Anna Laura Braghetti è stata carceriera di Aldo Moro. Era nel commando che ha ucciso Vittorio Bachelet. L’incontro con il fratello della sua vittima cambierà la sua vita.
L’Italia negli anni di piombo vive una pagina di storia in cui ribellione giovanile, repressione poliziesca e violenza politica convivono tragicamente. È in quel periodo che la giovane Anna Laura Braghetti si unisce alle Brigate Rosse. Ha appena 25 anni quando, insieme ad altri, tiene sotto sequestro Aldo Moro nella casa romana di via Montalcini. Pochi mesi dopo, in seguito al ritrovamento del cadavere di Moro, Anna Laura entra in clandestinità, prendendo personalmente parte in azioni terroristiche, come l’attentato che – il 12 febbraio 1980 – costerà la vita a Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Arrestata nel maggio dello stesso anno e condannata all’ergastolo, inizierà in carcere un difficile percorso di riconciliazione, un viaggio lungo il quale sarà sostenuta da una delle persone che avrebbe avuto ogni ragione per odiarla a morte: padre Adolfo Bachelet, fratello di Vittorio.
 
Descrizione
Titolo: Rosso è il perdono
Autori: Arnaud Gonzague,Olivier Tosseri
Traduttore: Giovanni Zucca
Illustratore:Nicola Gobbi
Editore:Rizzoli Lizard
Anno edizione: 2020
Prezzo:20,00
Pagine: 192 p.
EAN: 9788817148078.
 

Vittorio Bachelet
Vittorio Bachelet 
“Preghiamo per il nostro presidente Sandro Pertini, per i nostri governanti”, disse Giovanni Bachelet al funerale del padre, “per tutti i giudici, i poliziotti, i carabinieri, gli agenti di custodia e quanti oggi, nelle diverse responsabilità, nella società, nel Parlamento, nelle strade continuano a combattere in prima fila la battaglia per la democrazia, con coraggio e amore”. E aggiunse: “Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà, perché senza togliere nulla alla giustizia, che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri”. Una gigantesca testimonianza di misericordia cristiana.
La tragedia di scegliere la morte di un innocente
San Giovanni Paolo II, che aveva conosciuto personalmente “l’indimenticabile professor Bachelet”, volle celebrare una Messa di suffragio per lui, alcuni giorni dopo la morte, precisamente il 23 febbraio del 1980. Forti, in particolare, le sue parole sull’offerta della propria vita per la vittoria della verità e dell’amore e sul dramma, invece, di scegliere la morte:

Ascolta le parole di San Giovanni Paolo II:

