1. Introduzione
 
Nella sua ultima enciclica, Laudato sì, papa Francesco individua nella mancanza della consapevolezza di una mutua appartenenza e nella mancanza di responsabilità nel costruire un futuro condiviso da tutti la causa dell’attuale crisi dell’umanità. «Questa consapevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge così una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione»[1].
Il nostro contributo intende raccogliere questa sfida e indicare una strada, consolidata dalla ricerca e dalla sperimentazione, ai processi educativi di rigenerazione a cui il papa fa riferimento. Anche l’educazione religiosa infatti, con le sue fonti e il suo specifico linguaggio, può offrire all’umanità postmoderna quella comprensione di sé stessa e quella «forza motivante che apre sempre nuovi orizzonti»[2].
Nel precedente contributo abbiamo portato la nostra riflessione sulla domanda educativa emergente oggi nel contesto italiano e abbiamo individuato nella prospettiva esperienziale, o meglio ermeneutico-esistenziale, un importante percorso che l’educazione religiosa può offrire per la costruzione di una risposta formativa credibile e percorribile nel contesto educativo odierno. Abbiamo anche evidenziato la differenza rispetto alla prospettiva alternativa e complementare, denominata kerygmatica, ed insieme l’urgenza di una rivisitazione radicale dei modelli educativi che caratterizzano il contesto pedagogico didattico attuale. Sono stati inoltre indicati alcuni criteri interpretativi che possono aiutare a cogliere correttamente le spinte presenti nella sensibilità educativa di oggi e a individuare le vie che l’educazione può prendere per rispondere all’emergenza educativa.
In questo contributo vogliamo mostrare come la prospettiva ermeneutica esistenziale sia in grado di raccogliere la sfida educativa odierna. Inquadreremo il contesto storico teologico in cui si è sviluppata la prospettiva ermeneutica esistenziale a partire dalla dialettica tra le diverse interpretazioni del Concilio Vaticano II. Daremo, quindi, spazio alla presentazione della prospettiva esistenziale sul piano della pedagogia per evidenziarne tutte le potenzialità nell’educazione religiosa. Un breve spazio intendiamo dare, infine, anche ai processi di maturazione dell’esperienza di fede, alle dinamiche interiori, al linguaggio che le esprime e alla consapevolezza che essi promuovono. Essi si pongono oggi al centro del progetto educativo religioso e meritano pertanto un’attenzione anche in prospettiva ermeneutica[3].
 

  1. Alle radici della prospettiva ermeneutica

 
È indubbiamente opportuno, per una migliore comprensione della prospettiva pedagogica ermeneutica, tornare al contesto teologico, pastorale ed educativo in cui essa si è venuta sviluppando nella seconda metà del secolo scorso. Non si tratta, infatti, solo di una questione metodologica, ma di un nodo che coinvolge il dibattito pastorale-teologico svoltosi, nei decenni del postconcilio, sull’interpretazione del Concilio Vaticano II.
 
2.1. Neo-agostiniani e neo-tomisti
 
Fin dall’inizio del Concilio si confrontarono due linee interpretative, che si vennero progressivamente precisando e distanziando: quella della discontinuità e quella della continuità con la tradizione[4]. La posizione che sosteneva la discontinuità e l’innovazione, raccolta intorno alla rivista Concilium[5], intese portare avanti la spinta innovativa già avviata dai movimenti di riforma (liturgico, biblico, patristico, ecumenico, ecc.) dei primi decenni del XX secolo e confermata dai documenti conciliari. A sua volta, la linea della continuità con la tradizione, trovò espressione nella rivista Communio[6].
La tensione tra le due prospettive interpretative toccò spazi molto ampi: da quello biblico a quello ecclesiologico, da quello antropologico a quello sociale, interculturale ed ecumenico, ecc. Una tensione che si esprimerà nel dibattito su un tema centrale e cruciale della teologia conciliare e post conciliare: la relazione tra Chiesa e mondo. Soggiacenti a questo nodo problematico possiamo individuare le due fondamentali tendenze teologiche postconciliari: quella neo-agostiniana, vicina al platonismo e quella neo-tomista vicina agli aristotelici[7].
La spaccatura tra la corrente “patristico-monastica agostiniana” e quella “neo-tomista” divenne più evidente e chiara dopo il Sinodo straordinario dei vescovi del 1985 dedicato alla recezione del Concilio a vent’anni dalla sua conclusione.
Queste due linee interpretative, che ancora oggi costituiscono due fondamentali tendenze di riferimento, possono essere individuate anche alla base delle due prospettive educative alle quali abbiamo fatto riferimento nella nostra precedente riflessione: quella esperienziale e quella kerygmatica.
 
