Il contenuto
Se tra mille altruisti nascesse un egoista, alla lunga sarebbe lui a vincere: tutti si prodigherebbero anche per il suo bene mentre lui non sprecherebbe le proprie energie per gli altri. Col tempo diventerebbe il più forte del suo gruppo e nella competizione per la vita trionferebbe, facendo più figli, che a loro volta erediterebbero il suo egoismo, propagandolo ulteriormente. L’altruismo si estinguerebbe in fretta dalla faccia della terra.
Invece l’altruismo c’è, nell’uomo come negli animali. Come spiegare questo dilemma?
David Sloan Wilson è il biologo che ha dato una risposta a questo antico rompicapo evoluzionistico (ma anche sociale e politico). Inutile e fuorviante concentrarsi sulla definizione di «altruismo»: qui si parla in maniera non equivoca di azioni altruistiche e non di pensieri o sentimenti altruisti, ben difficili da definire. Un’azione è altruistica se non avvantaggia chi la compie (o addirittura lo danneggia) mentre avvantaggia chi la riceve. Per anni si è tentato di dare una spiegazione a questo comportamento apparentemente autolesionista negandone di fatto l’esistenza: un atto a prima vista altruista veniva analizzato dal punto di vista del gene (un gene «egoista», appunto), per mostrare che in realtà non è tale; vista con gli occhi del gene, la morte di un individuo può essere vantaggiosa se altre copie identiche dello stesso gene sopravviveranno in altri individui. E pazienza per chi muore.
È in questo contesto che si situa la pluridecennale ricerca di Wilson, che viene qui esposta per la prima volta al pubblico non specialistico. La risposta, seguendo la logica stringente dell’autore, sta nella selezione multilivello: non sono solo i geni che si trovano a dover combattere una lotta darwiniana, ma anche le cellule, i singoli individui, le popolazioni e le specie intere. La selezione colpisce a tutti i livelli, e se è vero che all’interno di ciascuna categoria vince l’egoismo, è anche vero che la lotta tra le categorie fa invece vincere l’altruismo. Un soldato egoista dentro un esercito rischia meno degli altri, ma un esercito che può contare su molti soldati altruisti è più forte di un altro esercito composto esclusivamente da egoisti. Detto altrimenti: «L’egoismo batte l’altruismo all’interno di un gruppo. Ma i gruppi altruisti battono i gruppi egoisti. Tutto il resto è commento».
 
L’autore
David Sloan Wilson (1949) è docente di Biologia e Antropologia presso la Binghamton University, State University of New York. È tra i principali promotori della controversa teoria della selezione multilivello (o selezione di gruppo), una visione alternativa alla predominante teoria genocentrica nelle scienze dell’evoluzione. Oltre a numerosi interventi specialistici, Wilson ha pubblicato tra l’altro Darwin’s Cathedral. Evolution, Religion, and the Nature of Society (2002), Evolution for Everyone. How Darwin’s Theory Can Change the Way We Think About Our Lives (2007), The Literary Animal. Evolution and the Nature of Narrative (con Jonathan Gottschall, 2005) e Unto Others. The Evolution and Psychology of Unselfish Behavior (con Elliott Sober, 1999). Con questo libro, l’autore viene pubblicato per la prima volta in Italia.
 
Descrizione
Titolo L’altruismo. La cultura, la genetica e il benessere degli altri
Autore  David Sloan Wilson (
Genere psicologia
Prezzo € 19,50
Editore Bollati Boringhieri
Collana:Saggi
Data 18/06/2015
Pagine 140
EAN:9788833926667
 
