete con una certa solennità: “Se, stando a una certa tradizione teologica, si parla dello stato di perfezione (status perfectionis), lo si fa non a motivo della continenza stessa, ma riguardo all’insieme della vita fondata sui consigli evangelici”. Poi dichiara: “Una persona sposata può vivere la carità in altissimo grado e dunque perviene a quella perfezione che scaturisce dalla carità, mediante la fedeltà allo spirito di quei consigli”.
Da qui l’ulteriore precisazione che invita a porre l’insieme della problematica al livello della simbolicità.
Scrive letteralmente il papa: “La verginità ha il valore simbolico dell’amore che non ha la necessità di possedere l’altro, e riflette in tal modo la libertà del Regno dei cieli. È un invito agli sposi perché vivano il loro amore coniugale nella prospettiva dell’amore definitivo a Cristo, come un cammino comune verso la pienezza del Regno.
A sua volta, l’amore degli sposi presenta altri valori simbolici: da una parte, è un peculiare riflesso della Trinità. Infatti la Trinità è unità piena, nella quale però esiste anche la distinzione. Dall’altra è un segno cristologico, perché manifesta la vicinanza di Dio che condivide la vita dell’essere umano unendosi ad esso nell’Incarnazione, nella Croce e nella Risurrezione: ciascun coniuge diventa infatti “una sola carne” con l’altro e offre sé stesso per condividerlo interamente con l’altro sino alla fine.
Dunque mentre la verginità è segno escatologico di Cristo risorto, il matrimonio è segno storico per coloro che camminano sulla terra, un segno di Cristo terreno che accettò di unirsi a noi e si donò fino a dare il suo sangue.
“La verginità e il matrimonio sono, e devono essere, – conclude perciò Francesco – modalità diverse di amare, perché – e qui ritorna di nuovo l’insegnamento di san Giovanni Paolo II riportato, questa volta, da una Enciclica, la ‘Redemptor hominis’ – ‘l’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per sé stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore’”.
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13. Dedicandosi più esplicitamente ad alcune prospettive pastorali il papa insiste sulla necessità di sviluppare nuove vie pastorali ma, anche in questo caso, ritorna a ciò che ha chiarito sin dall’inizio e cioè che intende restare sulle generali, lasciando alle diverse comunità il compito di elaborare proposte più pratiche ed efficaci (199) non  senza ricordare, di nuovo, la necessità di curare soprattutto “la formazione della coscienza”, e sottolineando il rispetto per “il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità”, e ammettendo che “ci sono casi in cui la separazione è inevitabile e, a volte, può diventare persino moralmente necessaria” (241),  rivelando, in questi argomenti, un estremo rispetto, da parte sua, per l’insegnamento dei suoi predecessori (4).
14. Papa Bergoglio, forse grazie anche alla sua dimestichezza con gli Esercizi di sant’Ignazio, insiste molto sul discernimento ma poi è molto deciso nel richiamare tutti a considerare la sofferenza di coloro che hanno subìto ingiustamente la separazione, il divorzio o l’abbandono (242), senza dimenticare mai la preziosità del perdono, “che un cammino di grazia rende possibile” (ivi), il conforto dell’Eucaristia (cfr. ivi), ma anche la corresponsabilità di tutti i membri della comunità cristiana, che non dovrà lasciare soli i genitori divorziati che vivono una nuova unione, soprattutto con l’aiuto che può dare nell’accompagnamento richiesto dall’educazione dei figli. “Infatti, come potremmo raccomandare a questi genitori di fare di tutto per educare i figli alla vita cristiana, dando loro l’esempio di una fede convinta e praticata, se li tenessimo a distanza dalla vita della comunità, come se fossero scomunicati?” (246).
15. Nella stessa linea, tesa a dare testimonianza credibile della propria fede, il papa ricorda i casi delle complesse situazioni di matrimoni misti di ogni tipo, e delle “persone con tendenza omosessuale” (250), nei confronti delle quali dovrà essere evidente che “la Chiesa conforma il proprio atteggiamento al Signore Gesù il quale, in un amore senza confini, si è offerto per ogni persona senza eccezioni” (ivi. Cfr “Misericordiae vultus”, 12). Né manca un pensiero delicato anche alle situazioni di lutto, che lacerano spesso le famiglie, in tutte le loro componenti, molto di più di quanto appare. Il tutto però, e sembra davvero essere questa la preoccupazione di fondo di tutta l’Esortazione, senza dimenticare mai che “i valori si realizzano anche in modo imperfetto e in diversi gradi” (272).