2.1.1. La visione dei Neo-agostiniani
 
Nella riflessione teologica la corrente neo-agostiniana è stata descritta come quella «che vuole porre la Chiesa e il mondo in una condizione di antagonismo; vede il mondo in una luce negativa; il male ed il peccato sono così diffusi nel mondo che la Chiesa dovrebbe essere sempre diffidente e sospettosa. Qualsiasi apertura al mondo sarebbe – per essa – un ingenuo ottimismo»[8]. In sostanza una visione pessimistica che vede la Chiesa come un’isola di grazia molto distante dal mondo ormai consegnato al peccato.
La tendenza agostiniana, medioevale, neo-agostiniana annovera, tra gli altri, alcuni dei più eminenti rappresentanti della nouvelle théologie: J. Ratzingher, H. De Lubac, J. Danielou, H.U. von Balthasar, L.Bouyer. L’agostinismo di questi grandi teologi è tuttavia molto complesso e variegato e non si chiude nel rifiuto, ma si apre ad una riflessione più articolata sulla relazione della Chiesa con il mondo e la cultura. L’ecclesiologia agostiniana, fondata sulla “pura comunità d’amore”, parve a H.U. von Balthasar rispondere meglio alla complessa e tormentata stagione del primo decennio del postconcilio. L’antropologia, soprattutto quella espressa della Gaudium et spes, sembrò a H. De Lubac un “cedimento” all’eccessivo ottimismo nei confronti del mondo e all’ingenua fiducia nella natura senza più la necessità della grazia e della fede. Più degli altri J. Ratzingher, rappresentò questa tendenza, sia per la sua formazione che per il ruolo che ebbe nella Chiesa del postconcilio. La sua vicinanza al pessimismo agostiniano sul mondo e sulla libertà umana, la sua lontananza dall’epistemologia tomista, lo portarono a scegliere una visione più kerygmatica della fede cristiana. Egli riaffermò con forza, contro la modernità illuministica, il dualismo irriducibile per la fede cristiana, tra il “Regno di Dio” e “l’ordine della storia”[9].
 
2.1.2. La visione dei Neo-tomisti
 
L’interpretazione neo-tomista del Concilio che sposa la prospettiva dell’aggiornamento e dell’innovazione è riconducibile a quel gruppo di teologi tomisti post scolastici che avevano rifiutato il tomismo della neo-scolastica e volevano recuperare la spinta progressista di un tomismo caratterizzato dall’apertura al mondo. Tra essi possiamo annoverare, tra gli altri, i teologi domenicani Y. Congar, M.D. Chenu, E. Schillebeeckx, insieme ai teologi gesuiti, K. Rahner e B. Lonergan. Per M.D. Chenu. La storicizzazione che Tommaso aveva fatto con Aristotele nel XIII sec., andava, secondo loro, fatta anche nel XX sec. La filosofia moderna e le nuove scienze sociali, potevano offrire categorie per elaborare una nuova visione del rapporto tra fede e storia e del primato della rivelazione nella Scrittura. L’attenta analisi “dei segni dei tempi” poteva consentire di cogliere i “loci theologici in atto”, quali: l’espansione missionaria, il pluralismo delle civiltà umane, il movimento ecumenico, l’apostolato dei laici., ecc. Il discernimento dei “segni dei tempi”, da parte della comunità storica dei fedeli, consentiva lo sviluppo di una “teologia in atto” che con l’aiuto delle scienze sociali poteva ripensare la distinzione tra peccato e grazia, l’autonomia della creazione, l’intelligibilità del mondo della natura, dell’uomo e della storia. Cambiava in altre parole la relazione tra teologia e storia, tra Chiesa e mondo[10].
Il tomismo progressista di Schillebeeckx si apriva alla modernità e giungeva a valutare positivamente la filosofia moderna con la quale la teologia doveva sincronizzarsi. Grazie alla nuova fiducia nell’uomo e alla nuova valutazione, umana e cristiana, del mondo, la Chiesa poteva ridefinire se stessa.
Anche il domenicano francese Y. Congar concentrò la sua riflessione sulla relazione tra tomismo e pensiero moderno. Il suo neo-tomismo lo guidò ad approfondire la storicità della teologia che richiedeva di adottare un nuovo approccio alla ecclesiologia, all’ecumenismo e alla divina Rivelazione. Per lui l’“evento” del Concilio costituì una mutazione socio-culturale «la cui ampiezza, radicalità, rapidità e il cui carattere globale non hanno equivalenti in nessun altro periodo storico».[11] Come la scolastica matura, nel XIII sec., aveva prodotto la crisi del sistema agostiniano, così il Concilio aveva liberato la Chiesa intera dall’«agostinismo politico», che voleva ricondurre le strutture temporali alla conformità con la giustizia soprannaturale.
La visione neo-tomista fu condivisa anche da K. Rahner. A suo parere la teologia contemporanea doveva trovare una base filosofica nella visione antropocentrica e trascendentale propria della filosofia moderna, anche se non doveva estendere e imporre le categorie occidentali alle altre culture.[12]
Per B. Lonergan, seguendo l’esempio di Tommaso, la riflessione teologica cattolica doveva aprirsi alla scienza moderna e alle scienze sociali. L’approccio deduttivista, non più adeguato al pensiero moderno, andava rimpiazzato da categorie antropologiche «più pertinenti, tratte da tendenze storicistiche, fenomenologiche, esistenzialiste e personaliste»[13].
In conclusione i Neo-tomisti chiedevano cambiamenti non nella Rivelazione o nella fede, ma nella cultura che le interpretava. Così era già accaduto nella storia della Chiesa in cui erano state accolte le nuove culture per interpretare il cambiamento
 
