Nel clima del Giubileo è giusto che emergano le possibilità, le difficoltà e le proposte innovative che circolano nella comunità ecclesiale in materia di “penitenza”. Già lo scorso dicembre avevo dialogato con Giancarlo Martini sul tema della “forme del sacramento”. Oggi, dopo un mio nuovo post sul tema, Giancarlo ha scritto questo ampio testo, nel quale mette in luce una serie di cose molto importanti del sacramento, a partire da una esperienza particolarmente ricca e intensa della sua celebrazione comunitaria. Riprendo integralmente il suo testo e aggiungo, in coda, alcune mie personali considerazioni. Mi pare che si possa dire che il “sensus fidelium”, anche in questo caso, è capace di scoprire e di vivere “cose antiche e cose nuove”, assicurando alla Chiesa una docilità allo Spirito che altrimenti le sarebbe preclusa
 
L’importanza delle celebrazioni comunitarie della penitenza
(di Giancarlo Martini)
Dopo il tuo post di oggi che riporta il piccolo decalogo per l’iniziazione al “fare penitenza”, parte del tuo contributo al libro “Non per merito ma per-dono” ho deciso di riprendere il dialogo sul tema della penitenza e della penitenza comunitaria che avevamo avviato due mesi fa (“Fare penitenza” nel Giubileo: domande e risposte” del 23 dicembre 2015).
La tua risposta alle mie domande sul sacramento della penitenza, riconciliazione e perdono sottolinea opportunamente quanto c’è di specifico in questo sacramento rispetto agli altri: il ricupero della comunione perduta. Forse una specificità non esclusiva dato che nei primi secoli il ricupero della piena comunione non avveniva solo con la penitenza comunitaria (non ripetibile e assai severa).
Questa specificità è andata dileguandosi nelle profonde trasformazioni avvenute nella prassi penitenziale imposta come obbligatoria e proposta come pratica devozionale.
Sottolinei giustamente che è andata perduta la dimensione della conversione, dell’itinerario penitenziale, che ha bisogno di tempi lunghi, e che non può ridursi al semplice fare la confessione. Mi è difficile però capire come la pratica delle penitenze comunitarie, eventualmente anche nella terza forma, possa essere di ostacolo o di disincentivo ad un cammino di conversione anche personale oltre che comunitario.
Dipende probabilmente da come sono intese e da come sono celebrate queste penitenze all’interno delle comunità cristiane. Non abbiamo mai inteso la forma comunitaria di celebrazione penitenziale come un modo di sbrigarsela più facilmente e a poco prezzo. Anzi…
Vorrei svolgere alcune considerazioni che fanno da supporto alle nostre celebrazioni penitenziali comunitarie, convinto sempre più dell’importanza della loro celebrazione per ricuperare sia la penitenza come itinerario di conversione, sia la dimensione della riconciliazione ecclesiale, sia il senso del perdono di Dio.
eucaristia e penitenza
È primariamente l’eucaristia il sacramento della riconciliazione. È quanto tu stesso fai trapelare nel tuo ultimo post sulla penitenza e il perdono dei peccati del 26 febbraio. I cammini di formazione, di conversione, di ascolto, di vita fraterna sono legati, espressi e celebrati nell’eucaristia. Una comunità che “celebra” l’eucaristia è una comunità che fa esperienza di comunione, di ascolto, di perdono, di condivisione. La penitenza “comunitaria” manifesta maggiormente il suo legame con l’eucaristia celebrata dalla comunità
un mondo da riconciliare
Viviamo in un mondo in cui c’è un enorme bisogno di riconciliazione: ovunque si stanno innalzando muri, divisioni, e crescono paure, ostilità che favoriscono affermazioni di identità separanti (dentro le famiglie, dentro il paese, tra nazioni…). Al posto della convivialità delle differenze viene propagandato l’assorbimento appiattente o lo scontro. La chiesa come segno (quasi sacramento) dell’unità del genere umano è chiamata a porre segni e gesti di riconciliazione, dell’essere riconciliati da Dio e dall’essere riconciliati tra fratelli: la penitenza comunitaria dovrebbe esprimere questa dimensione (molto più di una penitenza individuale).
itinerari di conversione per le persone e per la comunità
La penitenza comunitaria, in qualunque forma viene celebrata, non è qualcosa di puntuale che si riduce al momento della sua celebrazione, senza un cammino che precede e che segue, non è un modo per abbreviare i tempi, per sbrigare più velocemente la pratica, per annullare il percorso di penitenza e conversione. Tutta la vita del cristiano è una vita di continua conversione.
