Quando, più due anni fa, papa Francesco cominciò a cercare di rendere meno forte l’enorme contraddizione tra, da un lato, la morale sessuale e la pastorale familiare cattolica e, dall’altro, il vissuto quotidiano dei fedeli, pregò il cardinale di curia emerito Walter Kasper di occuparsi della cosa e di aprire ai suoi confratelli occhi e orecchi. Il cardinale tedesco viene considerato a Roma “l’uomo per i casi problematici” e ha svolto prima e durante il sinodo sulla famiglia un ruolo di grande rilievo. Sulla sagacia e sul talento di Kasper puntano anche i responsabili del Premio Carlo Magno per convincere il papa ad accettare – eccezionalmente – questa onorificenza. I nostri redattori hanno parlato con Kasper di Francesco e delle sue linee guida, così come della resistenza che Francesco incontra nella Chiesa.
 
L’intervista
Francesco persegue un programma ambizioso. Qual è la risonanza nella Chiesa e nella Curia vaticana?
La stragrande maggioranza delle persone, ben al di là della Chiesa cattolica, è entusiasta di questo papa. Nella Curia c’è anche della resistenza. Ma in quale ambiente non ce n’è? Se nella vostra redazione tutto venisse completamente cambiato, ci sarebbe resistenza.
Il papa vuole cambiare tutto nella Curia?
Sta già cambiando tutto, ma non solo dal punto di vista strutturale. A lui interessa innanzi tutto la mentalità. Solo se cambia la mentalità, le riforme strutturali producono qualcosa di utile. E per far questo, occorre tempo. Francesco ci sta lavorando. Francesco ha indetto l’anno della misericordia. Misericordia è il concetto centrale del suo pontificato.
Lei ha scritto quattro anni fa un libro sulla misericordia e lo ha regalato al cardinale Jorge Bergoglio nel marzo 2013 durante il conclave in Vaticano. Come è successo?
Qualche giorno prima dell’inizio del conclave era stata pubblicata l’edizione in spagnolo del libro. L’ho quindi regalata al cardinal Bergoglio, quando l’ho visto davanti alla porta della sua camera alla residenza “Santa Marta”. Le camere vengono sempre estratte a sorte tra i cardinali prima del conclave e lui era alloggiato proprio davanti a me. Fu affascinato dal titolo “Misericordia” e, evidentemente, ha letto il libro durante il conclave.
La prima domenica dopo la sua elezione, Francesco ha citato espressamente il suo libro in Piazza San Pietro e ne ha consigliato la lettura. Cosa ha pensato in quel momento?
L’ho visto in televisione e ho pensato (ride): “Ma cosa viene in mente al papa?”. Più tardi mi ha detto: “Ho fatto propaganda per lei”.
Per lei, Bergoglio era qualcuno che già prima del conclave doveva o poteva diventare papa?
Sicuramente era anche per me un potenziale candidato. Ma la cosa vera è avvenuta in conclave; si è avuta l’impressione che qualcosa si muovesse. Me lo hanno confermato anche altri cardinali. Bergoglio era sicuramente uno a cui si guardava. La Curia andò in crisi; doveva arrivare qualcuno da fuori. Lui aveva parlato molto bene nelle fasi precedenti il conclave.
In conclave c’era una forte maggioranza che riteneva che fosse necessaria aria nuova da fuori, o ha dovuto fare grande opera di convincimento?
In questo sono molto riservato. Una simile scelta è una decisione di coscienza. Non si deve cercare di esercitare troppa influenza.
Si formano gruppi contrapposti in conclave?
Non dovrebbero essercene. Alcuni sono naturalmente più in sintonia, è la cosa più normale del mondo. Alcuni si accordano, non è proibito. Ma non direi che ci siano vere e proprie fazioni. Ognuno deve regolarsi in base alla propria coscienza. Lei ha parlato di una “rivoluzione della tenerezza e dell’amore”.
È questa tenerezza che così raramente c’è nei leader mondiali in politica, chiesa ed economia che fa sì che tutti i cuori  siano conquistati dal papa?