2.2. Prospettive interpretative
 
Le due tendenze che hanno attraversato con alterne vicende i cinquant’anni del postconcilio trovarono nel Sinodo del 1985 un punto di svolta con l’ascesa della visione neo-agostiniana nell’interpretazione del rapporto Chiesa – mondo, già annunciata nel nuovo Codice di diritto canonico del 1983. L’ascesa al soglio pontifico del card. J. Ratzingher, che negli anni aveva maturato una certa visione pessimistica del rapporto Chiesa-mondo, segnò il definitivo prevalere della tendenza neo-agostiniana[14]. Il 22 dicembre del 2005 nel discorso alla Curia egli definì i due diversi approcci ermeneutici: «Due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra silenziosamente, ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura” […]. Dall’altra parte c’è l'”ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa». Il confronto tra le due tendenze, comunque continuò e la visione neo-tomista ha trovato ulteriori significativi approfondimenti negli ambiti ecclesiologico, biblico, della comunicazione sociale[15].
Il nuovo papa Francesco, pur evitando di entrare in questioni interpretative di principio, sembra aver accolto, invece, nelle sue scelte pratiche pastorali, una visione Chiesa – mondo nettamente più vicina alla tendenza neo-tomista.
 

  1. Educare nella prospettiva ermeneutica esistenziale

 
Vogliamo in questo paragrafo illustrare sinteticamente le caratteristiche distintive della prospettiva pedagogico – didattica ermeneutico esistenziale per evidenziarne le potenzialità nell’educazione religiosa e nella catechesi. Un breve accenno meritano i processi di maturazione dell’esperienza di fede e le dinamiche interiori che li caratterizzano.
 
3.1. La prospettiva ermeneutica esistenziale nell’attuale emergenza educativa
 
La cultura in cui siamo immersi è caratterizzata da un interesse particolare verso l’esperienza che va decifrata per trovare un significato esistenziale che la renda degna di essere vissuta. Si tratta di una nuova sensibilità che potremmo definire “ermeneutica”. Proposte di senso già elaborate e definite, anche se religiose, risultano insignificanti e non degne di essere vissute. La persona vuole essere coinvolta e verificare la significatività esistenziale della verità che le viene annunciata.
Ciò richiede una revisione della prassi educativa e l’individuazione di percorsi centrati sull’esperienza e sulle istanze esistenziali. Si tratta, cioè, di puntare su processi non trasmissivi di verità custodite dalla tradizione o elaborate da altri, ma su verità elaborate dal soggetto che apprende grazie al confronto, al dialogo e all’utilizzazione delle risorse custodite nelle verità della tradizione. Anche i modelli di riferimento per le scelte di vita vanno ripensati e personalizzati in un progetto aperto ad un futuro imprevedibile e mai definitivo.
La verità religiosa è solo una risorsa, tra le altre, per il proprio progetto esistenziale, ma deve essere proporzionata alla condizione del soggetto e divenire parlante nella sua provocazione. Se l’obiettivo è l’adesione e il coinvolgimento, le dinamiche divengono più complesse chiamando in causa fattori molteplici di relazione, aggregazione, comunicazione, ecc.
La prospettiva ermeneutica è in grado di raccogliere questa sfida dell’emergenza educativa perché si sposta dal piano psico-sociologico e metodologico, già abbondantemente esplorato nei decenni precedenti, verso aspetti più profondi, interpretativi e fondanti, che chiamano in causa la funzione esistenziale e misteriosa della religione. Il presagio trascendente, dell’alterità che attraversa l’esperienza, può essere decifrato attraverso un processo ermeneutico che superi il sospetto, l’assurdità e l’insignificanza. L’ambiguità del ruolo e della funzione della religione nella maturazione della persona può essere verificata nei suoi limiti e nei suoi abusi, ma anche nella sua spinta innovativa nel processo di maturazione personale e collettiva. Il processo ermeneutico può fornire quelle risorse custodite nella tradizione religiosa che sono in grado di alimentare l’intero orizzonte di ricerca ed illuminare l’interpretazione credente. Alla religione, infatti, non si aderisce più per la verità in sé che annuncia, ma per la sua credibilità e il suo significato esistenziale[16].
 
