Il prossimo viaggio di Papa Francesco in Messico si colora di ecumenismo. È stato appena annunciato che il Pontefice incontrerà il 12 febbraio a Cuba il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill. Un abbraccio mai avvenuto prima tra un Vescovo di Roma e un Vescovo di quella che viene chiamata la «terza Roma», dopo la sede del successore di Pietro e Costantinopoli, sede del successore dell’apostolo Andrea. Lo ha comunicato il direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, leggendo una nota vaticana: «La Santa Sede e il Patriarcato di Mosca hanno la gioia di annunciare che, per grazia di Dio, Sua Santità Papa Francesco e Sua Santità il Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia, si incontreranno il 12 febbraio. Il loro incontro avrà luogo a Cuba, dove il Papa farà scalo prima del suo viaggio in Messico, e dove il Patriarca sarà in visita ufficiale. Esso comprenderà un colloquio personale presso l’aeroporto internazionale José Martí dell’Avana e si concluderà con la firma di una dichiarazione comune. Questo incontro dei Primati della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa russa, preparato da lungo tempo, sarà il primo nella storia e segnerà una tappa importante nelle relazioni tra le due Chiese. La Santa Sede e il Patriarcato di Mosca auspicano che sia anche un segno di speranza per tutti gli uomini di buona volontà. Invitano tutti i cristiani a pregare con fervore affinché Dio benedica questo incontro, che possa produrre buoni frutti».
Il colloquio durerà «due ore», ha anticipato Lombardi. Ai due, al momento dello scambio dei doni si aggiungerà il presidente cubano Raul Castro. Nel primo incontro della storia tra un Papa e un Patriarca di Mosca, Francesco e Kirill oltre a firmare una dichiarazione congiunta si scambieranno anche dei discorsi.
Raul Castro accoglierà il Papa sulla pista dell’aeroporto Martin dell’Avana e dopo circa tre ore lo riaccompagnerà all’aereo con il quale poi Francesco raggiungerà Città del Messico «nell’orario previsto», ha assicurato il Portavoce vaticano, che poi ha sottolineato: «Papa Francesco e Kirill si incontrano dopo un paio d’anni di preparazione dell’incontro. E Cuba è un luogo “neutro”, diciamo così, ma significativo per le due parti, è un crocevia nel mondo di oggi e nei suoi sviluppi ed è un luogo ben conosciuto alla Chiesa Ortodossa Russa ma anche alla Santa Sede, dopo le visite di tre Papi dal 1998 a oggi».
Lombardi ha anche spiegato che «il patriarca ecumenico Bartolomeo I, informato del prossimo incontro tra il Papa e il patriarca di Mosca Kirill, ha manifestato la sua soddisfazione e gioia per questo abbraccio tra il capo della Chiesa cattolica e quello della comunità ortodossa più numerosa del mondo».
Nel frattempo, nella conferenza stampa al Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, il metropolita Hilarion ha ricordato che l’incontro tra il Patriarca di Mosca e il Papa «si preparava da quasi 20 anni», ma ad accelerare lo svolgimento di questo storico evento è stato il «genocidio dei cristiani», in atto per mano del terrorismo. Davanti a quanto accade e che «preoccupa» entrambe le Chiese, i due leader spirituali «non potevano non incontrarsi». Hilarion ha anche affermato che il primo storico incontro tra il Patriarca ortodosso russo e il Papa si terrà a Cuba e non in Europa, in quanto l’isola caraibica è allo stesso tempo «un territorio neutro» e dove «il cristianesimo si sviluppa», mentre l’Europa è il continente dove si sono consumati i «conflitti» tra le due chiese, le cui relazioni sono ancora segnate da problemi irrisolti, come quello dei greco-cattolici in Ucraina. In passato – ha aggiunto – tra i vari «paesi terzi» nominati per il possibile incontro tra i leader spirituali delle due Chiese sorelle si era spesso nominata l’Austria con Vienna.
«Il tema delle persecuzioni dei cristiani sarà al centro dell’incontro», ha fatto sapere inoltre Hilarion. «La situazione che adesso si ha in Medio Oriente, nell’Africa del nord e centrale e in alcune altre regioni dove gli estremisti commettono un vero genocidio della popolazione cristiana – ha detto Ilarion – richiede misure urgenti e sempre più in stretta collaborazione tra le chiese cristiane. Questa situazione è tragica – ha aggiunto – bisogna mettere da parte il disaccordo interno e unire gli sforzi per salvare il cristianesimo nelle regioni dove subisce persecuzioni crudelissime».