Così veniva presentata la prima penitenza comunitaria, celebrata nelle nostre comunità prima della pasqua nel 1971:
“Per dieci domeniche nelle nostre chiese, durante la celebrazione liturgica della Messa, abbiamo ripensato, alla luce della Parola di Dio, alla penitenza, cioè alla nostra continua conversione, ed insieme, a questo scopo, abbiamo pregato e condiviso il pane dell’eucaristia. Ciò è avvenuto a seguito ed a fianco del corso annuale di teologia che ha avuto per argomento la penitenza. Il motivo della ricerca, della riflessione e della preghiera è stato quello di rivalutare oggi la virtù della penitenza, cioè della nostra quotidiana conversione ed il sacramento stesso, nei suoi aspetti e contenuti diversi, nella dimensione comunitaria della colpa e nell’attuazione della nostra conversione che si realizza nella comunità cristiana. Di qui la motivazione ed il significato della penitenza comunitaria.”
La penitenza comunitaria, come noi l’abbiamo sempre intesa, coinvolge quindi la comunità nella sua preparazione e perdura successivamente: le riflessioni, gli interrogativi, le preghiere, le richieste di perdono, i percorsi di conversione sono ripresi nel corso dell’anno, in particolare nell’atto penitenziale della liturgia domenicale. Semmai è proprio della penitenza individuale quello di non essere supportata da un cammino della comunità e quindi corre più facilmente il rischio di una visione magico-sacrale. E nella penitenza comunitaria minore è il rischio dell’effetto magico e consolatorio del “più bianco della neve”, minore è il rischio di confondere il senso di colpa (psicologico) con il senso del peccato (rottura di relazione con Dio, con i fratelli, con il mondo)
quale mediazione ecclesiale?
La misericordia, l’amore di Dio non sono perimetrati dalla chiesa ma dall’uomo, a partire dall’uomo che soffre. L’amore di Dio abbraccia cioè l’intero mondo, l’intera umanità ben oltre i confini della chiesa. Il perdono, la sua misericordia raggiungono l’uomo oltre i confini della chiesa (è la buona notizia del regno annunciato ai poveri).
Il sacramento della riconciliazione non può allora essere inteso come l’imbuto, la strettoia solo attraverso la quale si rende presente l’amore misericordioso di Dio: la chiesa non dovrebbe ritenersi colei che controlla la grazia ma semmai colei che la facilita e la testimonia. La chiesa non ha l’esclusiva, ma ha il compito di manifestare che l’amore di Dio è per tutti, oltre i propri confini, a partire dagli ultimi. La chiesa mediatrice può essere intesa in modi diversi: come colei che stabilisce i confini, i limiti, gli argini dell’amore di Dio (un amore indiscriminato e indiscriminante) o come colei che rende visibile e testimonia quell’amore gratuito offerto senza alcuna precondizione e che provoca conversione
celebrazione comunitaria e comunità
In una comunità solo apparente la celebrazione comunitaria è comunitaria solo formalmente e rimane in sostanza una celebrazione privata. È fondamentale pertanto l’edificazione di autentiche comunità cristiane riunite nell’ascolto della parola, nella frazione del pane e nel farsi prossimi. La celebrazione del sacramento della riconciliazione favorisce la ricomposizione delle fratture, delle divisioni, la rielaborazione positiva delle conflittualità, favorisce l’edificazione della comunità.
una comunità in ascolto della parola Dio
La celebrazione comunitaria, molto più di quella “privata”, favorisce il mettersi in ascolto della parola Dio, il lasciarsi interrogare da una buona notizia che invita alla conversione, a cambiare sguardo e orientamenti, a riconoscere le proprie fragilità e infedeltà, a intraprendere un cammino senza fine (siate perfetti e misericordiosi come il Padre), oltre una visione legalistica ed estrinseca.