3.2. La lettura religiosa dell’esperienza
 
Innanzitutto dobbiamo riconoscere che il processo di lettura religiosa dell’esperienza, anche se si apre alla trascendenza, non può uscire dall’esperienza stessa. La risorsa religiosa va scoperta nel cuore dell’esperienza come fonte misteriosa ma definitiva di senso. Una dimensione profonda e sfuggente, più intuita che dimostrata. L’atteggiamento religioso scopre nella realtà il rapporto con una Presenza ultima e fondante che svela il senso definitivo dell’intero universo nella sua verità più profonda. Verso quel fondamento, con disponibilità e fiducia, si orienta l’intera esistenza religiosa. Nell’accoglienza e nell’abbandono a quella Presenza si compie il processo educativo religioso. Un processo che nel contesto educativo religioso odierno è costituito da alcuni elementi caratterizzanti:
– una sensibilità culturale capace di avvertire l’apporto insostituibile della religione
all’interpretazione dell’esperienza;
– la comprensione della religione come fonte e matrice di significato autentico al di là del sospetto sulla dimensione alienante e disumanizzante dell’esperienza di fede;
– la forza della proposta religiosa che non risiede nella sua verità oggettiva, ma nella sua capacità profetica d’illuminare l’esistenza e garantire la dignità della persona;
– la capacità dell’esperienza religiosa di rispondere alla domanda di senso dell’esistenza;
– l’apertura della dimensione religiosa, oltre la consuetudine occidentale cristiana, all’apporto di tutte le grandi tradizioni religiose.
 
3.3 Il rinnovamento dell’educazione religiosa ecclesiale
 
L’educazione religiosa ecclesiale tradizionale fino ad oggi si è in genere concentrata sull’oggettività e sul procedimento razionale, preoccupata della verità delle affermazioni e della comprensione e trasmissione dei contenuti religiosi. Spesso, ha così trascurato, sul piano educativo, l’adesione interiore del soggetto alla verità e non si è impegnata nell’esplorazione della dimensione antropologica che regola i dinamismi dei processi educativi. Assecondata dal rifiuto dello sfondo culturale segnato dal positivismo e dal neopositivismo si è concentrata sulla dottrina teologica da trasmettere e sull’elaborazione kerygmatica su base esegetica.
Invece, la nuova prospettiva si incentra sulla maturazione della persona e si occupa del processo di iniziazione-conversione responsabile, della dimensione antropologica rispetto al rapporto con la fede, della verifica del contesto storico socio-economico, dell’esplorazione ermeneutica esistenziale dei segni di salvezza nell’esperienza personale. L’obiettivo è il superamento della divaricazione tra dottrina ed esperienza, verso una solidarietà stretta tra vita e fede. È chiaro che, di conseguenza, mutano i principi teologici e pedagogici su cui fondare questo passaggio. In ambito teologico si assume il principio dell’incarnazione. Sul piano antropologico pedagogico si assume la visione ermeneutico-esistenziale, applicata sia a livello culturale che pedagogico – didattico.
Risulta oggi evidente che, nel processo educativo, la verifica culturale precede l’itinerario di adesione all’esperienza e ai contenuti di verità di fede. Naturalmente i percorsi educativi, i modelli e gli strumenti pedagogico didattici vengono a differenziarsi e precisarsi nei diversi contesti: catechistico, scolastico, formativo e ricreativo, mass mediale, ecc. Ma è sul piano culturale ed ermeneutico, più che su quello pedagogico-didattico, che si richiede un profondo rinnovamento, come lo stesso richiamo alla nuova evangelizzazione conferma.
Non si tratta dunque di semplici integrazioni e ritocchi. I flussi migratori e l’osmosi delle culture richiedono un’elaborazione interculturale e inter religiosa che supera i confini europei e occidentali. La globalizzazione unita alla comunicazione digitale impongono un confronto con le grandi aspirazioni e le fondamentali conquiste contemporanee. Le nuove domande e le provocazioni sull’esistenza, che agitano il cuore dell’uomo di oggi, richiedono una risposta adeguata che l’esplorazione della ricerca fenomenologica, esistenziale e personalista può aiutare a identificare. L’attenzione della ricerca recente sul linguaggio, non solo in ambito teoretico ma anche applicativo, richiede di dare nuova significatività e incisività al linguaggio religioso e cristiano.
Tutti questi elementi disegnano un nuovo profilo dei docenti, degli animatori, educatori, catechisti, ecc. e richiedono la maturazione di nuove competenze professionali[17].
 

