L’incontro tra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill è un grande momento nella storia del cristianesimo e non c’è motivo di esitare a usare l’aggettivo storico. Era l’incontro più atteso e più difficile, per lo stratificarsi degli ostacoli: non teologici, ma di ordine politico interno, internazionale, e di equilibri interni all’ortodossia e al cattolicesimo orientale.
La storia dello scisma e delle scomuniche tra Roma e l’ortodossia era durato oltre novecento anni, dal 1054 al 1965; ma in questi ultimi cinquant’anni proprio il dossier russo ortodosso era il più difficile: la chiesa ortodossa più grande e la più legata al potere politico. L’incontro di Cuba tra Francesco e Kirill si avvicina a quello tra Paolo VI e il patriarca di Costantinopoli Atenagora a Gerusalemme il 5 gennaio 1964: è un possibile nuovo inizio, con un papa, Francesco, che ha ridefinito il vocabolario del potere papale anche nei rapporti con le chiese cristiane non cattoliche.
È presto per valutare le ripercussioni dell’incontro e della dichiarazione comune, anche se si vedono già le reazioni negative provenienti dagli ortodossi ucraini: il papa ai giornalisti durante il volo da Cuba a Città del Messico ha precisato che si tratta di una “dichiarazione non politica, ma pastorale” e che “ci saranno tante interpretazioni, tante tante…”. Per ora si possono considerare gli elementi simbolici. Faceva un certo effetto vedere Raul Castro circondato da una pattuglia di vescovi, cardinali e pope, attendere a mo’ di chierichetto al lato del tavolo della dichiarazione congiunta tra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill: la bandiera di Cuba da una parte e una grande icona della Madonna dall’altra. La caduta del muro tra L’Avana e Washington pochi mesi fa non era evidentemente solo che il primo passo.
L’incontro con Kirill a Cuba risignifica molti elementi simbolici. Il primo elemento è l’aeroporto. Lo scenario dell’aeroporto di Cuba è suggestivo nella sua emblematicità di una modernità in movimento di cui il cristianesimo è parte. Proprio papa Francesco, che in uno dei suoi primi richiami aveva criticato “i vescovi da aeroporto” sempre in movimento e mai in diocesi, fa dell’aeroporto di L’Avana il punto di incontro di due traiettorie ecclesiali storicamente diverse, quella cattolica e quella ortodossa, ma mai totalmente estraniatesi l’una dall’altra. Da “non-luogo” per eccellenza, un aeroporto internazionale diventa, grazie ad un atto tecnicamente non liturgico ma comunque di grande spessore spirituale, il luogo più significativo per l’ecumenismo di Francesco.
Il secondo elemento risignificato è Cuba. Francesco ha detto in conferenza stampa che Cuba può diventare “capitale dell’unità”. Da punto di penetrazione del comunismo nel ventre dell’Occidente a guida americana e possibile punto di inizio della terza guerra mondiale nucleare nell’ottobre 1962 in cui si apriva il concilio Vaticano II, Cuba con il papa argentino diventa tappa fondamentale nella storia dell’ecumenismo tra cattolici e ortodossi, lontano dai luoghi classici dell’Europa segnata dalla storia delle chiese non meno che dalla geografia confessionale, ma lontano anche da quell’America settentrionale asse centrale della geopolitica cattolica fino all’elezione di Francesco.
Il terzo elemento è la riconversione degli ostacoli sul cammino tra Roma e l’ortodossia. Francesco ha violato uno dei paradigmi dell’ecumenismo cattolico verso oriente, chiamando già nel 2014 la soluzione “uniate” (il tentativo di Roma di annettersi pezzi di chiese ortodosse) una “parola di un’altra epoca”, non più adatta all’oggi. Nella dichiarazione comune si parla del “diritto di esistere” delle comunità greco-cattoliche, e riprende la svolta ecumenica di Francesco che va oltre quella di Giovanni Paolo II: nuovo ruolo del papato, cessazione delle ostilità confessionali, ecumenismo del sangue dei martiri.
Francesco e Kirill sono due leader il cui gesto di Cuba dice molto della necessità di personalità di vertice per smuovere ostacoli ritenuti insormontabili. Sono due reduci del novecento, provenienti da due periferie del mondo con cui il centro di gravità della geopolitica europea e nordatlantica ha provato fino a pochi anni fa a fare i conti in modo sbrigativo e sprezzante, pagando un alto prezzo (come in Ucraina). Francesco e Kirill sono leader di due chiese che arrivano a Cuba provenienti da un’epoca storica in cui l’oggetto “chiesa” era parte di un sistema politico forte: l’America Latina dell’anti-comunismo delle dittature per Francesco, la persecuzione e strumentalizzazione dell’ortodossia nella Russia sovietica.
Le due chiese hanno percorso strade diverse per ridefinire il loro rapporto con la nazione e l’impero. Ma entrambe sanno bene che il cammino dell’ecumenismo non è indifferente alle condizioni e alle sorti della politica mondiale. La geopolitica delle chiese è nel palinsesto profondo della mappa di un mondo in cui la religione non è stata sradicata dalle dittature, come non lo sarà dalle ideologie scientiste in voga oggi.
La dichiarazione congiunta copre vari temi: il martirio dei cristiani in Medio Oriente e Nordafrica, la necessità del dialogo interreligioso, la sfida al terrorismo fondamentalista, la convivenza tra ortodossi e “uniati” con Roma, famiglia e matrimonio, la difesa del diritto alla vita, la secolarizzazione.
Alcuni passaggi sono frutto di un compromesso con Kirill, come i paragrafi 26-27 sulla guerra in Ucraina e sulla spaccatura delle chiese ortodosse in Ucraina che Mosca cercherà di usare a proprio vantaggio. Ma è una dichiarazione che è la versione ecumenica della costituzione Gaudium et Spes del concilio Vaticano II sulla chiesa nel mondo contemporaneo: legge i segni dei tempi di oggi, li assume nella coscienza delle due chiese cristiane più globali e più segnate dal potere politico imperiale. Francesco e Kirill lo fanno a Cuba, in un luogo che esprime la necessità di un congedo dal passato ma allo stesso tempo l’eredità del secolo ventesimo, quello delle ideologie politiche antireligiose ma anche della nascita del cammino ecumenico tra le chiese cristiane.

Tutti i motivi per cui l’incontro Francesco-Kirill è davvero storico, di Massimo Faggioli, in “L’Huffington Post” del 13 febbraio 2016