Il 30 novembre 2014, sul volo di ritorno da Istanbul, dove aveva presenziato su invito del Patriarca ecumenico Bartolomeo alle solenni celebrazioni per la festa di sant’Andrea, Francesco aveva risposto alla domanda del corrispondente da Roma dell’agenzia Tass Alexey Bukalov sulla possibilità di un incontro con Kirill: «Io gli ho fatto sapere – aveva detto Papa Bergoglio – e anche lui è d’accordo, c’è la volontà di trovarci. Gli ho detto: io vengo dove tu vuoi. Tu mi chiami e io vengo. E anche lui ha la stessa volontà». «Tutti e due vogliamo incontrarci – aveva continuato – e vogliamo andare avanti».
L’ecumenismo è una priorità per Francesco, che più volte ha parlato dell’importanza dell’«ecumenismo del sangue», che vede cristiani di diverse confessioni venire perseguitati: «I nostri martiri ci stanno gridando: “Siamo uno! Già abbiamo un’unità, nello spirito e anche nel sangue”», aveva detto il Pontefice.
Francesco aveva anche detto di considerare superata la via dell’«uniatismo»: «Le Chiese cattoliche orientali hanno diritto di esistere, è vero. Ma l’uniatismo è una parola di un’altra epoca. Oggi non si può parlare così. Si deve trovare un’altra strada». Uno dei temi sempre «caldi» nelle relazioni fra cattolici e ortodossi russi è infatti quello dell’uniatismo in Ucraina, Paese dove, oltre ai cattolici di rito orientale rientrati nella piena comunione con Roma, e alla Chiesa ortodossa dipendente da Mosca, esistono altre due Chiese ortodosse nazionali autocefale.
Pochi giorni fa, in un’intervista pubblicata su «Inside the Vatican», il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per l’Unità dei cristiani, dopo aver commentato l’importanza della presenza di Francesco a Lund, in Svezia, per la commemorazione con i luterani il prossimo ottobre del cinquecentesimo anniversario della Riforma, a proposito di un incontro con il Patriarca russo aveva detto: «Ora il semaforo non è più rosso, ma giallo». Lasciando intendere che qualcosa si muoveva.
Kirill aveva programmato un viaggio a Cuba negli stessi giorni in cui Francesco sarà in Messico (12-17 febbraio). A invitarlo personalmente era stato il presidente Raúl Castro, durante una visita a Mosca del maggio dello scorso anno. L’annuncio di oggi lascia intendere che il progetto è maturato lentamente, nell’assoluta riservatezza, e che la possibilità dello storico incontro è stata sempre presente dietro le quinte della preparazione del viaggio messicano.
Da molti anni si parla della possibilità che il Papa di Roma e il Patriarca di Mosca si incontrino. Un viaggio a Mosca era tra i sogni irrealizzati di Giovanni Paolo II. Nonostante le aperture ecumeniche di Papa Wojtyla, che nell’enciclica «Ut unum sint» si era detto disponibile a discutere le forme di esercizio del primato di Pietro, molte porte erano rimaste chiuse. Non si deve dimenticare che per gli ortodossi russi veniva percepito come un ostacolo l’origine polacca del Pontefice: tra russi e polacchi le relazioni non sono mai state molto buone lungo la storia, e il Vescovo di Roma originario di Wadowice veniva dipinto come un «conquistatore» cattolico. A rendere i rapporti più tesi anche la decisione di Giovanni Paolo II di fondare vere e proprie diocesi cattoliche in Russia.
Con l’elezione del teologo Benedetto XVI l’ipotesi era diventata più probabile, ma non si era realizzata. Sulla cattedra moscovita intanto, dopo la morte di Alessio II, si insediava Kirill. Il Patriarca russo ha giurisdizione su due terzi dei duecento milioni di ortodossi nel mondo. L’abbraccio con Francesco a L’avana è un nuovo importante passo verso il disgelo, destinato ad avere conseguenze non soltanto attinenti ai rapporti tra cattolicesimo e ortodossia, ma anche per la pace nel mondo.