  1. L’orizzonte ermeneutico dell’esistenza credente

 
La dimensione religiosa di cui si trova traccia e richiamo nell’esistenza, se non ha modo di essere esplorata ed emergere a consapevolezza, resta una risorsa implicita e latente. Nel nostro contesto culturale la scienza, la tecnica e l’esigenza di comprensione razionale e critica possono dare un apporto prezioso al processo di maturazione della fede o, viceversa, costituire una provocazione e un ostacolo insormontabile.
L’itinerario adeguato e specifico per la maturazione della dimensione religiosa si caratterizza per l’interpretazione corretta dell’esperienza interiore dell’uomo religioso e per la radicalità del coinvolgimento esistenziale.
 
4.1. Il fascino di una Presenza misteriosa
 
Le manifestazioni dell’esperienza umana possono essere indagate sul piano scientifico, ma l’interpretazione piena e corretta non può tralasciare di esplorare anche l’esperienza interiore. A questo livello bisogna riconoscere che l’esperienza umana, fin dai primordi, è attraversata dal fascino del mistero e dell’arcano. Un richiamo che si esprime in voci sommesse e persistenti attraversa l’intimità dello spirito e spinge l’uomo a lasciare la propria condizione esistenziale e a procedere oltre. Un’esigenza di trascendimento che genera un dinamismo che spinge l’uomo a superare l’esperienza quotidiana che appare banale e parziale.
Si tratta di un richiamo alimentato dall’esistenza, ma continuamente inappagato e in cerca di soddisfazione. La totalità dell’esperienza non è in grado di appagarlo. Solo la disponibilità ad accoglierlo sembra soddisfare l’uomo che rimane però sempre in ricerca. Nulla sembra in grado di soddisfare la ricerca dello spirito umano che anela all’incontro personale con una Presenza trascendente che possa soddisfare la sua ricerca di pienezza di vita. L’incontro con questa Presenza può riempire la vita dell’uomo, ma insieme la dilata aprendola ancor di più su orizzonti irraggiungibili.
 
4.2. Gli aspetti qualificanti dell’educazione alla fede
 
La fede è la risposta impegnativa e totalizzante ad un appello che ci precede. Un’offerta di salvezza, un invito alla comunione, un progetto di vita di fronte al quale si deve prendere posizione perché coinvolge tutta l’esistenza. La Rivelazione cristiana ha chiara consapevolezza di questo primato di Dio che precede ogni iniziativa umana e che quindi chiede di essere decifrato e riconosciuto.
Il processo educativo alla fede riconosce il primato di Dio; un Dio di cui si colgono i segni che legittimano la ragionevolezza e la credibilità di un rapporto personale. Un rapporto profondo che arriva a sfociare nell’amore, ma può anche aprirsi al rifiuto e alla negazione. L’atteggiamento di fede si muove sull’intuizione, sull’emozione e la disponibilità interiore.
La razionalità critica può generare il sospetto sulla legittimità e sulla garanzia dell’approdo. La fede allora può essere vista come esigenza psicologica, bisogno umano di una meta e dunque non sufficientemente garantita. La riflessione esistenziale e fenomenologica ha argomentato sul sospetto razionale e trovato lucide argomentazioni fondate, più che sul rigore razionale, sull’analisi esistenziale dell’esperienza interiore dell’uomo credente[18].
 
4.3. Un incontro libero e personale
 
L’analisi dell’esistenza umana rivela una domanda originaria sulla vita e sul suo significato: un appello ontologico, un rapporto originario e costitutivo con la trascendenza. Ne emerge una condizione di novità imprevedibile e non deducibile da condizioni preesistenti da cui nasce una libertà incondizionata che coinvolge la totalità della persona. La fede è un’adesione libera e gratuita che può illuminare l’identità del credente. Una gratuità e disponibilità reciproca di Dio all’uomo e dell’uomo a Dio che domanda totalità e riempie totalmente l’esistenza. Non c’è calcolo nel rapporto tra Dio e l’uomo, ma tutta la spontaneità e la libertà dell’accoglienza incondizionata. Il processo educativo deve appunto superare le resistenze e portare a maturazione, nella concretezza, questa relazione libera, spesso sconcertante e imprevedibile[19].
 
