A quasi cinquant’anni dalla sua scomparsa don Lorenzo Milani, prete degli ultimi e straordinario italiano, tante volte rievocato ma spesso frainteso, non smette di interrogarci.
Eraldo Affinati ne ha raccolto la sfida esistenziale, ancora aperta e drammaticamente incompiuta, ripercorrendo le strade della sua avventura breve e fulminante: Firenze, dove nacque da una ricca e colta famiglia con madre di origine ebraica, frequentò il seminario e morì fra le braccia dei suoi scolari; Milano, luogo della formazione e della fallita vocazione pittorica; Montespertoli, sullo sfondo della Gigliola, la prestigiosa villa padronale; Castiglioncello, sede delle mitiche vacanze estive; San Donato di Calenzano, che vide il giovane viceparroco in azione nella prima scuola popolare da lui fondata; Barbiana, “penitenziario ecclesiastico”, in uno sperduto borgo dell’Appennino toscano, incredibile teatro della sua rivoluzione. Ma in questo libro, frutto di indagini e perlustrazioni appassionate, tese a legittimare la scrittura che ne consegue, non troveremo soltanto la storia dell’uomo con le testimonianze di chi lo frequentò. Affinati ha cercato l’eredità spirituale di don Lorenzo nelle contrade del pianeta dove alcuni educatori isolati, insieme ai loro alunni, senza sapere chi egli fosse, lo trasfigurano ogni giorno: dai maestri di villaggio, che pongono argini allo sfacelo dell’istruzione africana, ai teppisti berlinesi, frantumi della storia europea; dagli adolescenti arabi, frenetici e istintivi, agli italiani di Ellis Island, quando gli immigrati eravamo noi; dalle suore di Pechino e Benares, pronte ad accogliere i più sfortunati, ai piccoli rapinatori messicani, ai renitenti alla leva russi, ai ragazzi di Hiroshima, fino ai preti romani, che sembrano aver dimenticato, per fortuna non tutti, la severa lezione impartita dal priore.
Descrizione
Titolo L’ uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani
Autore Affinati Eraldo
Prezzo € 18,00
Anno  2016
Pagine 177, brossura
Editore Mondadori
 
 
Tutti i don Milani del mondo, 
di Elisabetta Rosaspina,
Se n’è andato per il mondo, «a cercare tutti i don Milani — spiega —. Tutti coloro che mettono in pratica quella lezione». Ma forse il fatto più sorprendente è che li abbia trovati davvero: a Benares, a Pechino, a Volgograd, in Gambia, a Città del Messico, a New York, a Berlino. E anche dentro se stesso ma, questo, Eraldo Affinati tutt’al più lo lascia intendere.
Ha incontrato i don Milani di oggi, ed è andato a risvegliare il don Lorenzo di ieri, scomparso quasi cinquant’anni fa e già un po’ appannato nella memoria collettiva. Ne ha ascoltato gli ultimi allievi, ne ha visitato i luoghi d’infanzia e di maturità, ne ha ripercorso i sentieri «come un rabdomante che cerca di resuscitare le energie — sorride di sé lo scrittore e insegnante —. Perché ci sono spazi magnetici, luoghi che possono essere avvicinati soltanto secondo categorie religiose. Esempi? I primi che mi vengono in mente: Auschwitz e Hiroshima».
In questo caso, anche Barbiana. E Castiglioncello. E il quadrilatero d’oro di Milano. O la periferia di Firenze. Soprattutto Montespertoli, «una delle stazioni di partenza di Lorenzo», la superba tenuta di campagna della famiglia, oggi un agriturismo: «Avevi letto i libri, preso atto delle biografie, consultato gli archivi, scorso gli elenchi di titoli, interrogato i testimoni — si dice Affinati —; ma se non fossi venuto a Montespertoli, se non avessi visto questi poderi, sentito questo profumo di fiori, fotografato il cipresso al quale Laura Milani, la nonna letterata, dedicò perfino una poesia, non avresti capito il viaggio intrapreso da don Lorenzo verso le strade storte, i tetti sfondati, il fango rappreso, le porte rotte, le stanze fredde, i sandali bucati, la vita senza parole, le croste sui ginocchi dei bambini balbuzienti».
Bisogna andare sul posto, vedere per capire. O almeno tentare. Vale per i giornalisti, vale per gli scrittori. Se Barbiana, con la sua scuola, è diventata negli anni «il luogo del culto», dove tutto pare essere stato spiegato, Montespertoli racchiude ancora quasi intatto il mistero della vocazione del «Signorino», che non si perdonò mai di essere nato benestante e borghese. E se davvero soffrì, come ipotizzava Indro Montanelli, di «un complesso d’inferiorità nei confronti del proletariato», seppe come riscattarsi. «Un grande miracolo sta avvenendo in questa stanza: un cammello passa nella cruna di un ago» avrebbe detto don Milani ai suoi allievi, un paio di giorni prima di spirare.
Il frutto del lungo pellegrinaggio di Affinati «sulle strade di don Lorenzo Milani», e dei suoi imprevedibili peregrinaggi in quattro continenti alla ricerca degli inconsapevoli eredi spirituali, sono 180 pagine, appena pubblicate da Mondadori, sotto un titolo che suona pieno di fiducia e ottimismo: L’uomo del futuro .
Il priore quarantenne che, poco prima di morire, disse a un cardinale, il cardinale Ermenegildo Florit, in risposta alla disapprovazione del prelato per il suo fervore sociale, «lo sapete, eminenza, che differenza c’è fra me e lei? Io sono avanti di cinquant’anni», non peccava di presunzione, perché era già nell’avvenire e sapeva vedere perfino oltre il mezzo secolo.
«Don Milani ha anticipato tante idee, tanti avvenimenti — testimonia l’autore della meditata biografia —. Lo si capisce guardando la sua foto con un bambino congolese in braccio, leggendo quanto aveva scritto nella sua Lettera a una professoressa.
Oggi i ragazzi di Barbiana vengono dall’Africa, dal Medio Oriente. Lorenzo poteva immaginare che li avremmo accolti così? Sì, avrebbe potuto sospettarlo. Era l’uomo del futuro soprattutto perché aveva sognato una scuola che oggi stentiamo ancora a realizzare, ma cui non possiamo rinunciare. È la scuola del maestro che si mette in gioco e guarda negli occhi il suo scolaro. Uno a uno. Irrealizzabile? No, ho viaggiato molto nelle scuole italiane e tanti professori lavorano così».
Ha viaggiato molto l’anno scorso, Affinati, anche per trovare una nuova sede alla sua, di scuola. Chilometri e chilometri, senza uscire da Roma, di chiesa in chiesa, collezionando una serie di «no», decisi, desolati, imbarazzati, sempre irremovibili. Lo racconta nell’ultimo capitolo del suo libro: sembrava non esserci spazio nelle parrocchie romane per la Penny Wirton, la scuola di italiano per immigrati, quattro ore di lezione a settimana. Tutto il corpo insegnante è volontario, integrato da liceali che svolgono così il tirocinio attivo previsto dalla riforma scolastica: «Hanno 16 o 17 anni. Insegnano l’alfabeto e il verbo essere agli Omar, ai Faris — racconta Affinati —. Quando li vediamo trasformarsi, passare dal timore alla conoscenza reciproca, lì sentiamo don Milani». Il lieto fine arriva dopo l’ultima pagina: «È stato il liceo scientifico statale Keplero a offrirci infine sette aule nel pomeriggio». L’uomo del futuro avrebbe previsto anche questo.
in “Corriere della Sera” del 5 febbraio 2016