16. Da qui le sue deduzioni: “Quando si propongono i valori, bisogna procedere a poco a poco, progredire in modi diversi a seconda dell’età e delle possibilità concrete delle persone, senza pretendere di applicare metodologie rigide e immutabili… Occorre un processo graduale” (273). Francesco insiste: “La libertà situata, reale, è limitata e condizionata. Non è una pura capacità di scegliere il bene con totale spontaneità” (ivi). E spiega: Non sempre si distingue adeguatamente tra atto “volontario” e atto “libero” (ivi). Per esempio: “Un’educazione che tiene al riparo dalla sensibilità per la malattia umana, inaridisce il cuore. E fa sì che i ragazzi siano anestetizzati verso la sofferenza altrui, incapaci di confrontarsi con la sofferenza e di vivere l’esperienza del limite” (277). Né meno insidioso è, secondo Francesco, l’eccessivo uso dei mass media, che egli definisce una sorta di “autismo tecnologico” che espone più facilmente i ragazzi “alla manipolazione di quanti cercano di entrare nella loro intimità con interessi egoistici” (278). Quindi conclude: “Non bisogna ingannare i giovani portandoli a confondere i piani: l’attrazione crea sul momento un’illusione di unione, eppure senza amore questa ‘unione’ lascia due esseri estranei e divisi come prima” (284). Non c’è nulla da dire. Qui Francesco dimostra di essere stato un educatore raffinato che intende mettere a disposizione di tutta la Chiesa i frutti della sua esperienza. E perfino delle sue letture! Infatti arriva a consigliare il libro “L’arte di amare” di Erich Fromm, un ebreo psicoanalista contemporaneo di cui si è probabilmente servito non solo per capire meglio gli altri ma anche se stesso. Non si è accontentato solo del Vangelo! Un’indicazione di metodo tutt’altro che scontata, in queste cose, da un papa.
17. Il discorso di Francesco legato all’arte di “accompagnare, discernere e integrare la fragilità” è certamente quello che ha potuto solleticare di più la curiosità dei giornalisti e, ovviamente, dell’opinione pubblica recepita e diffusa dai giornalisti stessi. È determinante però leggere questo capitolo proprio qui dove è posto, al termine di una riflessione molto circostanziata sulla gioia dell’amore. L’incipit di questi pensieri che si accavallano insistentemente l’uno dopo l’altro ha la forma di una introduzione solenne presa a prestito dalla “Relatio synodi” (25) letta nel contesto dell’anno giubilare della misericordia” (291): “Illuminata dallo sguardo di Cristo, la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite dando loro il coraggio per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altro ed essere a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano” (ivi).
18. Ritorna l’insistenza sulla “cosiddetta legge della gradualità” di san Giovanni Paolo II (295), spiegata ulteriormente. Infatti: “Non è una gradualità della legge, ma una gradualità nell’esercizio prudenziale degli atti liberi in soggetti che non sono in condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive della legge. Perché anche la legge è dono di Dio che indica la strada, dono per tutti senza eccezione che si può vivere con la forza della grazia” (ivi). Dunque la legge rende consapevoli dell’obiettivo cercato, anche se quello stesso obiettivo non è ancora raggiunto (5). In realtà questa definizione della legge intesa come dono di Dio che indica la strada appartiene di fatto a ciò che intendevano i Padri della Chiesa quando parlavano di “Canone” o anche di “Dogma” intendendoli come orientamento di vita, e cioè come aiuto indispensabile per raggiungere la meta intesa da Dio, ma non come la meta stessa già raggiunta. Essi erano infatti ben consapevoli che, come la “littera” delle Scritture ispirate conduceva ma non si identificava totalmente con lo “spiritus” di essa che è la Parola di Dio, così anche ogni codificazione scritta di una legge o di una norma dovesse essere intesa, all’interno della Chiesa, allo stesso modo.
19. In un simile contesto riceve maggiore luce anche tutto ciò che Francesco dichiara constatando che “due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare” (296, cfr Relatio finalis 51). La strada della misericordia e dell’integrazione, che è quella di Gesù, è anche la strada della Chiesa ed essa consiste nel “non condannare eternamente nessuno”, ma “effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero… Perché la carità vera è sempre immeritata, incondizionata e gratuita. Pertanto sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione” (ivi). Francesco prosegue: “Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia immeritata, incondizionata e gratuita”.
20. “Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo!” (297). E il papa precisa: “Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino” (ivi). Poi aggiunge: “È comprensibile che non ci si deve aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi… Il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi (Relatio finalis 51), le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi”, aggiungendo in nota: “Nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale”. E dunque in questo ambito sono i presbiteri coloro che devono “accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo” (300).