4.4. Un’esperienza concreta e storica
 
L’esperienza di fede sviluppatasi nell’interiorità e nell’aspirazione va verificata nella concretezza della prassi in cui si realizza il proprio progetto di vita. Nell’agire la persona verifica le nuove condizioni che la fede ha fatto maturare. Le realtà terrene sono il passaggio obbligato verso la meta. Esaltate e insieme relativizzate a confronto con la trascendenza in cui il progetto troverà compimento. Nella storia l’uomo costruisce sé stesso alla presenza di Dio che è garante della promessa che fermenta l’esistenza. L’orizzonte terreno è profondamente vero ma insufficiente e, pur se inadeguato, sollecita e obbliga alla responsabilità e all’impegno.
 

  1. Il processo educativo nella prospettiva ermeneutica

 
Il processo di secolarizzazione in atto ha posto profondamente in crisi non solo la credibilità, ma anche la stessa struttura organizzativa del processo educativo religioso. L’accentuazione esistenziale della sensibilità moderna ha inoltre posto condizioni individuali e sociali che hanno compromesso la proposta educativa religiosa tradizionale fondamentalmente contenutistica e trasmissiva.
Non é però scomparsa, ma anzi si è riaffermata con vivacità inattesa la richiesta di educazione religiosa che ha trovato sovente risposta nel moltiplicarsi di nuove sette e movimenti religiosi.
S’impone quindi una revisione dell’intero processo educativo a partire dalla matrice esistenziale che lo sostanzia, dal linguaggio che lo esprime e lo comunica, dalle condizioni comunitarie che lo rendono praticabile. Molti studiosi hanno voluto riflettere sul rapporto esistenza-religione e sui processi e le condizioni che lo ostacolano o favoriscono[20]. Sulla scorta delle loro acquisizioni possiamo tracciare una sintesi.
 
5.1. I processi di maturazione religiosa
 
Punto di partenza dell’intero processo educativo è la domanda che nasce dall’esplorazione dell’esperienza concreta della persona che è alla ricerca di un senso che meriti considerazione fino a divenire decisivo e capace di orientare l’intera esistenza. Potremmo, in modo sintetico, delineare queste fasi di maturazione:
Fase preconcettuale: è tipica della condizione religiosa prelinguistica dell’infanzia che inizia a distinguere gradualmente il contesto religioso dal proprio io;
Fase intuitiva-proiettiva: caratteristica dell’età puerile, in essa si inizia a formare il linguaggio religioso, si risveglia l’immaginazione, si percepisce la religiosità del contesto adulto, e iniziano a focalizzarsi il mistero trascendente e il numinoso;
Fase mitico letterale: tipica della tarda infanzia e della pre-adolescenza, inizia a mettere in questione e a verificare le immagini religiose formatisi soprattutto attraverso le narrazioni religiose degli adulti;
Fase sintetico-convenzionale: ancora legata al sentire degli altri è tipica dell’adolescenza in cui, attraverso le operazioni formali, si costruisce l’immagine di sé e si creano i significati religiosi;
Fase individuativo-riflessiva: tipica della giovinezza, si sgancia dal sentire religioso degli altri e autonomamente, attraverso il confronto e il dialogo, costruisce una personale autentica religiosità;
Fase congiuntiva: caratteristica dell’età adulta e matura. In essa si rivedono le convinzioni religiose giovanili e si prende atto delle ambiguità delle esperienze di vita e delle verità religiose per costruire nuovi significati religiosi o recuperare tradizioni precedentemente rifiutate.
Fase universalizzatrice: è lo stadio, poco frequente, della piena maturità religiosa in cui la persona si apre a prospettive sovrapersonali e assume impegni aperti al bene comune e all’autotrascendenza superando le visioni incentrate su di sé o sul proprio gruppo religioso.
Il dinamismo descritto nelle fasi sopra riportate cerca di unire la crescita umana e la maturazione religiosa. Si può cogliere la progressiva maturazione interiore e le condizioni personali e comunitarie che l’accompagnano. Offre un utile quadro di riferimento che deve però superare le rigidità e i circoscritti limiti temporali. La fase di maturità religiosa infatti, può benissimo non coincidere con l’età anagrafica della persona, al punto che la religiosità di un adulto può avere caratteristiche adolescenziali e viceversa. Quello che più conta è l’individuazione e la descrizione delle fasi di un possibile processo educativo della religiosità personale.
Si tratta ora di descrivere le condizioni che rendono possibile questo processo educativo.
 