dimensione sociale del peccato
Proprio la penitenza comunitaria riesce a mettere in rilievo la dimensione sociale e comunitaria del peccato (non come forma deresponsabilizzante: è colpa della società) ma come assunzione di maggiore responsabilità nei confronti dei fratelli, della comunità. La centralità del soggetto, portato della cultura contemporanea, non necessariamente significa individualismo, ma anche ricchezza delle differenze nella convivialità
peccato e opzione fondamentale
Occorre ripensare anche il tema del peccato, superando una visione legalistica e casuistica estrinseca. I singoli atti non vanno separati da scelte di fondo, da orientamenti complessivi, da opzioni fondamentali. Occorre tener presente di questo in particolare quando si parla di “colpa grave”. Ciò che soprattutto conta è l’orientamento di fondo di una persona, che si esprime certamente in singoli atti, ma che non si identifica con ognuno di loro. Diverso il senso di un singolo atto, ad es. una parola o un gesto poco rispettoso, da parte di chi orienta la propria vita nel prendersi cura degli altri rispetto a chi pone se stesso costantemente al centro di tutto… L’attenzione alle scelte di fondo, con particolare cura a quello che si omette di fare, possono più agevolmente essere messe in luce da penitenze comunitarie costruite assieme e celebrate assieme.
penitenza individuale e diversità dei confessori
La penitenza individuale poi inevitabilmente mette in rilievo le differenze (che possono essere persino contrapposizioni) tra ministro ordinato e ministro ordinato, tra chi pone al centro la trasgressione di una norma esterna e chi pone al centro il tribunale ultimo della coscienza, illuminata dalla parola Dio e bisognosa sempre di maturazione… Le conseguenze possono essere devastanti (si pensi al problema dei divorziati risposati, all’uso dei metodi contraccettivi, all’importanza data alla giustizia sociale, al pagare le tasse, al rispetto dell’ambiente come casa e bene comune…). Che il problema esista emerge anche dal continuo richiamo rivolto da papa Francesco ai confessori a non negare il perdono…
la festa del perdono
L’itinerario di conversione personale e comunitaria non può avvenire all’insegna della colpevolizzazione e del tormento, ma nella serenità della gioia, con la fiducia in un Padre che ci attende, ci viene incontro, sempre ci accoglie nella sua casa e fa festa. Non si fa festa da soli. Anche la dimensione della festa risulta più evidente in una celebrazione comunitaria.
Questi esposti sono alcuni dei principali motivi per celebrazioni comunitarie della penitenza, trascurate dall’attuale vescovo di Roma, che sembra proporre esclusivamente come forma di celebrazione del sacramento quella auricolare, pur con alcune novità, come la minor importanza dell’accusa dettagliata, come l’invito ai confessori ad essere facilitatori della grazia e non giudici severi…
Giancarlo Martini
 
Una risposta: la teologia che riflette e la prassi ecclesiale che fa esperienza
(di Andrea Grillo)
Caro Giancarlo,
il tuo testo mi colpisce molto, anzitutto per un motivo: manifesta una esperienza di “celebrazione comunitaria della penitenza” che non avevo mai incontrato e che, per come si presenta da quanto tu testimoni, mi sembra che vada largamente al di là di quanto previsto dal rituale della penitenza. E, se dico che “va largamente al di là” intendo dire non che “abusa” del rituale, ma che ne porta a compimento l’uso, gli intendimenti, le intenzioni, quasi realizzando una “quarta forma”, nella quale si supera la condizione di quello “stato di necessità” che condiziona, in modo vistoso, la applicabilità della “terza forma”. Qui, a mio parere, ci sono alcune cose che meritano di essere sottolineate:
a) Una esperienza, come quella che descrivi, è segnata da una riscoperta profonda della “dimensione temporale” della penitenza. Tu lo sottolinei bene: si costruisce la “comunità penitenziale” per il fatto che non ci si “rifugia” sotto l’ombrello di un anonimato plurale, ma si compie un cammino comune che porta alla luce, per ognuno, il proprio itinerario;
b) La “processualità” mi pare una nota fondamentale di questa esperienza. Essa, infatti, deve far emergere con forza un doppio versante della penitenza:
– da un lato il suo “derivare” e “tendere” alla pienezza eucaristica del perdono
– dall’altro la sua vocazione a recuperare la virtù battesimale di penitenza.