Lui è prima di tutto una persona. La gente lo sente. E sente che è credibile, che vive quello che dice. Parla una lingua molto concreta, ricca di immagini, che la gente capisce. Francesco non è uno dell’establishment. Vuole incontrare le persone. Ne ha bisogno. Per questo non abita negli appartamenti papali. Quando gli è stato chiesto perché non si trasferisce nel palazzo, ha detto: “Per me è un problema patologico. Lì non posso vivere. Sarei troppo isolato. Deve stare tra la gente”.
Si è parlato molto di aria fresca che spira nella Chiesa cattolica, di trasparenza in Vaticano, di una svolta epocale francescana. È corretto o esagerato?
Questi concetti sono sempre un po’ esagerati. Ma è vero che Francesco vuole cambiare il volto della Chiesa – non la sua essenza. Vuole un volto umano, misericordioso, di questa Chiesa. Vuole una Chiesa non con il dito indice puntato contro, ma con la mano tesa ad accogliere. Ha una grande esperienza pastorale di comunità rurali e di quartieri miserevoli in Argentina. Il papa sta coi piedi per terra, non è di casa in un mondo clericale distaccato.
Per alcuni nella Chiesa cattolica le cose non procedono abbastanza in fretta nella svolta francescana, per altri si va già troppo in là…
I critici e i titubanti frenano, altri vogliono cambiare tutti molto in fretta. Il papa non può fare questo. Francesco procede passo dopo passo; vuole portarsi dietro molti, più che può. Il suo ministero è il ministro dell’unità.
Chi frena?
Persone che tendono alla conservazione, che pensano soprattutto in base a principi che vogliono veder mantenuti; così perdono in parte il contatto con la realtà. Hanno anche paura di troppi cambiamenti. La Curia è un’istituzione antica in cui si è attenti a carriere e consuetudini.
Certi critici all’interno della Chiesa rimproverano al papa di aver già abbattuto molti muri, ma di non avere alcun piano per la ricostruzione. Dicono che ha più idee che sostanza. Che è troppo spontaneo.
Essere spontanei non è una cosa negativa. Francesco si lascia guidare dallo Spirito Santo. Per lui la fede non è un grande faro, ma una piccola lanterna, che illumina un passo dopo l’altro, che dà la luce per il passo successivo. Riflette con attenzione su ciò che è possibile. Lo si vede ora anche nel documento “Amoris laetitia” dopo il sinodo sulla famiglia. Il papa ha accenti nuovi, ma non deve spaccare la Chiesa.
Lei ha riscontrato già mesi fa che il sinodo ha aperto la porta per l’ammissione ai sacramenti, in singoli casi, dei divorziati risposati. Quanto è grande oggi la sua speranza?
La porta è aperta. Però Francesco non prescrive come essa debba essere varcata. Non ripete dichiarazioni tendenzialmente negative di precedenti papi in merito a ciò che è possibile o ciò che non è permesso. Quindi dà spazio di libertà ai singoli vescovi e alla conferenze episcopali. Il sinodo sulla famiglia ha mostrato che non ci sono solo progressisti e conservatori, ma culture diverse nell’unica Chiesa. L’autonomia delle culture si evidenzia ora chiaramente. Di questo il papa intende tener conto. Non tutti i cattolici la pensano come i tedeschi.
Francesco mira quindi fermamente all’obiettivo a cui ha accennato più volte: sinodalità, decentramento, maggiori competenze alle Chiese locali.
In “Amoris laetitia” dice nelle prime due pagine che non è compito del magistero assumere decisioni per ogni singola situazione. In secondo luogo dice che la Chiesa deve inculturarsi. Le culture sono però molto diverse. Questo significa: da noi può essere corretto ciò che in Africa viene ritenuto sbagliato. Quindi il papa lascia spazio libero per situazioni diverse e sviluppi futuri.
La Chiesa è in movimento.
Sì. Francesco non vuole lasciare tutto come prima. Parla di passione e della bellezza dell’amore passionale. Non è più un discorso astratto come un tempo, o caratterizzato dalla diffidenza.
Un tono nuovo.
Sì, un tono nuovo.
E vento a favore per la Conferenza episcopale tedesca.
Sicuramente.
Sarà più facile per i parroci affrontare i problemi della pastorale familiare?