Il Papa e Kirill, il primo storico incontro a Cuba, di A. Tornielli, La Stampa 5 – 2- 2016
 
 
Kirill e Francesco il mondo è cambiato
di Andrea Riccardi
Finalmente il papa e il patriarca di Mosca s’incontrano: il 12 febbraio prossimo a Cuba. Il patriarca russo è l’unico grande leader cristiano con cui un papa non si è mai visto. Il Vaticano, fin da Giovanni Paolo II, desiderava l’incontro. Ma il patriarcato di Mosca è stato sempre cauto, sostenendo che il passo non poteva avvenire, mentre erano aperti i problemi del «proselitismo» cattolico nel territorio della Chiesa russa o quelli rappresentati dagli ucraini greco-cattolici che, dopo l’89, avevano ritrovato la libertà. Così fallirono i tentativi di far incontrare papa Wojtyla e il patriarca Alessio II in Ungheria e poi in Austria. Forse la Chiesa russa non si sentiva ancora abbastanza unita e sicura per fare questo passo. Protagonista dei contatti, da parte moscovita, era allora l’autorevole metropolita Kirill, spesso a Roma, dove incontrò Benedetto XVI appena eletto. Kirill — patriarca di Mosca dal 2009 — è discepolo del metropolita Nikodim, personaggio chiave della Chiesa russa in epoca sovietica, amico di Roma (e dei gesuiti), morto d’infarto nel 1978 durante un’udienza con Giovanni Paolo I. I gesuiti avevano tenuto rapporti con la Chiesa russa in epoca sovietica, tanto che il loro generale Arrupe visitò l’Urss, ospite di Nikodim. Nell’allora Leningrado, il giovane Kirill accompagnò Arrupe nella parrocchia di suo padre, un prete sposato, che restò colpito dal generale gesuita. Kirill conosce bene e stima la Chiesa di Roma, ma ha sempre sostenuto che non era maturo il tempo per vedere il papa. Lo diceva ai tanti cattolici che lo interrogavano sull’incontro con un’insistenza che lo infastidiva. L’evento, a suo modo di vedere, avrebbe dovuto essere «storico» e ben preparato.
Per questo, nel 2012, restai molto sorpreso, quando l’allora presidente del Consiglio, Mario Monti, mi disse che, in una visita a Mosca, aveva percepito un interesse di Kirill per venire a Milano, alle celebrazioni dei 1700 anni dell’Editto di Costantino, e per vedere Benedetto XVI. Il 29 novembre dello stesso anno fui ricevuto a pranzo dal patriarca a Mosca e lo trovai favorevole all’incontro, anche se mi disse di non avere ancora l’assenso dei suoi vescovi (il che sarebbe stato possibile al concilio russo all’inizio del 2013). Era reduce da un coraggioso viaggio in Polonia, apprezzato pure da Putin, in cui si era operata la difficile riconciliazione russo-polacca. L’episcopato russo stava cambiando sotto la sua guida.
Kirill tracciò nella conversazione un programma dell’incontro di Milano, culminante in un messaggio del papa e del patriarca all’Europa. Non una preghiera comune. Pose alcune condizioni, tra cui quella che nessuno sapesse dell’eventualità se non lo stretto entourage papale. Era un’occasione di rilievo. Quello che invece mi colpì fu la poca fretta dell’entourage di Benedetto nel rispondere, mentre l’incontro con Kirill mi pareva un segnale forte in un periodo di crisi del pontificato. Si sarebbero dovute parlare presto le delegazioni di Mosca e del Vaticano, ma c’era una strana lentezza da parte di Roma. L’incontro tra i delegati slittò proprio all’11 febbraio 2013, contemporaneamente al concistoro in cui Benedetto XVI si dimise. Era ormai chiaro il motivo della lentezza romana. Una porta si chiudeva e il pontificato di Francesco sembrava inizialmente suscitare pochi entusiasmi a Mosca.
Invece, tre anni dopo le dimissioni di Benedetto, il 12 febbraio, Kirill e Francesco s’incontreranno nell’aeroporto dell’Avana, mentre il papa è diretto in Messico e Kirill visita l’isola. C’è stata un’opera sistematica di contatti tra Roma e Mosca. Il braccio destro del patriarca, Ilarion, ha parlato spesso con il papa. Non ci sono stati intermediari e la parte vaticana si è vista più volte riservatamente con i russi a Roma, a Mosca e all’Avana. Protagonisti vaticani sono stati il card. Koch per gli aspetti ecumenici e Alberto Gasbarri che felicemente da anni cura la regia dei viaggi papali. L’ipotesi è maturata lentamente, ma il filo dei negoziati non si è mai spezzato. Era tenuto in mano dai due capi di Chiesa.