5.2. L’orizzonte del linguaggio e della comunicazione religiosa
 
Il processo educativo religioso avviene nell’orizzonte della comunicazione interiore poiché interessa la relazione della persona con Dio. L’uomo di ogni epoca ha parlato sempre di Dio, anche se il suo linguaggio ha assunto, di volta in volta, caratteristiche diverse:
– in epoca metafisica: linguaggio causale;
– in epoca razionalista: linguaggio deduttivo;
– in epoca antropologica: linguaggio esistenziale.
Naturalmente c’è un limite invalicabile del linguaggio umano quando parla di Dio: quello della trascendenza, del nascondimento e del mistero contro cui si scontra appunto il linguaggio umano. Parlare di Dio è difficile. La sua immagine si può manipolare se non si accettano le forme proprie del linguaggio religioso: l’intuizione, l’allusione, il presagio, l’allegoria, ecc. La parola umana può solo evocare, ma non comprendere e definire quella Presenza che ci trascende.
Il processo ermeneutico, consapevole di questa distanza incolmabile, tende all’interpretazione e all’esplorazione dell’esistenza non alla dimostrazione e alla prova. A partire dalla domanda misteriosa racchiusa nella nostra esistenza, il processo educativo esplora, con disponibilità e rigore, la vicenda umana alla ricerca di una risposta credibile aperta a prospettive ulteriori. Solo quando il riferimento a Dio diviene consapevole ed esplicito, si apre il processo educativo religioso, pur con le sue innumerevoli espressioni.
Le molteplici modulazioni si rifanno tutte ad alcuni percorsi:
– il confronto con la natura che sottende una Presenza misteriosa che la fermenta,
– la ricerca personale interiore di una risposta all’insoddisfazione, all’inquietudine e all’attesa di pienezza in una Presenza che va oltre gli angusti limiti dell’esistenza,
– la ricerca umana che, con diversi approcci e accentuazioni, cerca di esplorare la religione offrendo un orizzonte interpretativo che rende possibile il linguaggio religioso.
Le risorse comunicative privilegiate dal linguaggio evocativo religioso fin dalle origini della comunicazione umana sono state alcune forme che nel tempo si sono codificate in figure tipiche del linguaggio religioso: il simbolo, il mito e il rito. Di esse si avvale il processo educativo religioso.
Il simbolo tende ad interpretare ed esprimere la verità di una Presenza misteriosa che attraversa e trascende l’esperienza umana con una forza evocatrice intensa, efficace e feconda.
Il mito rivela la forza misteriosa e profonda contenuta nel simbolo rendendola accessibile attraverso narrazioni fantasiose piene di fascino.
Nella partecipazione al rito si celebra, si sperimenta e ci si alimenta, nel tempo e nello spazio, di quella forza misteriosa che è racchiusa nel simbolo e narrata nel mito.
Nel processo educativo la forza del linguaggio allusivo, simbolico, mitico e rituale alimenta l’istanza di trascendenza presente nell’esperienza e la fa maturare. La Rivelazione cristiana che è storica e documentabile utilizza anch’essa queste risorse interpretative per dire quel margine indicibile della realtà trascendente che si manifesta nella storia.
 
5.3. La solidarietà comunitaria nel processo educativo
 
L’accentuazione della sensibilità culturale attuale sulla responsabilità del singolo sembra ridimensionare l’importanza e la forza dell’appartenenza comunitaria in ambito educativo religioso. In ambito cristiano l’importanza decisiva della comunità di fede per la maturazione e la pratica dell’esperienza religiosa è stata fin dalle origini una condizione imprescindibile. La secolarizzazione ha esasperato il problema del rapporto con l’istituzione educativa religiosa, intaccando profondamente la sua credibilità e la sua forza di socializzazione. La debolezza del riferimento istituzionale ha reso mendo affidabile la proposta e i modelli di riferimento ed ha spostato il perno del processo educativo sullo sforzo interpretativo personale e sulla scelta responsabile del soggetto.
Pur tuttavia rimane imprescindibile il riferimento comunitario, ma si richiede di ripensare in profondità l’intervento educativo. La comunità credente non può più fondare il processo educativo sulla semplice trasmissione delle proprie verità e tradizioni. S’impone il problema ermeneutico.
La vita e la cultura di oggi sono interessate all’ambito religioso, non alla verità religiosa in sé. Esse hanno preso le distanze dalle basi teologiche della fede. S’interessano invece all’esperienza personale e al vissuto religioso; dove risultano strettamente connessi si illuminano a vicenda e assumono significato. La fede è dunque sempre più un’esperienza di vita che trova nella comunità un riferimento fondamentale e un autentico rapporto interpersonale.
La strategia ermeneutica del processo educativo comunitario salvaguarda alcuni momenti: l’interpretazione delle provocazioni ambientali e dell’istanza religiosa che anima l’esistenza; il ricorso alla ricchezza delle risorse religiose della tradizione; l’elaborazione di una lettura credibile e illuminante del vivere quotidiano.
 