Più facile e più difficile insieme. La prassi da noi è da tempo più aperta. Quando ero vescovo di Rottenburg, un parroco mi raccontò di una madre che era divorziata e poi risposata e che aveva preparato sua figlia alla prima comunione molto meglio di altre, una donna che era anche molto attiva nella parrocchia e nella Caritas. A quel punto, non poteva dire alla bambina, il giorno della sua prima comunione: “Tu puoi, ma la tua mamma no”. Il parroco aveva pienamente ragione. Ho raccontato questo al papa e Francesco ha confermato il mio atteggiamento: “Lì è il parroco che deve prendere una decisione”. E io ho detto: “Ha deciso lui”. Risolvere in maniera umana queste situazioni, in questo senso c’è vento a favore. D’altro canto non c’è una soluzione prestabilita. Il parroco deve avere molto tatto e sensibilità. Non so se tutti siano adeguatamente preparati. Bisogna fare molto nella preparazione, affinché non succeda che ognuno fa quello che vuole. Alcuni corrono avanti, altri devono essere spinti a forza. Sarebbe bene avere criteri comuni, non indicazioni precise, ma criteri.
Il motivo a base di tutto resta la misericordia. Francesco definirebbe misericordioso l’atteggiamento dell’UE verso i profughi dal Medio Oriente e dall’Africa? Gli Stati dell’UE ascoltano il suo messaggio?
Il messaggio non è accolto da tutti. Anche un papa si scontra con un’opposizione. Da un altro lato, la sua visita sull’isola di Lampedusa ha avuto delle conseguenze. Prima era espressamente vietato ai pescatori italiani di aiutare i profughi su imbarcazioni alla deriva. La cosa è cambiata. Come cristiani non possiamo lasciare che bambini, neonati, vecchi rimangano nel fango e nella sporcizia. Certo l’Europa non può accogliere tutti. Ma le frontiere non risolvono il problema e non possono abolire il diritto d’asilo individuale. Se ci comportassimo come il piccolo Libano, dovremmo accogliere milioni di persone.
Francesco si esprime molto chiaramente, aspramente, quando parla della politica europea verso i profughi. Chiede chiaro e tondo all’Europa di cambiare stile di vita. Si mostra impaziente.
Che non possiamo continuare come adesso, è evidente. Cosa lasciamo alle prossime generazioni? Il papa si esprime in maniera profetica – non solo principi astratti, ma compiti concreti. È necessario, tanto più che alcuni attizzano la paura parlando di islamizzazione dell’Europa! La cancelliera ha perfettamente ragione quando dice: possiamo impedire l’islamizzazione andando di più in chiesa la domenica!
Si aspetta che il 6 maggio, in occasione del conferimento del premio Carlo Magno, il papa faccia una filippica all’Europa?
Nessuna filippica, non è nel suo stile. Ma dirà con chiarezza la sua opinione, se i valori fondanti dell’Europa coincidono con la politica dell’UE.
Si dice sempre che un papa generalmente non accetta onorificenze e premi. Perché Francesco fa un’eccezione con il premio Carlo Magno?
Il direttorio del premio Carlo Magno mi aveva chiesto di fare da mediatore. Sono andato dal papa e gli ho spiegato il motivo di questa onorificenza. L’Europa è in una situazione critica, per questo si cerca qualcuno che sia un’autorità autentica, credibile, morale. Ce ne sono poche: forse Francesco è addirittura l’unico. Considera questa onorificenza non come un onore personale nei suoi confronti, ma come una buona occasione di dire qualcosa all’Europa, un continente che, a suo avviso, è diventato vecchio.
Lei è stato il più importante messaggero del premio Carlo Magno di Aquisgrana.
Questo non lo so, io sono stato solo il portalettere.
È stato difficile convincere il papa?
Bisogna essere prudenti nelle argomentazioni. Poco tempo dopo, alla domanda di un giornalista sul perché accettasse il premio, ha detto: “Per la cocciutaggine del cardinal Kasper””.
 
Cardinal Kasper: cosa si aspetta Francesco dalla Chiesa e dall’Europa intervista a Walter Kasper, a cura di Peter Pappert e Bernd Matheiu
in “www.aachener-zeitung.de” del 22 aprile 2016 (traduzione: www.finesettimana.org)