La crisi ucraina è stato un momento duro. Mosca è critica con la Chiesa ucraina greco-cattolica, schierata con Kiev. Ma Kirill sa bene come un avvicinamento con il papa aiuti a superare i problemi ucraini. Un punto di svolta sono state le parole di Francesco del febbraio 2015 sulla guerra in Ucraina: «Questa è una guerra tra cristiani, voi tutti avete lo stesso battesimo, state lottando tra cristiani, pensate a questo, a questo scandalo, e preghiamo tutti, la preghiera è la nostra protesta davanti a Dio in tempo di guerra». I russi ortodossi si sono resi conto che il papa è uomo di pace e non di parte. La diplomazia di Putin lo sa e tiene in considerazione il Vaticano.
Raúl Castro è felice di ospitare l’incontro a Cuba, dove i russi si sentono a casa. Qui Kirill ha consacrato la chiesa russa all’Avana antica. Il posto può apparire casuale. In passato si pensava a luoghi evocativi: a Bari (dov’è San Nicola venerato dai russi) o a Cipro. Per Francesco — l’ha dichiarato — andava bene ogni posto. L’incontro all’Avana ha l’aspetto di un esordio ad alto livello, che apre una nuova stagione di rapporti. Si stabilisce una comunicazione diretta che ormai non si può interrompere. Consiste in un colloquio di ben due ore tra i primati e nella firma di un significativo documento. È un fatto storico: lo si attendeva fin dal Vaticano II. Ma avviene fuori dall’Europa, quasi per significare che si volta pagina rispetto alle questioni del passato: un mondo nuovo per una nuova stagione di rapporti — ha dichiarato il russo Ilarion.
La Chiesa russa, la più grande tra quelle ortodosse, ha più di 150 milioni di fedeli e un’irradiazione nell’ex Urss e nel mondo, anche se il primato d’onore tra ortodossi è del patriarcato di Costantinopoli. A giugno si terrà il Concilio panortodosso a Creta, preparato da più di mezzo secolo. Kirill vuole vedere il papa prima di questo evento. Con l’incontro di Cuba, si completa il suo profilo di leader mondiale. Mentre si apre una fase di ricompattamento tra ortodossi con il Concilio, c’è una svolta nelle relazioni della più grande Chiesa ortodossa con Roma. Così le Chiese vivono una stagione di sostanzioso riavvicinamento, spinte dalla fine dei cristiani in Medio Oriente e dalle complesse sfide del mondo globale. Per papa Francesco, l’incontro dell’Avana è un vero successo. Il suo carisma e la pazienza del dialogo dei suoi collaboratori hanno aperto una porta che sembrava chiusa.
in “Corriere della Sera” del 6 febbraio 2016
 
 
L’abbraccio di Cuba
di Alberto Melloni
Le implicazioni e le conseguenze dell’incontro fra il vescovo di Roma, papa Francesco, e Kyril, patriarca di Mosca e di tutte le Russie, sono incalcolabili.
Primo frutto del concilio panortodosso convocato a Creta per giugno, l’evento ingigantisce ulteriormente la figura politica del Papa: ristabilendo l’armonia con la Cina e mostrando di avere una sua visione della Russia, la Chiesa ha spostato il baricentro del mondo.
Guardato con sufficienza dai dialogatori di mestiere, Bergoglio sta mostrando come il papato, che è stato parte o causa di tutte le divisioni cristiane, ha la “possibilità reale” (avrebbe detto il teologo Karl Rahner) di svolgere un ministero di unità reale, non se impone o camuffa il proprio potere, ma se è più “cristiano”: come i cristiani d’Oriente con cui ha una comunione profonda, come i cristiani della riforma con cui a novembre celebrerà Lutero come dono di Dio alle chiese. L’incontro di Cuba, tuttavia, è anche il futuro di un lungo passato, in cui Roma e Mosca si sono odiate, cercate, parlate. Una storia di cicatrici come quella del 1438-1439, quando ricattando Costantinopoli sotto la minaccia turca l’Occidente ottenne una sottomissione oltraggiosa ed effimera, sempre rifiutata da Mosca.
Una storia di utopie come quella di Soloviov, il teologo che a fine ’800 sperava in un’alleanza fra la teocrazia perfetta del papa e il perfetto assolutismo dello zar contro la modernità. Una storia di guerre come quelle combattute là dove polacchi e ucraini si sono illusi di avere pace creando una cintura cattolica attorno alla Russia.