“L’evoluzione della nostra società non può fare a meno dell’altruismo”
di Claudio Gallo
Da qualche decennio in Occidente il paradigma individualistico ha cancellato qualsiasi alternativa. In un’intervista del 1986, Margaret Thatcher semplificava con grande efficacia: «La società in quanto tale non esiste. Ci sono individui, uomini e donne, e ci sono le famiglie». La citazione della famiglia era destinata a scolorirsi presto. Come la intendeva lei, era pur sempre l’unità arcaica da cui i filosofi classici fanno nascere la società: nella visione del mondo vittoriosa sarebbe diventata una reliquia, utile soltanto a far presa sull’elettorato più conservatore in tempi di elezioni.
Più facilmente osservabile in politica, lo spirito dei tempi aleggia su tutte le forme del sapere, anche sull’apparentemente asettica scienza. In L’Altruismo. La cultura, la genetica e il benessere degli altri (Bollati Boringhieri, pp. 162, €19,50), il genetista americano David Sloan Wilson sceglie di andare controcorrente, criticando in modo relativamente semplice e divulgativo la concezione maggioritaria.
Wilson insegna in un paio di università americane, è uno dei principali alfieri della teoria della selezione di gruppo (multilivello), una visione che mette in discussione la teoria genocentrica predominante. Il processo di selezione naturale cioè, non avverrebbe soltanto a livello individuale ma anche a livello di gruppo. Con le sue parole: «All’interno di un gruppo l’egoismo batte l’altruismo. I gruppi altruisti battono i gruppi egoisti». La realtà non sarebbe, dunque, solo un conflitto di individui o il misterioso coordinamento di monadi ossessionate dal tornaconto personale, ma una ben più complessa relazione tra il livello individuale e quello sociale, dove l’altruismo diventa cruciale.
Questo modo di pensare lo sviluppo degli organismi viventi mette in crisi l’«individualismo metodologico» che informa i saperi del nostro mondo, in particolare l’economia. Generalizzando, l’attuale motto dei partiti politici occidentali, da destra a sinistra, «non possiamo non dirci liberali» ignora un cruciale aspetto evoluzionistico, colto invece dal «sorpassato» socialismo. Ovviamente, una critica simmetrica si applica a un mondo soltanto collettivo, dove l’impulso individuale viene svalutato. Ciò che conta, secondo l’autore, è il rapporto dinamico (dialettico?) tra i due livelli, individuale e sociale, dove l’altruismo mostra la sua efficacia.
Wilson, insieme con alcuni economisti, ha cercato di mettere a punto una sintesi tra la sua concezione dell’evoluzione e la scienza economica. Una visione che rivaluta la generosità. In questa prospettiva Adam Smith avrebbe torto. «Non ci aspettiamo la nostra cena dalla benevolenza del macellaio, del birraio, del fornaio – scriveva il padre del liberalismo nella Ricchezza delle nazioni – ma dal loro attaccamento al proprio interesse».
La famosa Mano Invisibile (In realtà, l’espressione compare soltanto tre volte nelle opere di Smith), il meccanismo del mercato che compone magicamente gli egoismi individuali in un superiore interesse generale, non avrebbe le basi naturali attribuitegli dai suoi seguaci, ma sarebbe soltanto un mito.
Durante l’evoluzione, ammette Wilson, si è formata nell’uomo una capacità di collaborazione di gruppo in grado di operare senza che gli individui ne siano coscienti. Quindi, una sorta di mano invisibile esiste ma l’evoluzionista contesta che il suo motore inconsapevole sia l’avidità. «L’errore fondamentale – scrive – fu ipotizzare che questo tipo di auto-organizzazione possa derivare dalla semplice nozione di interesse egoistico (…) ci sono volute centinaia, se non addirittura migliaia di anni di evoluzione culturale per selezionare i processi di auto-organizzazione che funzionano, veri e propri aghi nel pagliaio dei processi di auto-organizzazione che non funzionano!».
L’evoluzionismo multilivello di Wilson non è certo la prima critica all’idea di una società «naturalmente» mossa dall’interesse personale. Tra gli antesignani c’è il sociologo francese Marcel Mauss che poneva alla base della convivenza non l’avidità ma il dono, secondo l’antica articolazione di «dare, ricevere e contraccambiare». Le sue idee, aggiornate, guidano oggi la rivista francese M.a.u.s.s. su cui scrivono, tra gli altri, Alain Caillé, Serge Latouche, Jean-Claude Michéa. Lo storico dell’economia Karl Polanyi ricordava in La Grande Trasformazione (1944) che la visione della psicologia economica dell’uomo primitivo di Adam Smith è «falsa quanto la psicologia politica roussoviana del selvaggio».
Nel nostro mondo, dove l’iper-velocità di dati ed eventi illimitati è percepita come stagnazione in un eterno presente, la lettura del libro di Wilson è un salutare invito a pensare in modo diverso. Un modo nuovo ma allo stesso tempo antico, come dimostra la sopravvivenza secolare delle grandi religioni.
in “La Stampa” del 24 gennaio 2016