La tragedia invece consiste nel fatto che si sceglie la morte. Si sceglie la morte di un uomo innocente. Si sceglie la morte di un padre di famiglia, di uno studioso, di un servitore della comunità nazionale, di un custode della cultura, di un promotore del bene comune. Perché si sceglie la morte? Il disegno, che sceglie la morte di uomini innocenti, non dà forse la testimonianza a sé stesso di non aver niente da dire all’uomo vivente? Di non possedere nessuna verità con la quale poter vincere? con la quale poter conquistare i cuori e le coscienze – e servire il vero progresso dell’uomo? Cristo ha insegnato che bisogna vincere con la verità e con l’amore. 
Anni dopo, il primo gennaio 2002, Giovanni Paolo II commentando il tema del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono“, disse:
Faccio appello, in particolare, agli uomini e alle donne che hanno conosciuto nel secolo scorso le funeste guerre mondiali. Mi rivolgo ai giovani che, per loro fortuna, quei conflitti non hanno vissuto. A tutti dico: dobbiamo opporci con fermezza insieme alla tentazione dell’odio e della violenza, che danno solo l’illusione di risolvere i conflitti, ma procurano perdite reali e permanenti. Il perdono, invece, che potrebbe sembrare debolezza, presuppone una grande forza spirituale e assicura vantaggi a lungo termine. (…)  Il perdono, opponendosi all’istinto di rispondere al male con il male, è un atteggiamento che, specialmente per i cristiani, ha profonde motivazioni religiose, ma si regge anche su basi razionali. Per tutti, infatti, credenti e non credenti, vale la regola di fare agli altri ciò che si vuole sia fatto a sé. Questo principio etico, applicato a livello sociale e internazionale, costituisce una via maestra per costruire un mondo più giusto e solidale.
Trent’anni dopo l’uccisione del padre, nel febbraio 2010, Giovanni Bachelet così si espresse ai microfoni della Radio Vaticana a proposito del commosso stupore alle sue parole di perdono per gli assassini del padre:
R. – Ho avuto un po’ meraviglia per tutta la reazione che c’è stata; da un lato, che fossi io a leggere quella preghiera e non qualche altro mio familiare, fu quasi una casualità; avrebbe potuto farlo mia sorella, o qualcun altro della famiglia, e quindi il fatto che sia stato io mi sembra relativamente poco importante. E l’altro aspetto di maggiore meraviglia per me è che non mi sembrava fosse possibile fare qualcosa di diverso … Insomma, non riesco a misurare il “costo” (di quelle parole) perché mi sembrava quasi inevitabile, sia come cristiano sia come figlio di mio padre, riuscire in una circostanza triste a far sapere a tutti come la pensava lui …
Non aveva dunque alternative …?
R. – Non vedevo che altro si potesse fare… ecco. Però, in effetti il mio intervento era composto di due parti, e la prima era proprio sulla giustizia. In quel momento sentii il dovere di dire certe cose, perché erano anni difficili nei quali, ad esempio, altri personaggi pubblici inventarono slogan tipo “né con lo Stato, né con le BR”; oppure certi “santoni laici”, che erano arrivati, contro le loro stesse tradizioni, a cominciare a pensare alla pena di morte come soluzione del terrorismo. E quindi, la preghiera, unita alla seconda parte del mio discorso, voleva dire che – come appunto scrisse poi il Papa in modo molto chiaro e molto convincente nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2002 – che la giustizia non si oppone al perdono e che il perdono non si oppone alla giustizia. Sia perdono sia la giustizia sono agli antipodi della vendetta, che invece è un concetto privato, un regolamento di conti fra le vittime e quelli che li hanno colpiti. Ecco, questo è estraneo sia all’orizzonte della giustizia che a quello del perdono. Però, se intese correttamente, la giustizia e la misericordia, per quanto in un modo difficile da definire, generazione per generazione, si integrano a vicenda, e questo è l’aspetto più originale e più bello che ho trovato anche nel messaggio del Papa.
Quell’atto dunque, come ha spiegato adesso, fu inevitabile, cioè né facile né difficile. A distanza di anni, come continua oggi dentro di lei, questo atteggiamento?
R. – Anche mio papà in altra circostanza, quando mi preparava alla Prima Comunione, me l’aveva detto; parlavamo della fedeltà fino al martirio e io ero un po’ preoccupato quando lui mi diceva “di non adorare l’imperatore” . Allora gli chiedevo: “Ma se io poi ho paura?” Pensavo ai primi martiri cristiani…  Allora lui mi diceva: “Ma quello non è un problema, è come togliersi un dente: ci vuole un attimo, è un attimo di difficoltà, però poi il Signore ti dà anche un aiuto speciale. Invece è molto più essere fedeli al Vangelo nella vita quotidiana”. Ecco, questo vale anche per il perdono, nel senso che, vedendo la mia vita e anche parlandone con i figli, mi accorgo che l’essere in atteggiamento di misericordia, di tolleranza, di pazienza verso gli altri e un po’ anche verso forse sé stessi, è più difficile nelle cose di tutti i giorni che non, magari, in un evento tragico ma unico per il quale forse – per chi crede – il Signore dà anche un’assistenza speciale.