Il Novecento moltiplica equivoci, slanci e fallimenti. Dal concilio di Mosca (1917), che restaura il patriarcato, alla decisione di Stalin (1945) di far eleggere un nuovo patriarca, dopo 20 anni di sede vacante, i cattolici non capiscono quasi nulla di Russia. Sulle prime s’illudono che il leninismo serva a domare un’ortodossia indocile e restituirla al papa (il “segreto di Fatima” sulla “conversione” della Russia nel 1917 viene letto così…). Poi mandano Michel d’Herbigny (un gesuita che sarà poi sconfessato) a consacrare vescovi clandestini, spazzati via dalle purghe staliniane.
Nel dopoguerra il sogno “unionista” (il “ritorno” delle chiese sotto l’autorità di Roma) non si spegne, mentre il soffio “ecumenico” (costruire l’unità come comunione di diversità riconciliate) è ancora condannato a Roma.
Così, mentre i poeti cantano un cristianesimo che respira con i “due polmoni”, d’Oriente e d’Occidente, i due polmoni diventano due “blocchi”: l’anticomunismo di Pio XII lo porta ad accettare la sovrapposizione tra il confine confessionale che divide i cristiani (con l’eccezione polacca) e il confine ideologico tra capitalismo e socialismo. Così che un’ortodossia martire viene confusa come una propaggine della propaganda sovietica. Sarà col concilio Vaticano II che le cose mutano. Il nunzio ad Ankara, monsignor Lardone, negozia con Kruscev la venuta di due delegati della chiesa russa al concilio nel 1962, che assisteranno il 7 dicembre 1965 alla solenne levata delle scomuniche che avevano aperto lo scisma tra cattolici ed ortodossi nel 1054. Col concilio e il post- concilio appaiono sulla scena uomini nuovi. A Roma il cardinale Willebrands, il negoziatore dottrinale, e il cardinale Casaroli, il diplomatico paziente, che lasciava che Wojtyla gli rimproverasse di credere all’immortalità del comunismo.
A Leningrado e Mosca il metropolita Nikodim — di cui l’attuale patriarca Kyril è stato collaboratore — non vedrà i frutti della sua semina: muore d’infarto, dopo l’udienza con Giovanni Paolo I (1978). Dopo il 1989 rinasce la “sintonia” tra Cremlino e Patriarcato, entrambi riservati davanti a un papa “polacco” e guidati da esigenze diverse: è questa divergenza che impedisce, per esempio, l’incontro tra Benedetto XVI e Alessio I, che sei anni fa sembrava si potesse fare all’abbazia di Pannonalma e che invece non si fece. Proseguì invece il dialogo teologico fra le due chiese.

Da quel dialogo sono emersi i volti e i ruoli che hanno reso possibile l’annuncio di ieri. Kyril, allora capo del dipartimento della relazioni esterne, è ora patriarca. Il metropolita Hilarion, i cui conflitti teologici con Costantinopoli hanno pesato sul dialogo ortodosso-cattolico, lo ha rimpiazzato. Accanto a Francesco e al cardinale Parolin c’è il cardinale svizzero Kurt Koch e un giovane teologo come Hyacinthe Destivelle, che conosce e ama la Russia; e a Roma è venuto come ambasciatore presso la Santa Sede Avdeev, autorevole ex ministro del governo russo. Al Cremlino è andato Romano Prodi a spiegare chi è Francesco: ed è stato ascoltato. A Cuba si raccoglie il lavoro loro e di altri. Quello della comunità di Bose di Enzo Bianchi, che da anni insegna che l’oriente lo si capisce se lo si ama, mai viceversa. Quello dell’arcidiocesi di Firenze del cardinal Betori che nel 2012, mandò a Mosca una Madonna di Giotto della diocesi e, grazie all’impegno di Giorgio Napolitano e Dmitri Medvedev e Matteo Renzi, portò a Firenze, in Battistero, tre icone di cui una di Rublev, esposte per la prima volta dal 1917 alla venerazione dei fedeli cattolici e ortodossi. Era il segno che nel silenzio che serve all’adorazione delle icone non c’è solo un’usanza rimasta comune alle due chiese, ma la riprova di una comunione. Allora espressa da opere d’arte di infinita intensità spirituale: ma che domani potrebbe esprimersi in icone ancora più significative. Come la Sindone che potrebbe andare a Mosca come gesto di amore ad una chiesa che non la guarda come “reperto”, ma come madre di tutte le icone, segno della visibilità della carne di Cristo, su cui si fonda l’unità della chiesa. Che è il contenuto più semplice e più alto di quello che da venerdì prossimo chiameremo “l’abbraccio di Cuba”.
