Il sottile confine tra la vita e la morte è l’orizzonte in cui si colloca il racconto in prima persona della degenza in ospedale dell’autore, disabile grave. La relazione con il personale sanitario, l’arduo cammino verso un ascolto reciproco, le scelte drammatiche prese in pochi minuti, l’autocomprensione di sé sono lo sfondo per una narrazione sospesa tra il buio e la luce, densa di sentimenti, capace di arrivare al cuore dell’esistenza di ognuno. Una testimonianza profonda e coinvolgente di una particolare “guarigione”, giunta inaspettata affrontando con tenacia le avversità, accettando con serenità i propri limiti. “Aggiungere qualcosa a questo libro mi sembrerebbe quasi di profanarlo: non ci si può entrare completamente dentro e si è costretti a rimanere all’esterno di un’esperienza che viene qui offerta in condivisione come un pane spezzato per altri. Non c’è nulla che non ci tocchi tutti nell’analisi della crisi tra il corpo martoriato e lo spirito, tra gli affetti, i rapporti con i medici, gli operatori e le stesse strutture ospedaliere. È quindi un servizio che viene donato ma che va ripreso da ogni lettore in una diversa situazione di vita e di morte, di resistenza soprattutto, non al male esterno, ma alla stessa condizione umana.” (Paolo Prodi)
 
Informazioni
Titolo Guarigione. Un disabile in codice rosso
Autore Cattani Piergiorgio
Prezzo € 15,00
Dati 2015, 176 p.
Editore Il Margine (collana Orizzonti)
 
