La salvaguardia dell’ambiente richiede una riflessione strutturata a livello di Chiesa italiana e deve essere inserita nella pastorale integrata. Monsignor Filippo Santoro parte dal “laboratorio” della sua diocesi e indica delle linee di azione: “E’ un tema che non può più essere eluso o passare inosservato, soprattutto dopo l’enciclica ‘Laudato si’”.
“Sul tema della custodia del creato è necessaria e urgente una riflessione perché si tratta di un tema che non può più essere eluso o passare inosservato, soprattutto dopo l’enciclica “Laudato si’”. Si tratta di uno dei “punti costitutivi della pastorale di una Chiesa in uscita come la vuole Papa Francesco”. Ne è convinto monsignor Filippo Santoro, arcivescovo metropolita di Taranto e presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia, la pace e la custodia del creato. Nei giorni scorsi il presule ha presieduto la prima riunione della Commissione Cei e ha partecipato alla Consulta nazionale degli Uffici per i problemi sociali e il lavoro.
 
“L’attenzione all’ecologia integrale – spiega – fa parte della rivoluzione innescata dal Papa nel rapporto della Chiesa con il mondo, con la realtà, con i poveri. E’ Francesco a chiederla”.
Per questo occorre “un impegno su un doppio binario: educativo e pratico”. Il presule richiama l’esperienza della sua arcidiocesi, nella quale le linee pastorali dell’Anno 2015 – 2016 sono ispirate a tre temi “interconnessi”: la misericordia, collegata al Giubileo; la famiglia, legata al Sinodo; la custodia del creato rilanciata dall’enciclica “Laudato si”’. Occorre “far diventare la custodia del creato un’estensione della carità, del rapporto che dobbiamo avere con gli altri, in particolare gli ultimi. Come affermano la Conferenza di Aparecida e la ‘Laudato si’,
 
il grido della terra e il grido dei poveri procedono insieme”.
Laboratorio di idee. Mons. Santoro guida l’arcidiocesi pugliese da tre anni e mezzo e già al secondo anno del suo mandato ha costituito una Commissione diocesana per la custodia del creato. Una sorta di laboratorio di idee e azioni concrete guidato da un vicario episcopale, che riunisce persone provenienti da parrocchie, movimenti, associazioni per la tutela dell’ambiente, che si incontrano regolarmente per indicare “prospettive di sviluppo per far crescere la sensibilità in materia” e “individuare risposte alla particolare situazione che viviamo qui a Taranto”. Per l’arcivescovo, questo tema costituisce
 
“una frontiera avanzata della missione e un terreno sui cui è possibile l’incontro con persone di altre o di nessuna fede religiosa”.
Custodia del creato e dignità della persona “si declinano insieme all’insegna del diritto di ognuno a condizioni di vita e di lavoro degne”.
A livello locale. Con riferimento alla situazione del capoluogo, mons. Santoro dice: “Da anni, di fronte al tempo che passa senza offrire risposte concrete, sollecito le istituzioni a livello centrale e regionale: quando c’è un cancro o si taglia o si cura”. Tre i punti su cui il presule chiede con insistenza un intervento risolutivo. Anzitutto l’adeguamento degli impianti del Siderurgico. “Attraverso il patto di stabilità, il governo ha deciso di investire sull’Ilva di Taranto circa 800 milioni con i quali è già possibile un’azione per ridurre significativamente l’inquinamento degli impianti. Se poi si riuscirà a recuperare il miliardo e duecento milioni di euro sequestrati dai magistrati di Milano alla famiglia Riva, si potrà pensare anche allo sviluppo di nuove tecnologie compatibili con la città e il territorio”. Impresa non impossibile sulla scorta di esempi quali la Voest Alpine di Lienz o le acciaierie coreane Posco. Ulteriore urgenza, la copertura dei parchi minerari , “un’estensione pari almeno a 14 stadi di calcio le cui polveri inquinanti arrivano in città nelle giornate di vento”. Infine la bonifica e la riqualificazione del territorio, chieste personalmente dal presule già nel 2013 all’allora ministro dell’Ambiente Orlando.
 
“La pazienza della gente – dice – sta per esaurirsi”.
A livello nazionale. “In Commissione Cei – prosegue – a livello di Chiesa nazionale vedo che sono molte le situazioni da sanare, oltre a Taranto penso alla Terra dei fuochi o ai Comuni vittime di alluvioni e catastrofi naturali”. Mons. Santoro racconta che al convegno di Firenze il tema della custodia del creato è stato molto approfondito al suo “tavolo” sulla via dell’ “uscire”, ma che è stato ricorrente anche in altri tavoli sulla stessa via e sulle altre quattro .
 
Di qui il suggerimento che diventi “uno dei punti strutturali della pastorale di una Chiesa in uscita, seguendo il cammino di conversione ecologica indicato dal Santo Padre”.
Prospettiva realizzabile in tempi brevi? “Nei giorni scorsi, presiedendo la prima riunione della Commissione episcopale e partecipando alla Consulta degli Uffici Cei , ho riscontrato un buon consenso sul mio intervento”. Il presule parla di una “sensibilità diffusa” ma anche della necessità che “questo aspetto venga recuperato e promosso a livello di Chiesa italiana”.