in “la Repubblica” del 6 febbraio 2016
 
 
Francesco e Kirill sul ponte cubano delle chiese
di Massimo Faggioli
L’annuncio congiunto dato dal Vaticano e dal Patriarcato di Mosca dell’incontro tra papa Francesco e il patriarca Kirill conferma la statura mondiale del papa argentino. Un gesuita che non amava viaggiare e che si pensava avesse una conoscenza limitata del mondo globale, sta facendo avanzare sogni di unità tra le chiese cristiane e tra le religioni. Il primo incontro nella storia di un papa di Roma col patriarca di Mosca, dopo quasi mille anni di scisma, si inserisce in un vasto disegno di papa Francesco: solo in questi ultimi giorni sono venuti gli annunci del viaggio il prossimo ottobre del papa in Svezia per i 500 anni della Riforma protestante e i messaggi di apertura alla Cina. I due leader delle chiese, Francesco e Kirill, provengono da storie diverse e da mondi diversi, ma hanno di fronte situazioni simili, tra cui la sorte dei cristiani in Medio Oriente (che tocca cattolici e ortodossi in maniera simile), e una situazione di chiesa in cui il richiamo alla collegialità e conciliarità ha assunto un ruolo forte (i due Sinodi dei vescovi di Francesco del 2014 e 2015, e il grande Sinodo di tutte le chiese ortodosse che si terrà a Creta nel giugno prossimo).
Da una parte l’incontro di Cuba è importante perché rivela una dimensione fondamentale del pontificato: l’intreccio tra teologia e diplomazia – quello che il direttore della rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica Antonio Spadaro ha chiamato, in un importante articolo uscito qualche giorno fa, “La diplomazia di Francesco. La misericordia come processo politico”.
Francesco è un papa leader politico globale come Giovanni Paolo II, ma che al contrario di Giovanni Paolo II fa leva sulla sua distanza dalla politica italiana per mantenere una visione più ampia delle priorità del cattolicesimo globale. Al contrario di Benedetto XVI, invece, Francesco non teme le contaminazioni del processo politico e non teme di rischiare quando sono in gioco le grandi forze su uno scacchiere mondiale che non ha leader politici veri. Alla crisi della politica globale giocata tra gli stati oggi corrisponde un protagonismo della dimensione religiosa: il dialogo tra religioni assume quindi un ruolo chiave nel comprendere questa fase storica internazionale, e il papato come particolare e unica espressione istituzionale del cattolicesimo ha un ruolo centrale in questo protagonismo. Ma questo protagonismo di Francesco è anche uno dei lasciti della teologia del Concilio Vaticano II, evento-chiave della storia della chiesa moderna che Francesco ha celebrato scegliendo di aprire il Giubileo della misericordia a cinquanta anni esatti dalla conclusione dell’assise: il Vaticano II ha rilevanza politica perché evidenzia il legame tra la teologia di una chiesa, la sua proiezione ecumenica, e il suo ruolo sullo scacchiere mondiale. La ripresa teologica del Vaticano II da parte di Francesco non è priva di conseguenze sulla proiezione pubblica della chiesa.
Dall’altra parte di particolare fascino nell’annuncio è lo scenario in cui avrà luogo l’incontro. Al contrario delle ipotesi avanzate negli ultimi anni, non sarà Vienna (uno dei teatri della Ostpolitik novecentesca) né un monastero dell’Europa orientale (adatto alla teologia monastica del dialogo con l’ortodossia di Benedetto XVI). Avverrà a Cuba, assurta negli ultimi mesi a luogo-chiave per la geopolitica vaticana: punto di partenza per il viaggio negli Stati Uniti, e ponte tra la chiesa di Roma e la più importante chiesa ortodossa. Incontrare il patriarca Kirill a Cuba significa non solo la neutralità dell’isola caraibica rispetto all’identità geopolitica delle due chiese, ma anche riconoscere la globalità della chiesa ortodossa (che arrivò a Cuba ben prima dei comunisti di Castro).
Questo passo in avanti storico nelle relazioni tra le due chiese fa parte della vocazione di questo papa a una nuova comprensione della globalità della chiesa e della sua collocazione rispetto agli altri attori nel mondo globale. Una riforma del papato come quella in corso sotto Francesco ha conseguenze che vanno ben al di là della destinazione d’uso dell’appartamento papale.
in “l’Huffington Post” del 5 febbraio 2016