 
Da Cattani una lezione trasversale
di Giorgio Jellici

Non so, forse ce ne sono altri di libri come «Guarigione – Un disabile in codice rosso», di Piergiorgio Cattani, uscito di recente, editrice Il Margine, 164 pagine. Forse ce ne sono altri, ma io non ne ho mai letto uno così. Dato il contenuto poco divertente, il libro non sembra destinato a divenire un best seller. Però ha tutti i requisiti per essere un classico. Un testo dal quale non si potrà più prescindere parlando dell’ “umanità dolente” ricoverata in ospedale, in particolare dei disabili e del personale ospedaliero.
Dico subito, per menzionarne una qualità meno importante, che la prosa di Cattani è elegante, incisiva, non una parola di troppo, precisa come i bisturi del suo racconto. Talvolta d’una crudezza estrema: «Sono pelle e ossa e di norma i medici non capiscono come riesca a sopravvivere», oppure: «Il paziente viene considerato poco, il paziente disabile nulla» (Cattani, giusto ricordarlo, è affetto dalla distrofia muscolare di Duchenne. «Eppure vivo. Dopo la laurea continuo a studiare. Lavoro. Guadagno. Pago le tasse. Ho molte relazioni. Come tanti, come tutti. E come tutti sono diverso». Ha scritto parecchi libri ed è editorialista di alcuni giornali).
Anche nei passaggi più drammatici il suo discorso è velato d’ironia: «”ospedale inospitale”, il colmo dei giochi di parola» e carico d’umanità: «… a pochi centimetri dal precipizio», con febbre altissima, brividi «dalla testa ai piedi …non sappiamo che fare… chiedo alla mia mamma di starmi vicino». E più avanti: «Se non ci fosse stata la mia mamma che, come d’abitudine, mi ricordava le preghiere serali, in ospedale avrei anche dimenticato Dio».
Il libro «Guarigione» in realtà è composto da due libri.
Uno è la cronaca dei successivi ricoveri in ospedale (Santa Chiara di Trento) nel giro di pochi mesi: cardiologia, rianimazione, pneumologia, neurologia. Il rapporto dettagliato, come un giornale di bordo, delle giornate in balia degli standards ospedalieri, che non conoscono individui, e del personale, spesso non all’altezza della sua missione, medici compresi: «In ospedale ci vai perché stai male e il primo impatto è traumatico».
Al capezzale del paziente Cattani, non idoneo alle “procedure standard”, passiamo momenti drammatici, «pressione massima 43, minima non pervenuta. Shock settico… Sono storto da tutte le parti, c’è il rischio che mi buchino un polmone…».
Viviamo l’incubo di arresti cardiaci e dilemmi clinici da risolvere in pochi minuti. Registriamo «le brutali parole di una giovane – e barbara – infermiera», e ne incontriamo un’altra che «con piglio da caporale, sorda alle mie richieste, quasi con gioia, preme con forza sullo stantuffo della siringa». Assistiamo alla prassi di «far uscire dalla stanza del paziente i parenti quando i medici sono di visita» (Albert Schweitzer praticava diversamente) e al problema dei medici che si devono «premunire dalle possibilità di denunce… La valutazione “caso per caso” svapora nella logica standardizzata delle procedure. E il paziente subisce».
E constatiamo che purtroppo gli ospedali sono sprovvisti di strutture specifiche per disabili, che gli “standard adeguati ai disabili” sono rari.
E Cattani conciliante: «Bisogna comprendere lo stress a cui sono sottoposti infermieri e medici, il cui numero viene sempre più contingentato con il conseguente aggravamento del ritmo di lavoro». L’altro libro è un saggio, una riflessione del filosofo Piergiorgio Cattani sull’odissea vissuta in ospedale: «Questo libro, in fin dei conti, vorrebbe essere una personale meditazione sulla vita e sulla morte. La situazione limite dell’ospedale diventa una metafora dell’esistenza di ciascuno …», nel susseguirsi di situazioni che tolgono il fiato: «Quando la morte ti sfiora con la sua fredda mano…». Con stoica dignità conclude Cattani: «Ho cercato di rielaborare una stagione molto tempestosa della mia vita… di dare una testimonianza di vita per la vita… un lascito in grado di far capire come si possa imparare dalle avversità».
Qualità letteraria a parte, il racconto di Cattani è un documento raro, di valore inestimabile, scritto da chi ha vissuto «un’esperienza limite».
Una testimonianza che sta al mondo degli ospedali come “Se questo è un uomo” di Primo Levi sta ai campi di sterminio o “Arcipelago Gulag” di Solženicyn ai lagher sovietici.
Insomma: un classico. Nonostante il suo realismo e la schiettezza impressionante, esso è anche l’inno alla vita d’un uomo provato nel corpo, ma «con tutte le forze ancorato alla vita». Un «disabile patentato», ma lottatore nato, che non molla: «… ce la farò anche questa volta!», scrive Cattani. E aggiunge: «Ho anche espresso giudizi netti su quanti non mi sono sembrati all’altezza del compito, incapaci di trattare in maniera adeguata un disabile grave: l’ho fatto però senza acrimonia, e senza spirito di rivalsa, ma solo affinché certi comportamenti non si ripetano…».
È difficile capire come l’autore abbia potuto annotare con tanta precisione gli istanti della sua via crucis.
E nemmeno si capisce come questo corpo martoriato abbia trovato l’energia per resistere a tanti attacchi mortali nel giro di pochi mesi e agli standads ospedalieri che non prevedono casi particolari.
E ancor meno si capisce come egli, dopo tante sofferenze – cui nemmeno Giobbe fu sottoposto – possa ancora essere credente. Anzi: sentirsi «amato da Dio». Il suo rimuginare è simile a quello di Yossl Rakover, che nel buio, sotto le macerie del ghetto di Varsavia, si sente «una scintilla della Tua luce, della Tua bontà».
La spiegazione? È semplice: Piergiorgio Cattani sarà anche «uno scheletro che parla» (come egli si definisce con il solito sarcasmo), ma intellettualmente e spiritualmente è un gigante. Una personalità dotata di risorse pressoché sovrumane. E proprio per entrare in contatto con lo straordinario protagonista di questa «Guarigione», il suo libro dovrebbe essere letto da tutti. E naturalmente divenire testo d’esame d’ammissione per l’intero personale ospedaliero…
in “Trentino” del 30 dicembre 2015