Il discusso disegno di legge sulle unioni civili sollecita a risalire gli antichi tornanti che conducono ad Albiano, nel castello dove risiede l’ultimo testimone episcopale piemontese e italiano del Concilio.
Monsignor Bettazzi, in che cosa consistono i suoi Dico?
«I Dico. Ovvero la proposta di Romano Prodi, un cattolico adulto. Lo Stato non può non riconoscere l’atteggiamento positivo di due individui, il bene che testimoniano, siano eterosessuali o dello stesso sesso. L’amore è una realtà così alta e così profonda che va innalzata».
Come accolse il mondo ecclesiale il suo «pro Dico»?
«Non osannandolo. Anzi. Si riverberarono allora le critiche che avevo acceso nel 2005, quando, distinguendomi da Ruini, asserii che non bisognava boicottare i referendum sulla bioetica. Occorreva votare, non abdicare al ruolo di cittadini».
Il parlamentare cattolico come deve comportarsi quando si voterà la legge sulle unioni civili?
«Io mi considero vescovo e laico. Il mio compito è duplice: aprire al mondo sovrannaturale e, insieme, operare affinché i fedeli siano cittadini corretti, in grado di laicamente, autonomamente, tradurre i principi religiosi».
Alcuni movimenti cattolici (dai neocatecumenali ai focolarini) starebbero rinsaldando le fila per osteggiare le unioni civili. Di family day in family day. Un muro contro muro. Una costante, dal divorzio all’aborto. Non c’è una diversa via?
«Rispetto i movimenti. Nei movimenti ci si forma, dopo di che ci si cala nella vita civile non in forma di schieramenti, di legioni, di antagonisti. Occorre – qui la sfida – dimostrare laicamente che i propri valori sono un sicuro ponte verso il futuro, verso l’uomo, magari il migliore».
Il disegno sulle unioni civili contempla la stepchild adoption: un membro della coppia può essere riconosciuto come genitore del figlio, biologico o adottivo, del compagno o della compagna. Non si «battezza» così la famiglia omosessuale?
«Il bene del bambino su tutto. Si dovrà valutare caso per caso, sfarinando ogni egoismo. Distinguendo sempre dal matrimonio che porta – come dice il nome – al “compito della madre”».
Un tempo nella Chiesa italiana svettava l’espressione «valori non negoziabili»…
«L’unico valore non negoziabile è la solidarietà. Se siamo nati è perché due individui si sono aperti l’uno all’altro, se siamo cresciuti è perché non ci sono state lesinate cure, attenzioni, sensibilità. Come affermava monsignor Tonino Bello: “Dio non è l’assoluto dell’individuo, ma l’assoluto della comunione”».
Il cardinal Martini – un monito che la questione «unioni civili» riconduce alla memoria – invitava la Chiesa, anche sui temi che «riguardano la vita e l’amore», ad ammettere «i propri errori e la limitatezza delle sue vedute». Quali errori?
«Una volta si diceva ai fidanzati: la sessualità sia unicamente in funzione della procreazione. Mentre è espressione dell’amore. Gli ortodossi non raccomandano forse di non entrare nelle camere da letto?
Espressione dell’amore: in tal senso interpreto le parole di papa Francesco: “Chi sono io per giudicare un omosessuale”?».
Lei nonagenario. Non è tempo di bilanci?
«Già. Sto scrivendo la mia autobiografia».
Il momento più bello della sua esistenza?
«L’ho capito in seguito, avanzando nelle stagioni: il Concilio».
Il più complesso?
«Quando attraverso il suddiaconato mi orientavo decisamente verso il sacerdozio. Il celibato come scoglio».
Lo supererà la Chiesa?
«O prima o poi. C’è in Calabria, per esempio, una comunità cattolica di rito orientale in cui i preti non possono sposarsi, ma si può ordinare sacerdote chi è sposato. Un’opportunità in più, no? Perché negarla?».
«Non praevalebunt». Come interpreta la certezza di Cristo?
«È la mia certezza. Il Male non prevarrà se saremo coerenti e avremo pazienza. La pazienza della fede e la pazienza della Storia».
a cura di Bruno Quaranta, in “La Stampa” del 13 gennaio 2016