  1. Conclusione

 
Quanto siamo andati dicendo voleva essere una possibile risposta alla grande sfida culturale, spirituale ed educativa che l’educazione religiosa è chiamata ad affrontare.
La religione può dare un apporto insostituibile per un’educazione integrale della persona. Il Concilio ha operato una svolta, anche se contrastata, nel modo di intendere il rapporto con il mondo contemporaneo e per sviluppare una profonda integrazione tra esigenze umane e religiose. La spinta innovativa deve fare i conti con consuetudini radicate e ancora fortemente presenti in ambito educativo. Le potenzialità della prospettiva educativa ermeneutica esistenziale che abbiamo illustrato possono illuminare e sostenere la dimensione educativa dell’esperienza credente. Vogliamo in conclusione riassumerle in queste linee fondanti:
– l’esistenza è fermentata dall’appello di Dio;
– la dimensione religiosa precede ogni intervento educativo;
– il processo educativo deve esplorare, interpretare e rendere consapevoli;
– al cuore dell’esperienza religiosa c’è l’appello e l’azione di Dio;
– il processo educativo religioso parte dal presagio e si conclude nell’invocazione consapevole e libera di Dio.
[1] Francesco, Laudato si’ 202.
[2] Francesco, Evangelii gaudium 256.
[3] Istituto di Catechetica – Università Pontificia Salesiana, Insegnamento della religione competenza e professionalità, Torino, Elledici 2013, pp. 255-257.
[4] G. Philips, Deux tendances dans la théologie contemporaine, in Nouvelle Revue Théologique 85 (1963) 225-238.
[5] La grande maggioranza degli studiosi del Concilio si riunì nel 1964 in Olanda, intorno alla rivista progressista Concilium. Per controbilanciare Concilium, nel 1972, J. Ratzingher, H. de Lubac, H.U. von Balthasar fondarono una nuova rivista internazionale, Communio, con l’obiettivo di «analizzare il disordine e la confusione delle ideologie in lotta».
[6] M. Faggioli, Interpretare il Vaticano II. Storia di un dibattito, Bologna, Dehoniane 2012, pp. 9-25
[7] R. Fisichella, Il concilio Vaticano II: recezione e attualità alla luce del giubileo, Cinisello B., San Paolo 2000.
[8] O. Rush, Still Interpreting Vatican II: Some Hermeneutical Principles, Mahwah (NJ), Paulist Press 2004, p. 15.
[9] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Brescia, Queriniana 2005.
[10] G. Zamagni, Fine dell’era costantiniana. Retrospettiva genealogica di un concetto critico, Bologna, Il Mulino 2012.
[11] Y. Congar, Regard sur le Concile Vatican II, in Id., Le Concile Vatican II. Peuple de Dieu et corps du Christ, Paris, Beauchesne 1984, pp. 49-72.
[12] K. Rahner, Philosophy and Theology, in Id, Theological investigations. Concerning Vatican II, Darton, London, Longman&Todd 1974, vol.6, pp. 79-80.
[13] B. Lonergan, Il metodo in teologia, Roma, Città Nuova 2001.
[14] A. Marchetto, Il Concilio Ecumenico Vaticano II, Città del Vaticano, LEV 2005, pp. 102-119.
[15] G. Routhier, Vatican II. Hermeneutioque et reception, Montreal, Fides 2006; C. Theobald, La recezione del Vaticano II. Tornare alla sorgente, Bologna, Dehoniane 2011.
[16] Z. Trenti, Educare alla fede. Saggio di pedagogia religiosa, Torino-Leumann, Elledici 2002, pp. 17-75.
[17] Ibidem, pp. 76- 94
[18] M. Scheler, L’eterno nell’uomo, Milano, Fratelli Fabbri 1972; G. Marcel, Giornale metafisico, Roma, Abete 1976.
[19] S. Kierkegaard, Opere, Firenze, Sansoni 1972, pp. 213-214.
[20] Sul piano psicologico possiamo ricordare Allport, Vergote, Frankl, Nuttin, ecc. Su quello sociologico: Acquaviva, Luckmann, Berger, ecc. Su quello più educativo religioso: Piaget, Kohberg, Niebuhr, Fowler, ecc.
 
Roberto Romio, La via ermeneutica esistenziale nell’educazione religiosa, in Catechesi, 85(2015-16)3, Elledici Torino, 2016, pp. 68-80