Non a caso il Concilio di Trento la chiama “battesimo laborioso”.
c) Questo servizio alla comunione (battesimale e eucaristica) ha tuttavia necessariamente un profilo di elaborazione personale, che certo, anche nel contesto di un percorso come quello che descrivi, è destinato ad essere “preso in considerazione”. Forse non nella forma di un “incontro diretto” con il ministro, né con una determinazione specifica della penitenza, ma come assunzione individuale di un cammino particolare.
d) E’ evidente che qui ci scontriamo anche con i limiti di una tradizione che è diventata ostinatamente individualistica. La “forma classica” – prima medievale e poi tridentina – ha obiettivamente accompagnato la Chiesa nel passaggio complesso e non univoco “dalla comunità all’individuo” (per usare la terminologia di J. Bossy). La questione è: come recuperare la “comunità” in una età che si caratterizza come intensamente “individuale”?
e) A me pare che l’orizzonte che dischiude la tua narrazione sia effettivamente promettente e direi necessario. Io penso che faccia parte delle preoccupazioni anche di papa Francesco recuperare questo livello “comunitario”. Lui ci arriva – per tradizione ecclesiale e per pratica religiosa gesuita – per una via rigorosamente individuale. Ma sono convinto che una formula come quella che tu descrivi, non sia affatto in contrasto con questa intenzione, anche se persegue esplicitamente una via diversa. Per garantire la “intenzione tridentina” la “forma tridentina” del sacramento è obiettivamente troppo poco.
f) Aggiungerei due notazioni ulteriori. Da un lato, come tu stesso ammetti apertamente, questa strada promettente non solo “costruisce comunità” nella forma di una celebrazione penitenziale, ma anche “presuppone una comunità già esistente, strutturata, articolata”. D’altro canto, anche l’oggetto stesso della confessione, il peccato, ha subito trasformazioni e riletture, nel tempo. La “confessione individuale”, per come si è sviluppata nel mondo moderno, rilegge i “peccati gravi” in modo capovolto rispetto alla tradizione precedente. Se per Dante il peccato grave era anzitutto “superbia, invidia e ira” e solo alla fine stava la “lussuria”, il nostro “imborghesimento” ha fatto della “lussuria” il peccato per eccellenza…il quale, finisce anche per essere la prima giustificazione del confessionale! Vorrei dire che, anche oggi, lo scandalo maggiore per i Vescovi che coprono i ministri che abusano di minori non è anzitutto la lussuria e la violenza occultata, ma la “superbia” di chi non riconosce un potere “altro” rispetto al proprio.
g) Dunque, caro Giancarlo, grazie per questa buona apertura di cuori. Se scrivendo e leggendo – per di più in ambiente digitale – si riesce a condividere una esperienza “nuova”, questo è un passaggio fondamentale. Io, finora, avevo letto le esperienze di “confessione comunitaria” con gli occhiali del rituale. Imponevo loro – e indirettamente anche “a voi” – una logica che desumevo non dalla realtà, ma dalla “autorità del testo”. Non avevo quasi per nulla considerato che, nel vissuto concreto di una comunità, la esperienza del perdono “in comune” possa maturare anche in cammini di crescita comunitaria, che superano quella angustia spazio-temporale che appare, obiettivamente, uno dei limiti della tradizione moderna del sacramento. Confesso volentieri, in questo caso come in molti altri, un “peccato di autoreferenzialità teologica”, che mi ha immunizzato da una realtà “sempre più grande”.
h) Concludendo, mi pare che si possa fare una duplice affermazione: In questa direzione, io credo, sulla base di diverse esperienze ecclesiali, procediamo in una grande sintonia.

in “Come se non” – http://www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non/ – del 2 marzo 2016