21. È a questo punto che Francesco richiama per tutti gli interessati la tradizionale necessità, presente da sempre nella Chiesa e motivata con l’autorità di san Tommaso d’Aquino, di fare un sincero “esame di coscienza”. Scrive il papa: “Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno” (Relatio finalis 85). Si tratta infatti di un itinerario di “accompagnamento e di discernimento che orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio” (ivi). E ricorda: “Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualche virtù, in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà” (301).
Rifacendosi poi a un testo del Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda ancora che “l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali”. E conclude: “Per questa ragione, un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta” (302). “È meschino infatti soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano” (304). Tommaso d’Aquino insegnava: “Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione” (ivi). Una citazione che parrebbe quasi essere quella di un fisico nucleare. E invece si tratta di un testo della “Summa theologiae” di san Tommaso (I-II, q. 94, art.4). Il papa aggiunge in nota che lo stesso san Tommaso concludeva: “Se non vi è che una sola delle due conoscenze (quella generale e quella particolare), è preferibile che questa sia la conoscenza della realtà particolare”! (304, nota 348). Da qui una ammonizione molto precisa che si può leggere in nota (305, nota 351): “Ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore”.
22. Tutto ciò che papa Francesco scrive nella sua Esortazione potrebbe insomma, a mio parere essere rintracciato in queste sue parole precise: “In qualunque circostanza, davanti a quanti hanno difficoltà a vivere pienamente la legge divina, deve risuonare l’invito a percorrere la ‘via caritatis'” (306). Suggerimento che avevamo già letto nella “Evangelii gaudium” in cui Francesco aveva scritto: “Senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno, lasciando spazio alla misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile” (308).
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NOTE
(1) Un richiamo che a me personalmente ha dato felice conferma di ciò che avevo già sollecitato in un mio articolo che aveva suscitato tante reazioni nei mesi che trascorrevano tra la prima e la seconda sessione del Sinodo:
> Per i “duri di cuore” vale sempre la legge di Mosè (16.1.2015)
> Cosa direbbe Gesù se fosse un padre sinodale (3.7.2015)
(2) Anche questo mi fa molto gioire, perché avevo già richiamato, in quel mio articolo che aveva provocato più di una reazione risentita, la necessità di distinguere sempre tra “skopòs” e “telos” nella interpretazione delle parole di Gesù. Questo, a mio parere, risultava da una esegesi attenta dello stesso passo dell’evangelista Matteo, adesso citato dal papa. E tentavo di dire che una simile distinzione comporta, di fatto, una conseguente attenzione alla gradualità che, nella mia interpretazione, Gesù aveva riconosciuto a Mosè, del quale non intendeva abrogare nulla. Atteggiamento che gli permetteva di fare riferimento alla “durezza del vostro cuore” (Mt 19, 8), senza per questo rinunziare a ribadire che “quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt 19, 6b).
(3) In questo contesto, che richiama il titolo della sua Esortazione, la “gioia dell’amore” (126), Francesco spiazza tutti con  un estemporaneo e simpatico riferimento al film “Il pranzo di Babette” che rivela implicitamente un tocco di positività anche nei confronti dei messaggi veicolati dai mass media, che non ci saremmo aspettato (129).
(4) Cita, per esempio, “Humanae vitae” di Paolo VI e “Familiaris consortio” di Giovanni Paolo II e, ovviamente, il Concilio Vaticano II e la “Gaudium et spes” in particolare.
(5) Anche in questo caso rinnovo la mia gioia di cui accennavo alla nota 1. Francesco non si azzarda però neppure qui a indicare il testo di Mt 19, 8 in cui Gesù dichiarava: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così”. Probabilmente lo omette perché il contesto preciso in cui sta parlando non si riferisce propriamente alle “coppie separate e risposate” dopo un “ripudio” o “divorzio”, ma semplicemente alle coppie che vivono in “un matrimonio solo civile”, in “semplice convivenza” oppure in “unione di fatto”. È difficile però pensare che l’orientamento pastorale suggerito dal papa non derivi anche dal testo matteano in cui emerge la differenza tra ciò che ha potuto permettere la “legge di Mosè” e ciò che era invece l’intenzione di Dio creatore fin dall’inizio, con la conseguenza di dare alla “durezza del cuore” una interpretazione tale che permetta di vederla tranquillamente in connessione con ciò che il papa indica come soggetti che non sono in condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive della legge (295).